Può un oggetto entrato nell’uso diventare simbolo della bellezza universale? C’è qualcosa di più evocativo, intimamente legato al concetto in questione di una spazzola per capelli?
Talvolta è possibile identificare un’idea con un’immagine-racconto, assimilarla a quanto chiamiamo simbolo, a ciò che rappresenta una relazione, una simbiosi tra due elementi. In quest’ottica, la bellezza – dato prismatico ed evanescente, concetto stratificato, articolato in molti rivoli – appare l’effetto di una relazione dinamica che pur conserva incastonato, dentro di sé, un certo grado di cristallizzazione, una corrispondenza “canonica” che costeggia zone dell’immaginario legate all’estetica, alla cura della persona, al benessere totale.
La storica azienda Acca Kappa, che della spazzola e dei prodotti per la cura del corpo ha fatto un brand e un valore è, in tal senso, una “vera” fabbrica della bellezza. Lo aveva già intuito Giancarlo Marinelli quando, nel 2017, curò un docufilm sulla famiglia Krüll (La fabbrica della bellezza, presentato alla 74esima Mostra internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia): quattro generazioni di artigiani e industriali capaci di dar vita a un marchio che è oggi sinonimo di ricercatezza, fascino, eleganza.
Il simbolo, nel lavoro di questa realtà che affonda le radici nel territorio svelandone la vocazione internazionale, in costante equilibrio tra contaminazione e identità, offre dunque la possibilità di venir riprodotto, di dar ritmo al tempo narrando un’epopea familiare, disponendo gli avvenimenti secondo tappe progressive, che concorrono a dar vita a una storia di formazione.
È il 1869 quando nasce la Premiata Fabbrica Spazzole Trevigiana, oggi Acca Kappa. Più di centocinquant’anni di storia ruotante attorno a un’immagine, a un prodotto capace di fissarsi nella memoria e assumere i tratti dell’iconicità, della bellezza senza tempo. La spazzola per capelli, riconosciuta come core business dell’azienda, diviene così l’emblema di un percorso “magico”, un caso di simbolo immaginoso, di legame non statico ma dinamico capace di aprire uno spiraglio su una realtà in grado di dare una rappresentazione profonda degli avvenimenti, di raccontare un’impresa di famiglia divenuta realtà industriale.
«La differenza la fanno le persone» racconta Elisa Gera, che dal 1991 ha in mano le redini dell’azienda. Pronipote del fondatore Hermann Krüll, l’attuale presidente ha ereditato i valori di famiglia, quella capacità di coniugare innovazione e vissuto senza prescindere dalla qualità, con in mente i dettami della raffinatezza, di ciò che rende un prodotto un bell’oggetto d’uso, o un dettaglio ornamentale, come se il tempo donasse a ogni cosa una patina di tenerezza, un’originalità imperitura.
Difficile non leggere tutto questo alla luce della storia che si cela dietro le due iniziali del marchio, le stesse del fondatore arrivato a Venezia da studente, un prussiano innamorato della Laguna e di quella terra che rappresenterà il luogo ideale per la sua impresa, laddove – tornando al piano simbolico – si intende il termine come attività economica e slancio d’azione, una progettualità importante, in cui investire capacità e cuore.
Ha i tratti della favola questo lungo percorso verso l’eccellenza, una storia di passione e inciampi, culminata al numero 21 di Viale Luzzatti a Treviso, in un edificio in mattoni, di tipica archeologia industriale, che oggi conserva lo spirito di quattro generazioni, ne racconta le origini, le tappe fondamentali. Documenti, scatti di famiglia, antiche pubblicità; sui muri dello stabilimento si snoda il vissuto di un’azienda che dà corpo a un sogno, quella di un giovane arrivato in Italia e deciso a non lasciarla più, importatore di setole dall’Oriente e poi mente e corpo di una piccola fabbrica specializzata in spazzole e brusche per cavalli, rafforzata dal contributo di tecnici tedeschi e dalla coeva implementazione tecnologica.
Con i guadagni delle esportazioni viene costruito nel 1905 a Mestre uno stabilimento per la produzione di scope di saggina e manici. La scelta della località non è casuale giacché l’umidità dell’area favorisce la produzione di trebbia, fibra essenziale alla produzione di spazzole per lavandaie. È questo il periodo in cui, inoltre, viene presentato al Comune di Treviso il progetto per la nuova fabbrica con la ragione giuridica di Acca Kappa Società Anonima, che si trasferisce nello stabilimento fuori le mura cittadine nel 1908. Il raggiungimento di un elevato standard qualitativo, unito al costo della mano d’opera, rende l’azienda subito attrattiva sul piano europeo; il lavoro, in prevalenza manuale, rivela lo spirito di cura che caratterizza l’agire dei Krüll, attenti al dettaglio e al movimento. Fare spazzole vuol dire infatti forare un pezzo di legno, prendere un mazzo di setole, piegarlo con le dita, avvicinarlo alla macchina pronta a collocarlo in appositi fori.
Ancora oggi Acca Kappa confeziona le sue spazzole nello stabilimento di Treviso, con metodi di lavorazione artigianale tramandati sino alla quarta generazione; il trattamento del legno, la lucidatura e la setolatura vengono effettuate a mano, i prodotti creati con essenze di legno preziose, come dimostra la spazzola “Infinito”, realizzata per i centocinquanta anni d’attività dell’azienda in soli settecentocinquanta esemplari con manico in legno di noce italiano oliato, setola naturale o spilli di legno di carpino.
Ma quella conservata in viale Luzzatti, che assume anche i tratti di sede museale, è in fondo una genealogia, la storia di una fabbrica espropriata dopo il primo conflitto mondiale a causa della cittadinanza tedesca di Krüll che riesce a riacquistarla vendendo, negli anni Venti, la sua collezione di francobolli. E poi i figli, uno morto in guerra, gli altri cinque – Herman jr, Walter, Augusto, Günther, Fritz – pronti a entrare in azienda nel 1925, portando nuova linfa in un mondo ancora in rapida mutazione, dove le brusche per cavalli iniziano il loro declino e avanzano, d’altro lato, le spazzole pensate per la pulizia dei macchinari e quelle per la cura della persona, per il raggiungimento di un’ideale estetico che è necessità quasi ancestrale, naturale.
Poi la guerra ritorna, Günther muore nel 1944, come il fratello Hans, scomparso durante il conflitto precedente. La pace porta con sé l’occupazione della fabbrica per mano degli operai, che nel 1947 la riconsegnano ai proprietari. Pian piano, tutti gli esponenti della seconda generazione scompaiono: prima Augusto nel 1961, poi Fritz nel 1977, quindi Walter e Hermann jr. nel 1984 Dopo la morte dei fratelli la fabbrica viene affidata a un uomo di fiducia, Piero Guadagnin, in azienda dal 1959, depositario di confidenze e competenze, professionista leale, grande innovatore.
Elisa arriva negli anni Novanta, una laurea in comunicazione a Boston e un lavoro a Parigi in un’agenzia pubblicitaria. Sceglie l’azienda: «Ho scoperto che era la mia vita, che lì c’era la mia storia». Si affida all’esperienza di Guadagnin, puntando gli occhi sull’innovazione. Le setole delle spazzole, le più pregiate – le Chungking, bianche, di provenienza cinese, e le Calcutta, grigie, di provenienza indiana – fanno di Acca Kappa un’azienda leader, così come le forme innovative e il packaging, sempre oscillante tra slanci in avanti e recupero del passato-
Nel 1996 Elisa Gera diventa presidente e proprietaria unica dell’azienda. Punta all’abbinamento tra spazzole e cosmetica, dalle creme ai saponi, dai bagni schiuma ai profumi. Si tratta di un unicuum nel settore della bellezza. Il mondo delle fragranze, da lei fortemente voluto, si ispira alla bellezza della natura, mira alla riproduzione di ciò che caratterizza i giardini italiani, con un richiamo simbolico al legno e alle piante del territorio, come il calycantus, “fiore d’inverno”, assai diffuso nel trevigiano.
Quella di Elisa è, in parte, un’altra storia, o forse il tassello di un itinerario potenzialmente interminabile, con i piedi saldi nella tradizione, radici e ali per continuare a volare all’insegna del gusto, della buona materia, della sostenibilità. Oggi Acca Kappa è presente in più di sessanta paesi nel mondo. Apprezzatissima nel mercato asiatico, ha conservato un’impronta familiare che la rende, agli occhi del mondo, un piccolo gioiello di purezza.
In fondo, ogni grande storia si fonda sulla ricorsività dei simboli, sulla loro capacità di raccontare innovandosi. Non è forse, questo, il senso di ogni impresa?
Ginevra Amadio
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