Premio letterario Giovanni Comisso
"Un treno quasi folle" di Giovanni Comisso

Un treno quasi folle

Certe situazioni quando entrano nella mia vita vengono a svolgersi in una maniera già composta, cosicché il rinarrarle non richiede alcuna partecipazione della mia fantasia. Può darsi che tutto dipenda dalla mia attenzione e da un mio effettivo scegliere. Gli altri, presenti alle stesse situazioni, forse non riescono a districarle dal confuso che le attornia o di esse avvertono soltanto parti frammentarie.

Giorni addietro, dopo molto tempo che non viaggiavo in treno, salii su un direttissimo in partenza per Roma. Nonostante la guerra che aveva distrutto tante carrozze ferroviarie, quella dove presi posto era sicuramente la stessa che mi doveva avere ospitato moltissimi anni prima della guerra. Aveva un mezzo scompartimento che mi era stato piacevolissimo, allora, e lo scelsi, ma appena seduto vidi che era terribilmente sporco, sebbene appena in partenza dalla stazione a capo della linea. Nel sedermi mi accorsi che il divano era sfondato. Vi era il tavolinetto vicino al finestrino, lo alzai ma ricadde, perché il sostegno giaceva a terra svitato, l’aspetto era desolante, ma restava il vecchio mezzo scompartimento che mi ricordava quel viaggio, in tempi lontani, attraverso l’Italia coperta da un alto strato di neve. Mi adattai, perché ormai in Italia da anni siamo abituati alla pazienza e forse in altri paesi è assai peggio.

Da noi, se tante cose non vanno alla perfezione, vi è sempre il paesaggio che supplisce anche l’elemento umano tra i più variati. I miei compagni di viaggio questa volta furono soltanto i ferrovieri: era stabilito così. Accanto a me, sedeva appunto un ferroviere che dal Veneto veniva trasferito in Sicilia, dove non era mai stato prima. Di questa regione sapeva ben poco, mi chiese se laggiù vi erano treni a cremaliera. Capii che immaginava la funicolare del Vesuvio salire anche sull’Etna. Della Sicilia sapeva solo che era la regione dell’olio e si era portato recipienti adatti da riempire per il ritorno. Al principio della notte prese sonno e fu come si fosse dileguato.

Novara, Escursionisti In Partenza Alla Stazione Ferroviaria; 1900 ca.; stampa alla celloidina; 81X114 (Fondazione Torino Musei, Wikimedia Commons)

Ad una fermata, mentre la porta era aperta, vidi un controllore con un fanale in mano che lo agitava sorridendo dal predellino. Non capivo perché sorridesse, quando il treno ripartì, smise, salì e chiuse la porta sedendosi subito sulla panchetta attigua. Un viaggiatore in ritardo era salito sul predellino e voleva entrare, ma il controllore non si muoveva, lo avvertii, ma continuava a sorridere senza preoccuparsi dell’altro. Il treno accelerava la corsa e il viaggiatore stava pericolando, spinsi di forza il controllore via dalla panchetta e apersi la porta.

Il viaggiatore poté salire, era affannato, spaurito e subito si fece premura, vedendo di trovarsi in seconda classe, di dichiarare al controllore che aveva il biglietto di terza. “Tutti possono sbagliare – disse il controllore – non vi è nulla di male”. Allora mi accorsi che era ubbriaco, ma il viaggiatore non poteva immaginarlo: abituato alla severità dei soliti controllori, si disponeva verso di lui in condizione di colpevole che l’altro non si pensava affatto di accettare.

Assistevo al giuoco provocato dalla forza di una maschera verso un bambino. Il viaggiatore era il bambino e il controllore, con la sua maschera di controllore, si imponeva a lui anche se in quel momento non poteva funzionare come tale. Il bambino, se vede uno mascherato da negro, crede assolutamente che sia negro, anche se sotto la moretta si scopre il bianco del collo. Il controllore era pallido come l’ubbriaco a cui il vino dia soprattutto male allo stomaco, ma egli comprendeva perfettamente che nella sua posizione non doveva risultare tale e si sforzava dominarsi ed eseguire fino all’ultimo il suo dovere. Sarebbe stato in altra occasione un eroe l’essere che compie il suo dovere fino alla morte. Il combattente che spara fino all’ultima cartuccia e all’ultima goccia di sangue.

Infatti non si reggeva in piedi al ripartire del treno eppure aveva fatto regolarmente i suoi segnali col fanale fino all’estremo della possibilità. “Lei non si scomodi, rimanga in seconda, alla prossima stazione passerà in terza. Abbia pazienza” disse al viaggiatore come volesse essere tollerato.

Alla prossima fermata, un altro viaggiatore, pure salito in seconda con biglietto di terza, voleva rimanere in seconda e pagare la differenza. Anch’egli richiedeva dal controllore, che non aveva avvertito fosse ubriaco, la più …….. severità, mentre l’altro gli ripeteva: “Siamo uomini e tutti possiamo sbagliare”.

Il viaggiatore voleva assolutamente pagare la differenza e allora il controllore si mise gli occhiali, trasse un libro e cominciò a fare il calcolo dei chilometri, ma non riesciva, forse gli occhiali portavano alla sua testa il malore che sino allora gli persisteva solo nello stomaco. E fu allora che il viaggiatore cominciò ad accorgersi che il controllore non funzionava. Ne fu strabiliato, quasi sgomentato come se il treno dovesse deragliare.

fonte: Wikimedia Commons

Non c’è un capotreno? – chiedeva – Non c’è un altro controllore? Io voglio pagare il biglietto di seconda.” “Ma si calmi – diceva il controllore barcollando sino a cadergli addosso. – Stia calmo, che non casca il mondo. Lei avrà il suo biglietto di seconda.

Intanto era sopraggiunto un altro controllore. Costui non era ubbriaco, ma giuocava la parte del controllore con tale esagerazione, che sembrava uno veramente mascherato da controllore o che si volesse sovraccaricare anche della parte che l’altro non riesciva a sostenere. Teneva il berretto proteso in avanti, mentre l’altro lo teneva abbassato sulla nuca, e l’ombra della visiera gli nascondeva lo sguardo, la voce era poi di un tono roco e profondo sia per fare sentire il peso della sua autorità, sia per vincere il fragore del direttissimo in corsa. Non doveva essere la sua voce abituale, doveva essere la voce insegnatagli dal suo maestro di corso per riescire al grado di controllore. Voce decisa, rintronante, che non ammette obbiezioni, ma si capiva che la sfoderava al massimo per salvare il compagno di cui sapeva l’ubbriachezza. Gli faceva usbergo di questa voce, o meglio paravento per nasconderlo, per renderlo inavvertibile. E preparò il biglietto dopo avere scostato il compagno da sé a colpi di gomito e con occhiate ammonitrici nell’ombra della visiera.

L’altro era scomparso, ma come feci per ritornare al mio mezzo scompartimento lo trovai nel corridoio e mi sbarrava il passo non volendo che proseguissi. Cosa orrenda e inaudita: mi accorsi che egli sorrideva, ma di un sorriso felice, il sorriso risanato dell’ubbriaco che più non soffre, e dietro a lui il pavimento era insozzato della causa del suo male. Retrocessi fino alla vettura ristorante per prendere un caffè.

I viaggiatori avevano intanto finito la cena. Quello seduto davanti a me era molto elegante, stoffa magnifica, cravatta stupenda, sigarette rare: un giovane uomo molto ricco, molto annoiato; sembrava seccato mi fossi seduto al suo tavolo per bere solo un caffè; e si mise di sghembo come per dimostrare che non dava alcuna importanza alla mia presenza e poi con un dito cominciò a pulirsi il naso. La mia pazienza a sopportare crollò

Bevuto il caffè all’in piedi, raggiunsi il mio posto superando l’altra bruttura. Ma appena seduto, il divano sfiancato, dove già altri avevano preso posto, non resse e tutti ci trovammo per terra. Mi ricordai del sostegno del tavolinetto e proposi d’aggiustarlo sotto il divano. Difatti servì benissimo. In quella notte tutti i direttissimi arrivarono a Roma con molti minuti di ritardo, solo il mio arrivò in perfetto orario.
Giovanni Comisso

da Il Tempo del 06/03/1949

Immagine in evidenza: San Maurizio – Treno In Partenza. San Maurizio Canavese- Treno Della Ferrovia Torino-ceres Dopo La Partenza; 1897c; stampa alla celloidina; (Fondazione Torino Musei, Wikimedia Commons, rielab)

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