Giovanni Comisso - Un pittore solitario

Un pittore solitario

Conosco pochi artisti, che lo siano come Juti Ravenna. Ed egli di origine friulana, d’una cristiana famiglia terriera, ha scelto per vivere Venezia, la città più artistica d’Italia. Queste sono parole comuni, ma i fatti sono che Ravenna nell’amore per l’arte è completamente slegato da tutte le altre ragioni del vivere, così come Venezia è una città sorta su condizioni naturali che non ammetterebbero l’esistenza di una città. Irreale l’artista come uomo, irreale la città che lo ospita. E come Venezia va soggetta a tutti i capricci della natura, nebbie, umidi, scirocco e alta marea che a volte ne copre le piazze e le calli, così questo pittore subisce tutte le dure difficoltà del vivere, immemore delle sue esigenze, preoccupato piuttosto che non manchi il mangime per i suoi numerosi pappagallini che tramutano in una foresta brasiliana coi loro gialli, verdi e cobalto e coi loro cinguettii d’amore la sua squallida soffitta che è come un piombo del Palazzo Ducale.

Juti Ravenna – Autoritratto – 1929 (foto di Rave1000, Wikimedia Commons)

Vive egli nel suo piombo, ignaro della sua condanna, infervorato dalla sua ricerca pittorica, fantasiosamente accompagnato dai suoi gioiosi animali, e accanto al suo umile letto stanno bellissimi libri d’arte e rare edizioni letterarie che nelle pause lo risollevano, e fuori dalle finestre è Venezia, coi suoi tetti, i suoi campanili, le sue cupole, il suo cielo, visti dall’estrema altezza di un palazzo Patrizio, tramutato in scuola. Egli non pensa all’oggi relativamente a sé, ma pensa al futuro come tutti i grandi artisti, non si cura di esporre, di vendere, di cercare giudizi per una cronaca contemporanea, pensa all’arte, alla vera arte e al futuro. Concede di rivelarsi solo per il consenso di pochi e selezionati amici ed io stesso posso parlare di lui solo per il nostro vincolo di amicizia.

Juti Ravenna – Venezia (Museo Mario Rimboldi)

A Venezia si sa appena che esista o se si sa, si crede talvolta che la sua vena si sia esaurita, o che sia assente, tanto egli non fa pressioni nelle locali mostre o nei locali centri. Questo suo metodo gli da sofferenze materiali più che transitorie, gli costa, come si può immaginare che costi, oggi, stenti e privazioni, ma egli ha i suoi sogni e soprattutto la sua grande fede nell’arte. Non si può ridurlo altrimenti, ed egli ha ragione, egli sa che per un’artista il successo grande che giovi è quello conclusivo, quello per così dire postumo, e così trascura l’effimero, per vivere come da trapassato. Recentemente per pura accidentalità alla mostra del collezionista a Cortina d’Ampezzo, si sono potute vedere una ventina di sue opere frazionate fra vari collezionisti ed ha meravigliato critici, amatori d’arte e autorità che non lo conoscevano.

Io lo conobbi ad una delle prime mostre che organizzava Nino Barbantini a Ca’ Pesaro, subito dopo la Grande Guerra, esponeva allora alcuni quadri che vorrei definire narrativi, di ragazzi estivi che giocavano con delle travi, nitidi, schietti, facili, come possono essere facili per il vero artista, per niente pesava il lavoro creativo, la ricerca del colore, lo scorrere delle linee plastiche e prospettiche. Erano le prime gemme, essenziali, istintive, scoppianti. Poi subentrarono i periodi dove, cosciente, dovette imporsi problemi e le prove. E si provò e riescì validamente nel ritratto e nel paesaggio, e nel disegno e negli accordi del colore in un crescendo senza tregua.

Subentrarono i periodi di studio e di selezione. Ebbe, in Venezia, modo di studiare gli antichi e attraverso le Biennali i moderni, italiani e stranieri, quelli che nel secolo passato avevano acceso le più clamorose polemiche e concluso le più alte scoperte, e non mancarono anche i contemporanei d’ogni paese a ragguagliarlo nei suoi tentativi di oltrepassare i limiti raggiunti. Vagliò la sua opera su questi studi e raffronti, e mentre gli si affinava il gusto, non ebbe mai da ricredersi di avere subito incontrollate influenze. Nella sua dura solitudine si fortificò d’un equilibrio senza pari, scoprendo dagli antichi ai modernissimi l’avena sostanziale, come quella della terrena linfa vitale, che li unisce tutti, quella che egli doveva raggiungere pure nella sua opera, e per cui solo questa poteva essere duratura.

Oggi egli è un maturo artista e le sue opere sono indistruttibile arte, resistente al tempo e al giudizio degli uomini. Nei suoi ritratti egli scava nel colore la forma, non si perde ad abbellire o a drammatizzare il soggetto, il soggetto è per lui un’apparizione che gli si imprime dentro, e i colori che da esso emanano vibranti vengono scelti tra i dominanti, riflessi dalla sua anima come da uno specchio.

Nei paesaggi è il suo canto, per capire bisogna sapere cosa sia Venezia, che se di per sè stessa offre paesaggi unici al mondo nel gioco delle acque e del cielo tra gli effetti delle case macerate di acqua e di cielo, crea però un ambiente chiuso, per cui solo che si possa evadere andando al Lido o in terraferma, agli occhi assetati di verde e di terra, tutto appare come un altro mondo. Così quando Ravenna può liberarsi dall’incantesimo veneziano e camminare coi suoi occhi dischiusi nel capo eretto, lungo la spiaggia variata di capanne o di gente col mare che si sprofonda azzurro o tra gli alberi che respirano nelle loro foglie, o andando in terraferma, presso colline che giuocano come onde, la sua emozione poetica che non trova nelle labbra parole, gli trascende tutta alle estremità delle dita nella furia impulsiva di ricreare.

Juti Ravenna – Figura di donna (Museo Mario Rimboldi)

Ma la purezza di Ravenna sta in questo che egli non è un pittore di genere, né di tipi, né di particolari ambienti, del mondo seriamente egli sceglie quello che è meno tipico, quello che per così dire è meno già dal mondo stesso composto in quadro. E così testimonia la forza della sua personalità.

Verrà sicuramente il momento in cui in Italia si terrà conto dell’opera di questo pittore nonostante il suo disinteresse, ed egli sarà costretto ad uscire dal suo piombo, dalla sua voluta condanna di meditativa e serafica solitudine, perché l’umanità rasserenata avrà estrema necessità di godere della sua arte, portata alle battute conclusive, come di una indispensabile materia prima. Allora questo artista, che ha sempre vissuto alla maniera dei veri artisti italiani, sacrificando tutto per l’arte, verrà sicuramente riconosciuto appartenere a quella vena sostanziale della grande tradizione che lega gli antichi ai moderni.

Giovanni Comisso

Giovanni Comisso - Un pittore solitario

da La Gazzetta del Popolo del 10/10/1942

Immagine in evidenza: Juti Ravenna – Il Sile a Casier (foto di Rave1000, Wikimedia Commons)

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