"Un ingrato destino" di Giovanni Comisso

Un ingrato destino

Nella sua giovinezza aveva passato i confini vendendo occhiali. Andava a piedi con la cassetta a tracolla da una parte e dall’altra l’ombrello. Alto, forte, aveva un passo lento, sicuro, un passo che lo avrebbe portato dove avesse voluto dalla valle del Po a quella del Danubio, dalla riviera ligure al lago di Ginevra. Nato tra le montagne venete, insofferente alla sua valle chiusa, aveva seguito lā€™estro di altri giovani del paese che con la cassetta a tracolla se ne erano andati via da quella valle seguendo il corso del torrente che scendeva al mare. Non aveva avuto mai paura degli uomini qualunque lingua parlassero, le sue braccia erano forti, non aveva mai saputo cosa fosse malattia, nĆ© stanchezza: al mondo vi erano le strade: attraversavano le pianure, passavano i fiumi, andavano oltre le montagne e colle sue gambe, chilometro su chilometro, un tanto al giorno, passava da una regione allā€™altra, fino alle terre straniere che nellā€™avvicinarsi lo animavano di attesa. E ad ogni paese trovava sempre qualche vecchio che aveva logorato le lenti dei suoi occhiali o qualche vecchia che voleva vedere piĆ¹ chiaro quando alla sera si metteva a cucire sotto alla lampada a petrolio. Poi si innamorĆ² di una ragazza della cittĆ  vicina alla sua valle, aveva messo da parte dei buoni guadagni e la sposĆ². Egli tuttavia non voleva rinunciare alla sua vita errabonda e comperatosi un cavallo e una carrettina vi mise sopra piĆ¹ merce che non nella sua cassetta e si portĆ² dietro anche la moglie. Poi vennero anche i figli e sulla carrettina ci stavano anche quelli, avidi a guardare i paesi che attraversavano. Ma quando questi furono piĆ¹ grandi, e si trovĆ² col denaro sufficiente, e alla moglie il viaggiare le cominciava a dar noia, decise di stabilirsi nella cittĆ  di questa e di aprire una bottega. Aveva una voce che gli risonava dentro alla testa, una voce da solitario che per lungo tempo se ne sia stato senza parlare, e una rudezza da montanaro che rendeva piĆ¹ lieve interpolando nel discorso arguti e sentenziosi proverbi appresi dai vecchi di tanti villaggi che aveva attraversato. I figli erano cresciuti, ma avevano preso gusto alla cittĆ  e alla bottega che andava bene e non sentivano lā€™estro errabondo del loro padre.

Foto di Ksenia Chernaya

Il maggiore aperse un negozio in un’altra cittĆ  e lā€™altro rimase con lui ad aiutarlo. Invecchiava, ma era forte, quando veniva un cliente gli faceva leggere lettere di diversa grandezza su una tabella che teneva appesa, gli faceva fare un passo indietro o uno avanti comandandoglielo bruscamente colla sua voce risonante, gli faceva leggere la prima riga, la seconda, poi le altre, infine diceva: Ā«Ho capito, per lei occorrono di queste lenti. Cosa vuole, signore, gli occhi sono una bella cosa, ma nella vita tutto ha un termine. Il mondo ĆØ fatto cosƬĀ». Ricercava nelle vetrinette sopra il banco, preparava gli occhiali. Ā«Ecco, ā€” diceva, ā€” provi adesso. Ci vede meglio? La scienza corregge le leggi della natura, e lā€™uomo ne gode il beneficioĀ». Il cliente vedeva meglio, poi prendeva lo specchio, faceva che si guardasse, che considerasse se il suo aspetto era autorevole, rispettabile: Ā«Sembra un professore, un giudice del tribunale; un guadagno del cento per cento, signoreĀ». E tutti trovavano un piacere di essere serviti da lui che sotto alla sua rudezza rivelava onestĆ  e esatta esperienza della sua arte.

Foto di Lucas Pezeta

Come passatempo e anche per farsi rinomanza, quando aperse la bottega, tenne davanti l’ingresso un telescopio su di un treppiede e appena alla sera apparivano le prime stelle o giĆ  si illuminava la luna per pochi soldi faceva vedere piĆ¹ da vicino quei mondi lontani che lo avevano accompagnato nel suo lungo errabondare. Quella luna, quelle stelle egli le aveva viste uguali anche quando era in terre straniere e riguardandole, sempre, gli avevano dato lā€™impressione di riportarlo per le strade oltre i confini di dove le aveva tante volte guardate con l’ansia di sapere se fossero abitate. Alla sua bottega egli aveva dedicato tutto il suo quotidiano amore nel metterla in ordine, nellā€™ esporre in vetrina la merce piĆ¹ attraente, nel tenerla fornita di tutte le novitĆ  che gli venivano segnalate dai fornitori: nuove montature, nuovi tipi di lenti, nuovi tipi di astucci. Era come la sua cassetta che aveĀ­va portato a tracolla di regioĀ­ne in regione diventata gigantesca. Il figlio lo aiutava ad applicare le lenti, a fare tutte le riparazioni relative, e siccome sapeva scrivere meglio di lui teneva anche la corrispondenza con i fornitori. Questo figlio si era sposato assai presto e i suoi due ragazzi venivano giĆ  in bottega a familiarizzarsi con essa, con quello che il nonno vendeva, con questa merce che egli con la sua voce risonante spiegava loro che non era una merce qualsiasi, ma che aveva uno stretto rapporto con la scienza. Ā«Vi sono calcoli matematici che bisogna fare prima di vendere un paio di occhialiĀ», diceva. Ā«E non ĆØ come vendere patateĀ». La vecchiaia, intanto, si avvicinava per lui con una sorditĆ  fastidiosa che lo obbligava a richiedere piĆ¹ volte ai clienti cosa volessero, e questi a volte si seccavano e se ne andavano via insofferenti di perdere tempo, se dal retrobottega non si affacciava il figlio ad interporsi per servirli. Fu cosƬ che egli dovette mettersi un po’ in disparte, ma rimase tuttavia dietro al banco. Il piĆ¹ grande dei nipoti passĆ² nel retrobottega, nel laboratorio, come lo chiamava il vecchio, e suo padre venne al banco per trattare direttamente coi clienti. In due al banco fu peggio, perchĆ© il vecchio che non afferrava quello che si richiedeva. si intrometteva facendo una confusione che irritava il figlio e inquietava il cliente. Erano bisticci continui, dove la voce rumorosa del vecchio riempiva la piccola bottega come una grotta il fragore del mare. Il figlio, un giorno che un cliente se ne era andato via lasciandoli leticare tra loro, disse decisamente: Ā«O io o tu qui dentro. Altrimenti ĆØ meglio chiudere bottegaĀ».

Il vecchio urlava che quella bottega lā€™aveva messa su lui colla sua fatica, che egli da giovane aveva mangiato pane asciutto per risparmiare il centesimo e che a forza di centesimi risparmiati aveva potuto aprire quella bottega. Ā«Il padrone sono io qui dentroĀ» gridava, e suo figlio gli ribatteva: Ā«Ma non sei padrone di farci morire di fame, al banco ci sto io solo, perchĆ© tu ci fai perdere la clientelaĀ». Il vecchio si sedette fuori dal banco e non disse piĆ¹ nulla, era come un albero che fosse stato separato dalle radici. E quello rimase il suo posto nella bottega. Quando entrava qualcuno dava il buon giorno, osservava quello che gli veniva venduto dal figlio e nellā€™andarsene lo salutava ancora toccandosi il cappello che teneva sempre in testa come quando andava di strada in strada; a lui non rimaneva che fare il riscontro di cassa e di aprire e chiudere la porta della bottega allā€™inizio e alla fine della giornata con la vecchia ansia al mattino per le vendite che si aspettava, con accurata attenzione alla sera nella paura di non chiudere bene, con tanta roba di valore che vi teneva dentro. I nipoti erano cresciuti e ambedue nella bottega, uno nel laboratorio, lā€™altro tra questo e il banco, ad aiutare ora il fratello, ora il padre, finirono collā€™essere in troppi, e il vecchio pur seduto fuori del banco impacciava anche lƬ. Certe volte, quando suo figlio era assente, se entrava qualcuno, si alzava subito lui e chiedeva cosa desiderava, ma la sorditĆ  gli tendeva il solito laccio, doveva farsi ripetere piĆ¹ volte cosa voleva, e allora si intrometteva il nipote piĆ¹ grande, e spingendolo fuori dal banco trattava lui col cliente non senza aver leticato aspramente col nonno, che strepitava per il suo spadroneggiare in quella bottega che era sua. Al nipote piĆ¹ grande presto imparĆ² aggiungersi anche il piccolo, anche lui trovava che il nonno impacciava lƬ dentro, che disgustava i clienti, entrambi riportavano e ingrandivano al padre quello che succedeva quando non vi era lui. Si fece una specie di congiura contro il vecchio, tutti erano dā€™accordo che in bottega non doveva piĆ¹ mettere piede. Suo figlio ne parlĆ² alla sua vecchia madre e riescƬ a convincerla, egli avrebbe passato a loro un tanto al mese per vivere, ma suo padre non doveva venire piĆ¹ in bottega. Ed essa, tra un brontolio e lā€™altro del vecchio che malediceva il figlio ingrato e bestemmiava il suo destino, riescƬ a persuaderlo, e non venne piĆ¹ neanche a sedersi fuori dal banco. Senza nulla da fare se ne stava fastidioso per la casa col cappello in testa come sempre dalla sua giovinezza errante, andava dopo mangiato a fare una passeggiata per il corso e arrivava fino alla sua bottega, ma non osava passarle vicino, stava dallā€™altra parte della strada e aguzzava lo sguardo per vedere come era la vetrina se entrava qualche cliente e chi stava al banco. Poi se ne ritornava a casa e il suo pensiero era costante alla sua bottega. Ritornava dopo cena, la vedeva chiusa e allora le passava vicino e con le sue mani controllava che avessero ben fermato la porta.

Foto di Ammad Rasool

Ritornando a casa, per distrarsi leggeva il giornale, ma i suoi occhi non vedevano bene e un giorno decise di farsi preparare un paio d’occhiali, lo disse a suo figlio, che glieli mandĆ² per il nipote piĆ¹ grande. Questi gli fece vedere la montatura perfetta, gli disse che le lenti erano della migliore fabbrica. Il vecchio, prendendo gli occhiali in mano, disse cupamente: Ā«Lo soĀ». Se li mise sul naso. Il nipote disse che si guardasse allo specchio per vedere che gli stavano bene. Egli mugolĆ² acre. Il nipote insisteva, egli lo allontanĆ² col suo braccio. ProvĆ² a leggere, andavano bene, e il nipote avido e arrogante gli disse allora come fosse stato un cliente che suo padre gli aveva detto che costavano cento e venti lire a prezzo di fabbrica. Il vecchio aveva inteso, ma non rispose come se quelle parole non gli fossero arrivate, reclinĆ² il capo, sino a nascondere gli occhi nellā€™ombra del cappello, e non vedeva piĆ¹ niente perchĆ© aspre le lagrime gli bagnavano gli occhiali: Ā«Lo so cosa costano. E che le metta in contoĀ», disse, e la sua voce era fievole come fosse il suo ultimo respiro.
Giovanni Comisso

da il Corriere della Sera del 16/12/1943

Immagine in evidenza: Ā©Ā Redazione CulturaĀ –Ā “An old optician, Italy, 1940”

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