La giornata era rigida. Pietro Manganotto discese dall’automobile a nolo e, dato ordine allo «chauffeur» di non muoversi, sollecitò i due contadini a scendere. Disse loro di prendere il piccone e il badile che avevano legato dietro e di seguirlo presto. Il cielo era completamente coperto; e, data un’occhiata verso i monti che apparivano foschi al di là della bassa curva del Montello, pensò che la prima neve doveva essere prossima. Guardò la bella casa colonica, a due piani, con la sua stalla e il suo fienile: quella era una cosa che aveva già minutamente osservata nei solai e nei soffitti, tutti in ottime condizioni; ma tutto attorno non vi era che un terreno incolto e ondulato in un modo tale da far subito pensare che in tempi addietro avesse servito da letto alle acque del Piave. I contadini che apparvero sotto il portico, facendo un pigro segno di saluto, erano costretti ad andare ad opera nelle terre vicine. Egli li guardò brevemente e provò un entusiastico sentimento di ordine al loro riguardo.
— Se la terra sarà buona, -— pensò, — vi darò io il lavoro vicino alla vostra casa. — E, rivoltosi ai due contadini che aveva portato seco: — Su, su, svelti, — disse. — Che state facendo? non siete neanche buoni di disfare un nodo? — E con pochi tocchi delle sue dita nervose riescì a scioglierlo egli stesso. Poi entrarono nella campagna. Guardò avidamente quel terreno bruno coperto d’erba e di sterpi e subito disse, a quello che portava il piccone di cominciar a scavare. Una zolla saltò al primo colpo scoprendo una terra fine quasi sabbiosa, vi pose la mano e ne raccolse un pugno, che lasciò cadere sfregando le dita: — Medio impasto, — pensò, — terra buona da gelsi. — Ordinò di continuare gli assaggi tutto attorno, ogni venti metri, e intanto si mise a camminare su e giù, ora battendo il piede ora affondando il suo bastone.
Sentiva sotto il soffice dell’erba il terreno, come una carne attraverso la stoffa del vestito, e calcando il tacco ora sentiva il molle e ora una resistenza compatta. Allora con voce aspra richiamava il contadino dal piccone e faceva scavare: per qualche tratto trovò che vi erano delle vene di ghiaia. Faceva freddo, ma egli non sentiva: la smania di accertarsi scrupolosamente della qualità della terra che voleva acquistare gli teneva tutti i suoi sensi asserragliati. Si muoveva sulle gambe scarne, coi pantaloni stretti al collo del piede da una morsa d’acciaio come usano i ciclisti, a piccoli passi quasi costretto da un dolore, e si teneva curvo con la testa leggermente inclinata come se volesse aiutarsi con l’udito nello scoprire il segreto che quella terra racchiudeva. Per tutta la mattina esplorò la parte a destra della casa. Intese da Arcade il suono delle campane di mezzogiorno, ma egli volle ancora scandagliare circa mezzo campo che gli rimaneva.
I contadini lavoravano con lentezza come per fargli capire che era ora di andar a mangiare: egli capiva a fiuto le loro intenzioni, e con scatti nervosi toglieva di mano il piccone e si metteva egli stesso a scavare, poi glielo ributtava tra le mani: — Su su, che abbia da insegnarvi io come si ha da fare? — Come ebbero finito, ritornarono alla casa colonica e dall’automobile egli trasse la poca roba che aveva portato per colazione. I contadini volevano dargli da sedere, ma egli rifiutò: — No, no, bisogna far presto, perché prima di sera devo decidere.
Quando il cielo già cominciava a oscurirsi per il tramonto imminente, sotto la gravezza rigida dell’aria ventilata a grandi soffi dal Piave poco lontano, Pietro Manganotto ritornò dall’aver tastato anche l’altra parte del terreno. Teneva la testa curva, ma dentro di sé già gli brillava la prima gioia data dalla certezza dei suoi pensieri.
— Casa fatta e campi da fare, — si ripeteva, e rideva di tanto in tanto pensando a tutti quelli che, arrivati lì in automobile per vedere quella terra e vistala così squallida e selvaggia. ne erano ripartiti cinque minuti dopo completamente convinti che sarebbe stato un pessimo affare. Ora egli sapeva punto per punto quanto e dove fossero le zone ghiaiose e le aveva calcolate: — Appena un campo su ottanta. — Entrò nella cucina e si sedette vicino al fuoco.
Trasse il suo notes e chiamò il più vecchio degli uomini. — Voi che siete il capo di casa, ditemi un po’: quanti sono i vostri figli? — E prese a notare; poi volle sapere quanti figli aveva ognuno dei suoi figli e ancora se erano bambini o ragazzi. Trovò che in proporzione ai campi il numero era sufficiente. Volle sapere ancora se andavano tutti d’accordo. Poi chiese se in quella zona grandinava di frequente, se capitavano arsure. A ogni risposta, prendeva nota. Si alzò, trasse un sospiro e montò in automobile per far ritorno a casa. Entro dieci giorni la nuova terra era passata in sua proprietà.
Suo nonno era stato amministratore di terre e suo padre pure: ed egli non aveva fatto che seguire il mestiere dei suoi vecchi. Ricordava il vecchio nonno quando partiva a cavallo per andare dai padroni a dare resoconto dei raccolti, sempre con un cestino di ova fresche per la padrona, stretto al fianco, infilato al braccio. Tanto suo nonno quanto suo padre vissero sino ai novant’anni. E con la salute di ferro gli tramandarono l’amore per la terra. Subito dopo la guerra, durante il periodo delle «Leghe Bianche», quando si tentò di togliere le terre ai padroni, un giorno, mentre si trovavano a colazione, entrarono nel salotto i contadini che lavoravano la loro campagna circostante alla casa. Non si tolsero il cappello e subito uno di loro cominciò a dire:
— Ci hanno detto che adesso qui dobbiamo venire noialtri e che loro devono andarsene. Sappiano però che possono fare la cosa col loro comodo; non è detto che debbano andare via subito, ma il nostro diritto è questo.
Pietro li guardò furente, si pulì la bocca col tovagliolo, lo strofinò sui baffi irti e rossicci, si rivolse a suo padre e gli disse: — Senti, parla tu, perché altrimenti io faccio uno sproposito. — E uscì. Allora suo padre battendo le dita sulla tavola cominciò a dire:
— Va bene, noi andremo via dalla nostra casa, per lasciar posto a voi, e allora andremo ad abitare nella casa dove state adesso. In questo modo voi diventate i padroni e noi i vostri dipendenti. Allora anche noi abbiamo il diritto di cacciar via voialtri, ma una volta che vi avremo cacciato, eh! no, per Dio, che non vi lasceremo più ritornare, brutte canaglie che non siete altro!
I contadini lo guardavano spauriti e si ritrassero senza replicare. Pietro da bambino giocava a fare l’agricoltore, preparava piccoli campi, dalla vicina fontana derivava un canaletto d’acqua e si divertiva ad irrigarli. Più grandicello, quando i contadini lavoravano sui campi, andava di nascosto dietro alla siepe e si metteva ad ascoltare i loro discorsi. I contadini lavoravano e parlavano tra loro. Il più anziano diceva ai figli: — Se il fattore vi domanda qualche cosa, dovete sempre rispondere che non sapete niente.
Così egli cominciò a capire che il contadino, col suo aspetto bonario, è un furbo profondo. Capì che non bisogna mai credere alle sue risposte, che per avere l’idea esatta d’ogni cosa bisogna farsela da sé stando presente ai lavori e guardando coi propri occhi. A sedici anni suo padre gli diede il primo incarico. Si trattava di fare una bonifica: ebbe cento uomini sotto di sé, che sarebbero stati pagati in base alla terra scavata. Finito lo sterro del canale, fece i suoi calcoli. Gli operai si opposero alla sua cifra. Il sole nel pieno meriggio era violento. Tumultuavano e minacciavano.
Egli disse loro: — Se io insistessi a dirvi che la cifra è giusta, voi siete in cento contro di me e mi ridurreste a pezzetti; non andrò a mangiare, non fa niente, rimango qui e rifaccio il calcolo, sotto i vostri occhi.
Ne risultò che aveva calcolato in più un centinaio di metri cubi, e pagò una cifra inferiore, senza che nessuno osasse parlare.
La nuova terra attendeva la sua opera. Vi arrivava solo, di mattina presto; senza tanti preamboli, chiamava i contadini e ordinava che lo seguissero. Segnò il tracciato di due strade che dovevano attraversare in croce i campi futuri e dispose per una terza che avrebbe dovuto girare attorno, lungo il confine. Fornì la stalla di bestiame, il fienile di foraggio e ordinò di arare; segnò i campi, dispose per le piantagioni dei gelsi e delle viti. Il lavoro era aspro: in certi punti vi erano dei profondi avvallamenti da colmare. Le zone ghiaiose sotto l’impeto dell’aratro mandavano su dei grossi ciottoli. — I ragazzi che non hanno niente da fare, che raccolgano questi sassi: sono buoni da calce; li porterete alla fornace, — diceva.
Giorno per giorno, con l’avvicinarsi della primavera, vedeva quella terra modellarsi secondo la sua idea. Nel primo anno solo metà venne portata a coltivazione. Il granoturco riescì straordinario, i gelsi e le viti crebbero meravigliosi. Nell’autunno dell’anno scorso, due anni dopo l’acquisto, volle farmi vedere questa campagna. Volle che osservassi come erano i campi dei vicini, poi entrammo nei suoi: dovunque l’occhio godeva per l’ampio ordine dei campi bene inarcati, divisi da filari ariosi di gelsi e di viti. Mi portò più avanti, dove gli uomini stavano arando e livellando gli ultimi pezzi di brughiera. — Vede, prima era tutta così. — E mi indicò sulla destra della strada il terreno che ondulava incolto, poi mi fece volgere lo sguardo a sinistra. — E quest’anno diventerà tutta così. — Gli uomini aravano svelti, altri caricavano della terra su un carretto e poi la scaricavano negli avvallamenti. Anche le donne aiutavano: le brune teste coperte dalla massa dei capelli si voltavano mostrando il rosso della guancia animata dal lavoro. Due cani correvano festosi sul terreno appena arato. E sul ciglio della strada un mucchio di-bambini, come sprigionato dalle zolle, guardava i grandi a lavorare.
Sotto il cielo alto e leggero dell’autunno la terra fresca splendeva come argento. Pietro osservava; diede alcuni ordini secchi: i contadini assicurarono che sarebbe stato fatto come egli desiderava. Un sentimento di franchezza ravvivava il loro sguardo. Poi, voltate loro le spalle, mi trasse a sé su d’un piccolo rialzo del terreno e, proteso il bastone in direzione d’una casa lontana: — Vede, — mi disse, — quel noce vicino a quella casa? Là durante la battaglia del Montello vi era una nostra mitragliatrice; gli Austriaci avevano passato l’argine della ferrovia ed erano venuti avanti in grandi masse, senza accorgersi dei nostri che stavano nascosti tra i rami del noce; la vedetta che stava lassù diede il segnale a un’altra mitragliatrice che si trovava in prossimità della mia casa colonica, e, come si intesero, apersero il fuoco dietro alle spalle, e fu tutta una strage. Ne seguì l’avanzata dei nostri, tra le fornaci e l’argine: presero due cannoni e prigionieri, ed è stato proprio qui che è cominciata la controffensiva del Montello. Qui, da questo punto, su questi campi. — Si arrestò un attimo offrendomi in pieno il suo volto, dove il sorriso aumentava le rughe; poi proseguì come inebriato dal senso della sua potenza: — Prima una battaglia, adesso un’altra; prima una vittoria, adesso un’altra. — E, come si vergognasse della soddisfazione che gli vampava nello sguardo, si chinò per raccogliere un grosso sasso che lanciò nel cumulo degli altri.
Giovanni Comisso
da Il Corriere della Sera del 06/05/1931