Sulle orme di una tradizione che fa del rapporto tra nazionale e locale un osservatorio privilegiato su temi, forme e articolazioni letterarie, il convegno Venetarium. Le voci della narrativa veneta (lo scorso 10 febbraio a Treviso, Palazzo Giacomelli) ha tentato un’importante sintesi degli ultimi, significativi contributi offerti alla letteratura dalla terra di Andrea Zanzotto e Giovanni Comisso. Non che i “padri” dei dieci autori invitati all’appuntamento siano riducibili a una manciata di nomi, vantando il Veneto una delle fucine più ricche del nostro patrimonio scrittorio, da Mario Rigoni Stern a Luigi Meneghello, da Antonia Arslan a Vitaliano Trevisan. Tuttavia – e forse sta qui la continuità tra epoche e generazioni – alcune lezioni risuonano più di altre, laddove città, paesaggi, siti e atmosfere concorrono a definire uno spazio in evoluzione, talvolta assunto come sfondo o ‘circostanza’ per raccontare un tempo interiore, in perenne equilibrio tra personale e collettivo.
Alessandro Cinquegrani, docente di letteratura comparata a Ca’ Foscari e promotore del convegno insieme a Gianluigi Bodi, recupera proprio Comisso per introdurre i lavori di una giornata che mira a porsi come tappa iniziale di un lungo percorso di approfondimento all’insegna di quella stratificazione culturale che fa del Veneto una regione-palinsesto, capace di proiettare i suoi contesti nel mondo della poesia, della prosa, del fumetto. Comisso, dunque, «nume tutelare» dell’incontro e acuto interprete dello spirito del luogo, capace di individuare nella «chiacchiera» lo specifico narrativo (sia esso formale e/o contenutistico) del suo popolo. Un gusto per il racconto che è anche esigenza di confronto, fuoco più o meno vivo di una produzione ancora legata alle sue specificità, alle radici di un territorio che ha patito l’innesto sghembo tra società industriale e mondo contadino.
Ma è ancora questo, oggi, il filo conduttore della narrativa veneta o siamo piuttosto dinnanzi a specifiche individualità, ad autori accomunati soltanto dalle origini, figli di un luogo che si fa zona di transito, fondale su cui proiettare interrogativi, dubbi, le problematiche del nostro tempo? L’assunto di fondo, chiarisce Cinquegrani, è che occorra evitare risposte nette per indagare, insieme agli autori, l’esistenza di un quadro comune in cui ricomporre – fuori dalle griglie – una miriade di frammenti in un’immagine decodificabile. Obiettivo possibile, o quanto meno più semplice, se rapportato a una mappatura di rappresentazione dei motivi ecologici incentrata su alcune costanti, come la topica industriale, il mutamento del paesaggio negli anni del boom economico, lo sfruttamento e il degrado del patrimonio ambientale.
Diverso è però l’itinerario offerto dalle scrittrici e scrittori coinvolti nell’iniziativa, eredi di un mondo già in sfacelo e capaci di interpretarlo con gli occhi di chi ha osservato, subito e reagito. È il caso di Marco Malvestio, che al convegno parla di Annette (Wojtek Edizioni, 2021) ma studia da anni il rapporto tra fantascienza ed ecologia, come dimostra il volume pubblicato da nottetempo significativamente intitolato Raccontare la fine del mondo (2021). Ma c’è altro, si diceva, e questa nuova linea veneta supera il conflitto tra cultura umanistica e orizzonte produttivo per «trasformare la rabbia in pietas», come rileva ancora Cinquegrani, per trovare nel ritorno all’”io” – al di là del ripiegamento anti ideologico – una sorgente vitale e infinitamente produttiva. Lo rileva per primo Enrico Prevedello, trentotto anni di Padova, autore de Le stelle mobili del sottosuolo (Neo. Edizioni, 2022) che ammette di scrivere per raccontare, per narrare una storia che parli di sé e poi si apra agli altri, tocchi anche le loro corde. Nessun ruolo sociale, dunque, nessuna funzione civile.
Merita un plauso la varietà delle voci coinvolte, oscillanti fra tradizione e rinnovamento, fra realismo e distopia. Impossibile non notare il cambio di passo rispetto al Novecento, quando il limite dell’esperienza femminile si traduceva in preziose indagini psicologiche e l’uomo occupava lo spazio storico, di azione e riflesso sul mondo. In questa prospettiva Venetarium si pone anche come osservatorio sulle tendenze della narrativa odierna, popolata di donne che allargano lo sguardo al mondo, capaci di coniugare memoir e riflessione sociologica, interrogazione sulla storia e racconto di sé, dei propri affetti. Così è per Ginevra Lamberti, autrice di Tutti dormono nella valle (Marsilio, 2022) e per Fosca Salmaso, che in Mia sorella (il Saggiatore, 2022) rilegge Venezia con gli occhi della sua infanzia, con uno sguardo depurato e privo di potere che è sonda sulle fragilità, sulla compenetrazione emotiva tra il luogo e le cose. Così il libro di Lamberti è un romanzo d’amore e di relazioni, una di quelle storie che attraverso la stratificazione dei sentimenti, dei demoni familiari, mostra le contraddizioni di un’epoca, l’irrompere della Storia negli interni – la valle veneta del titolo è come una matrioska – l’inceppamento dei rapporti umani. Anche Francesca Zanette, trevigiana e autrice di Dove qualcosa manca (Readerforblind, 2022), osserva i fantasmi della guerra dalla porta di un emporio delle Prealpi Venete, dove il non detto irrompe a lacerare i legami, a impedire la cicatrizzazione delle ferite storiche, psicologiche, emotive.
Dall’altro lato sta l’agire intimistico di cui parla Prevedello, quel raccontare storie per il gusto di farlo, perché risponde a un bisogno che è solo proprio, intrecciato sì al rapporto con il pubblico, come dichiara il fumettista Miguel Vila (autore di Padovaland, 2020 e Fiordilatte, 2021, entrambi canicola), ma in fondo incentrati sulle urgenze di un “io” che si fa “noi” nel dar voce al disagio, nel fotografare condizioni di spaesamento o dolore a prescindere dal luogo, in un tempo della narrazione che spesso corrisponde a quello della propria anima.
In quest’ottica, sono forse le opere di Paolo Malaguti e Matteo Melchiorre a tentare una sintesi tra le tendenze, riconoscendo debiti linguistici e di genere (Il duca di Melchiorre, pubblicato da Einaudi lo scorso anno, unisce gli stilemi del romanzo storico a quelli del giallo) che edificano un ponte tra passato e presente, nella convinzione che una visione ‘nazionale’ non possa prescindere, in fondo, dalla specificità dei propri luoghi.
Ginevra Amadio