Bisognerebbe coordinare tutte le testimonianze della civiltà etrusca, creando dei musei esclusivamente etruschi, senza intromettervi la documentazione di altre civiltà, e riordinando i musei già esistenti in modo conveniente alla importanza del materiale che essi raccolgono.
Se da un lato, in Italia, si suole sempre ripetere il motivo della nostra povertà, da un altro lato si ripete invece, quello della nostra ricchezza. E questo lato riguarda il nostro paesaggio e il nostro patrimonio artistico ed archeologico.

Con la certezza che tutte le città italiane e tutti gli angoli della nostra terra sono stupendi, li trascuriamo fino a lasciarli impunemente deturpare. Con la stessa certezza che la civiltà etrusca, greca e latina ci abbiano lasciato ruderi e opere d’arte trabocchevoli, ci comportiamo verso queste testimonianze non-curatamente, come coloro che nuotano nell’abbondanza.
Da tempo mi incuriosisce il nostro patrimonio etrusco. La mia conclusione ultima al riguardo è stata, che è forse meglio che quanto si va scoprendo accidentalmente nelle varie necropoli vada a finire attraverso le maglie del commercio clandestino nelle collezioni private all’Estero.
Questo, perché non si sa stabilire un piano concreto di coordinare tutte le testimonianze della civiltà etrusca con musei esclusivamente etruschi, senza intromettere documentazioni di altre civiltà, e perché non si riordinano i musei già esistenti in modo conveniente all’interesse che questa civiltà ha fatto sorgere nel mondo.
I comuni di Tarquinia e di Chiusi, nella fatale noncuranza, hanno fatto miracoli, senza però raggiungere ancora quell’ordine indispensabile.
Attendevo da tempo al varco il museo etrusco di Firenze e solo da poco è stato possibile il nostro incontro. Credevo che per avere sede in questa grande città, dove gli stranieri passano e sostano con maggiore frequenza si fosse provveduto con larghezza, con gusto e originalità, ma invece ne fui deluso. Anche qui si è ripetuto il solito errore iniziale di mischiare le documentazioni etrusche con quelle latine, greche e persino egizie, mentre canone fondamentale per determinare l’interesse generale è che un museo etrusco sia solo etrusco.
Il museo si apre con statue romane, come se Roma fosse esistita prima dell’Etruria e dopo avere girato per diverse sale, con suppellettili funerarie etrusche, d’improvviso appaiono intruse alcune mummie egizie per finire con rievocazioni assurde della civiltà cretese, date con oggetti non originali, ma riprodotti. Il colmo è di vedere la riproduzione di una pittura murale già con molto arbitrio di colori restaurata nel palazzo reale di Knosso, esposta freschissima come un manifesto del cinema. Ne risulta che invece di avere un’impressione di museo si ha quella di un baraccone.

Poi fu triste vedere nelle teche di ogni sala addensarsi gli oggetti in modo da dare un tedio infinito per non dire un disgusto. E’ comprensibile che tutti gli oggetti trovati attorno a una tomba debbano stare insieme, ma quando non abbiano avuto questa funzione funebre non è ravvivante che dieci vasi uguali, con lievissime differenze debbano stare tutti insieme allineati. Uno può bastare. La ripetizione degli esemplari dà monotonia, respinge e allontana. Si finisce col ritrovare l’uggia per i musei e col preferire la vita che è di fuori all’aperto.
In questo museo vi sono pezzi rari, unici e stupendi, ma nuovamente sepolti tra una congerie di altri insignificanti persino per i dottissimi. I canopi di Firenze, che da soli potrebbero dare importanza altissima a un museo e che dovrebbero avere una teca singola, isolata e in piena luce, sono accatastati in tre scaffali, come fossero rozze teste ricavate sulle zucche. Vi sono gingilli preziosi, riproducenti animali, per i quali ci vorrebbe una esposizione come per i gioielli nella vetrina di Cartier, in rue de la Paix, non solo confusi tra cocci e minutaglie informi, ma brutalmente coperti da un bollino di carta con un numero e ancora in più parti numerati a inchiostro direttamente sulla materia che li compone.
Non si capisce per quale ragione modelli doppi, tripli, quadrupli, quintupli di fornelli, di specchi, di anfore, di utensili e di altri pezzi siano tutti esposti, quando basterebbe scegliere il migliore, il più intatto ed esporre solo quello. L’effetto è di stancare, non di interessare. Le ripetizioni siano messe in un magazzino o siano destinate ad altri musei che ne sono sprovvisti, ma questo non avverrà fino a quando non si stabilisca un piano concreto di coordinazione per tutte le testimonianze della civiltà etrusca.

L’attuale sistema sembra sia quello di volere tutto indistintamente raccogliere, conservare ed esporre, mentre è indispensabile una selezione, perché la maggioranza dei visitatori non è formata da dotti accaniti con lenti di ingrandimento al posto degli occhi, ma da profani che si deve attrarre alla passione di conoscere una delle più umane civiltà tramontate. Se si eliminassero i pezzi insignificanti si guadagnerebbe spazio e quanto rimane nel distacco assumerebbe risalto. Invece le stanzette sono ingombre fino alla nausea.
Pure armato di tanta buona disposizione ho finito col provare un tedio enorme per i musei, come al tempo del Futurismo, e anche per gli Etruschi. Stavo per cercare l’uscita, quando uno dei custodi mi chiese se avevo visto il vaso, cosiddetto Francois, dal nome del donatore. Feci alcune scale fino al piano dove era esposto, non si trattava di un vaso etrusco, ma greco. Un grande vaso con scene tolte dall’Iliade. Di nuovo deluso stavo per uscire, quando un altro custode mi fece vedere prima la fotografia del vaso intero e poi ridotto in pezzi e preso uno sgabello mi raccontò che nel 1900 un custode venuto a lite col direttore del museo, preso quello sgabello, aveva infranto il vaso.
Chiesi se la causa della lite fosse dipesa dallo stipendio che doveva essere misero, egli ignorava quale fosse stata la causa, ma veniva da pensare che quel custode sacrilego, costretto a vigilare quelle teche annoianti e ingombre, in quelle stanze prive di riscaldamento e con luce incerta, avesse finito col vampare di ribellione e preso lo sgabello lo avesse scagliato.
Giovanni Comisso
da Il Mondo del 03/05/1955
Immagine in evidenza: Etrusco-Corinthian kylix – ArchaiOptix, Wikimedia Commons