A costo di sfidare la banalità, il connubio tra arte e vino trova nel poeta latino Quinto Orazio Flacco una sorta di grado-zero, un punto di inizio e coagulazione della vitalistica pulsione dell’atto del brindare. «Nunc est bibendum», «ora bisogna bere», è il celebre verso delle Odi che ricalca il frammento 332 di Alceo, scritto in morte di Mirsilio di Mitilene e declinato ora in chiave romana, per celebrare la dipartita di Cleopatra, «fatale monstrum», pericolo terribile per l’Urbe.
In alto i calici, dunque, come se il vino fosse uno strumento catartico, il simbolo fisico della riappropriazione, di un cambio di rotta, di ciò che torna in asse dopo lo squilibrio. C’è un senso di mistero nell’atto del bere, quasi un richiamo all’iniziazione che rimanda ai riti eleusini, al prendere coscienza di un’altra dimensione, di quanto è in ombra e non si svela. Per questo il simposio, nell’antica Grecia, era la parte del banchetto deputata alla coltivazione dello spirito; vino, poesia e danza per stimolare le percezioni, per varcare il confine del quotidiano.
Crescono gli uni sugli altri i riferimenti artistico-culturali in grado di mostrare la capacità generativa del vino, il senso di una bevanda che, già nel processo di fermentazione, richiama un magma di sentimenti e idee, una «pianta d’allegria», come scrive Pablo Neruda, che fa cadere muri, rocce, grazie alla quale «si chiudono gli abissi, nasce il canto».
L’azienda vinicola Loredan Gasparini di Venegazzù, frazione di Volpago del Montello (TV), sembra aver fatto proprio ogni riferimento alla creatività del vino, a un dionisiaco che esce dall’antitesi nietzschiana e torna a essere vitalismo, unione di arte e tecnica – nell’ebrezza del bello.
È una storia di uomini quella alla base di tale realtà, un racconto familiare come tanti di questa terra, fatta di guizzi e impegno, di fatica e bagliori. Comincia con la famiglia Spineda, la prima a comprendere le potenzialità del Montello, il carattere peculiare delle colline trevigiane. Poi, tra L’Ottocento e il Novecento, è il turno dei Gasparini e dei Loredan, discendenti diretti dei Dogi di Venezia.
Il Conte Piero Loredan, uomo elegante, eclettico, dopo aver viaggiato a Bordeaux fa mettere a dimora nei tenimenti aziendali i vigneti di Cabernet Sauvignon, Cabernet Franc, Merlot e Malbec per produrre vini di altissima qualità, adottando una filosofia produttiva basata sul legame territorio-vitigno che ancora oggi caratterizza l’azienda.
Fiore all’occhiello della cantina, quasi il simbolo incarnato della stessa, è – tra i vini con taglio bordolese – il celebre “Capo di Stato”, amato da Charles De Gaulle in visita alla Biennale di Venezia e inserito tra i “100 Vins de Légende”, i cento vini che meritano di entrare nella storia per qualità e tradizione.
Del resto, come scriveva Victor Hugo, «Dio aveva fatto soltanto l’acqua, ma l’uomo ha fatto il vino». Impossibile, difatti, scindere la storia dell’azienda da quell’idea di homo technicus che mira alla bellezza, che coniuga il pensiero e l’azione per dar vita a qualcosa di eccezionale, in perenne miglioramento. Così, quando nel 1972 il testimone passa a Giancarlo Palla che acquista la proprietà, la Loredan Gasparini affina il suo sguardo e la sua missione, guardando alla cultura dei vini spumanti.
Palla intuisce che il Montello è un luogo multiforme, capace di dar vita a molteplici declinazioni. Inizia così una nuova produzione, con metodo classico, impreziosita dalla consulenza di un tecnico proveniente dalla Scuola di Epernay in Champagne, a cui si affianca la spumantizzazione del Prosecco, con Venegazzù unica sottozona della DOC, proprio grazie all’impegno del patron.
Il figlio di Giancarlo, Lorenzo, entra in azienda negli anni Novanta con l’intenzione di innovare mantenendo, di far propria una filosofia che affonda le radici nella tradizione, in un incrocio di macro e microstoria che parte da questa tenuta di sessanta ettari, accanto a cui si trova Villa Spineda (oggi di proprietà di Intesa Sanpaolo), meravigliosa villa palladiana eletta dal Conte Loredan ad abitazione e centro nevralgico della cultura dell’epoca, frequentata da personalità come Alfredo Beltrame e Peggy Guggenheim.
L’azienda oggi esporta vino in circa quaranta paesi e partecipa alle tre maggiori fiere del settore: Vinitaly, Prowein e VinExpo. Ma il cuore di ogni produzione risiede nella cura del prodotto, in quella dedizione senza tempo che fa di un’azienda un punto di riferimento.
Il drammaturgo scozzese Robert Louis Balfour Stevenson affermava, del resto, che «il vino è poesia imbottigliata», e non è un caso che l’ultimo corso della Loredan Gasparini veda nei versi, nelle massime di scrittori e intellettuali un ulteriore elemento di meraviglia.
Su alcune etichette spiccano citazioni di Michele Serra, di David Leavitt, come a rendere ogni bottiglia speciale, un piccolo contenitore di non detti, giacché la poesia non è mai “finita”, né è un discorso circoscrivibile a ciò che solo appare. Così come per le etichette del “Capo di Stato”, che Piero Loredan commissionò al pittore padovano Antonio Zancanaro.
Vi si riconoscono due individui, un uomo e una donna, tracciati a segno chiaro su fondo nero, come persi nelle stelle.
Le due anime della bevanda – una maschile e l’altra femminile – in fondo i volti della bellezza, che ha uno spirito mai incasellabile, una fluidità meravigliosa come il vino.
Ginevra Amadio
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