Di Vicenza, mezzo secolo fa, scriveva che è «architettonicamente metafisica, portata all’incantamento, piena di grandi palazzi che si disperdono nella solitudine».
Dal ponte di Bassano guardava «la valle da cui discende il Brenta, come una parete dipinta a paesaggio di sfondo» e immaginava in anticipo sui tempi la cena sotto le volte, meravigliosa «sala aerea».
E si batteva per la valorizzazione dei musei dell’una e dell’altra città, pieni di «materiale da fare invidia ai grandi».
Poco amato dalla critica, Giovanni Comisso è stato invece uno dei più importanti autori della letteratura veneta e oltre alla sua Treviso ha tenuto un occhio sempre aperto sul Vicentino, che ben rispondeva alla sua inclinazione edonistica. Ha influenzato (e difeso in vibranti polemiche letterarie) Parise, Piovene e Barolini, ha attaccato Bassani che per elogiare Meneghello disprezzava Fogazzaro.
E’ stato esponente di quello scrivere in continuo dialogo tra l’irrinunciabilità alle proprie radici e il viaggio su lunghe distanze tipico dei novecentisti illustri della nostra regione, per i quali «ogni luogo diventa ritaglio del mondo», secondo una felice espressione di Rolando Damiani, presidente del premio letterario a lui intitolato e curatore insieme a Nico Naldini del Meridiano sull’autore.
Proprio grazie al premio, rivitalizzato dall’apporto di Unindustria Treviso, si stanno intraprendendo nuovi percorsi di divulgazione dell’opera dello scrittore, con un sito internet che macina contatti e la diffusione tra i ragazzi delle scuole.
D’altronde questo è un anno simbolico: settant’anni fa, a nove mesi uno dell’altro, se ne andavano lo scultore Arturo Martini e il pittore Gino Rossi, i grandi “rivoluzionari” amici artistici di Comisso, del quale l’editrice Santi Quaranta ha appena ristampato il breve romanzo “I due compagni”, che li narra sotto mentite spoglie.
E soprattutto è il centenario della ritirata di Caporetto, descritta in “Giorni di guerra” (1930): lì la disfatta piomba all’improvviso sulle retrovie del fronte in una malinconica incredulità generale ma il tenente Comisso, a capo del suo reparto, non rinuncia a osservarla con lirismo e a prodigarsi perché quella dei suoi uomini non sia una fuga scomposta ma un ripiegare salvando momenti di umanità e piccoli conforti.
Parallelo e contrasto forte con “Addio alle armi” di Hemingway. All’inizio del 1918, Comisso fu dislocato proprio a Bassano e successivamente sul Grappa. Finita la guerra, con gli Arditi partecipò all’impresa di Fiume, traendone materia e coraggio per il debutto letterario con “Il porto dell’amore” (1924).
Alessandro Comin del Giornale di Vicenza