Non era finito l’anno della marcia su Fiume, il 1919, quando un giovane apparve sul palcoscenico di quella città. Si chiamava Furio Drago, aveva diciassette anni, veniva volontario da Levanto e il suo nome pareva gli imponesse tutta l’avida prepotenza dei liguri.
Abitavo nel comando della mia compagnia che dava sulla piazza centrale e ogni giorno a tutte le ore vi era spettacolo da assistere. Un giorno il Comandante da un palco eretto nella piazza assisteva a una sfilata di truppe. Lo osservavo con il cannocchiale, a un certo momento ebbe il capriccio di prendere per il fiocco il fez di un ragazzo ardito che gli stava davanti e se lo mise in testa. Ricordo il sorriso di quel ragazzo, nella sera lo ricercai, era Furio Drago, lo ritrovai in un lurido albergo dove viveva con due amici milanesi arditi di guerra, facendo vita da anarchici.
Avevano lavato la biancheria che stava appesa su spaghi tesi attraverso la stanza. Uno dei due milanesi aveva dipinto un quadro futurista che rappresentava lo scoppio di una bomba nella Galleria di Milano che contrastava con l’asciutta dolcezza del suo volto. L’altro, S.P., aveva un parlare sibilante e affrettato.
Da quel momento s’iniziava una drammatica e imbrogliatissima educazione sentimentale della nostra epoca.
Furio, che manteneva con alterigia l’accento della sua regione, era orgoglioso che il Comandante gli avesse preso il suo fez per metterselo in testa. Questo gesto scherzoso fu un viatico satanico per tutta la sua vita. Erano in preda a una droga e farneticavano; di fuori la città aveva i lampioni a gas con la fiamma accesa, ballavano nelle piazze e per le strade.
Pochi giorni dopo un nostro aereo andò a sbattere contro alla parete di una casa e Furio si precipitò tra le fiamme per salvare l’aviatore ustionandosi a un braccio.
Quando divenni amico di Guido Keller che era il segretario d’azione del Comandante, gli presentai questi nuovi amici ed egli li accolse nella compagnia speciale che egli aveva formato come guardia di D’Annunzio, chiamata La disperata.
Finita l’impresa di Fiume seppi che S.P. era diventato fascista. Si era trovato in carcere con Mussolini e questi gli aveva garantito che preso il potere lo avrebbe voluto al suo fianco.
L’altro, il pittore futurista, che mi pare si chiamasse Fantoni, morì molto presto dissipato dal disordine del vivere.
Furio Drago che mi aveva rubato un impermeabile, prima di partire per Fiume, ebbe la nobiltà di rispedirmelo da Levanto e lo rivendei per pagare il tipografo che mi aveva stampato II porto dell’amore.
Il giorno della marcia su Roma, andai al Vittoriale con altri legionari per ricevere ordini. Il Comandante ci fece sapere che non dovevamo muoverci, ubbidienti e stretti nella nostra associazione.
A Gardone trovai S.P. mandato da Mussolini a sorvegliare le mosse del Comandante. Egli quasi mi ordinò di ripartire immediatamente con i miei compagni come se Mussolini, in quel giorno, temesse ogni contatto tra D’Annunzio e i suoi legionari.
Nel 1923 andai a Siena per frequentare quell’università e trovai Furio Drago sottotenente di artiglieria da montagna. Mi raccontò che nell’estate di quell’anno Mussolini era venuto a Levanto con la sua famiglia per fare i bagni. Egli aveva fatto vedere il suo braccio ustionato a Fiume. Mussolini lo giudicò subito uno di quei giovani che gli occorrevano, gli disse di venire a Roma e gli avrebbe dato carta bianca per quello che avrebbe desiderato.
Un giorno alla stazione di Levanto una straniera partiva per Roma e presi da subitaneo e reciproco furore, salirono insieme sul treno. A Roma chiese a Mussolini di essere fatto ufficiale e di servire nell’esercito, così aveva avuto quella nomina e quella destinazione.
A Siena roteava follemente attorno al suo nome che gli riesciva sempre più assillante. Voleva fare lo scrittore e io ebbi la pazienza di dettargli un libro, Il girasole di fuoco, dove letteralmente vomitavo tutta la zavorra dannunziana che si era incuneata in me e che per lui era prodigio.
Dopo Siena seppi che Furio Drago aveva seguito Guido Keller nel Perù. Qui si era messo a fare denuncie contro esponenti della colonia italiana perché avversi al fascismo. Per questo leticò con Keller, il quale progettava di attuare linee aeree in quel paese per valicare le Ande e si separarono.
Per lungo tempo non seppi più nulla di lui preso com’ero dai miei viaggi e dalla mia passione letteraria.
Nel 1933 avevo già fatto il mio viaggio in Estremo Oriente e abitavo la mia casa di campagna. Durante l’inverno andai a Roma e ritrovai Furio Drago pieno di denari, abitava in un grande albergo e si ordinava decine di vestiti.
Come compenso alle sue informazioni sui coloni italiani del Perù aveva ottenuto da Mussolini di passare dall’artiglieria di montagna all’aviazione. Si era legato a Balbo, aveva preso il brevetto di pilota ed era stato destinato all’aviazione della Cirenaica. Sulla pagina stracciata da un Corano, mi aveva mandato un saluto dall’oasi di Cufra.
Balbo ambiva di avere una prefazione di D’Annunzio al suo libro sulla crociera atlantica e pensò di servirsi di Drago. Dalla Cirenaica venne trasferito a Gardone come rappresentante d’onore dell’aeronautica. Il Comandante rivide con piacere il suo vecchio ardito a cui in un giorno di festa aveva tolto il fez per metterselo in testa. Spesso gli tenne certi discorsi dove finiva sempre per concludere che la bellezza futura sarebbe stata calva, come per lui.
Negli ozii di Gardone, Drago ebbe un’avventura con una signora milanese, moglie di un grande editore. Egli sperava con il suo mezzo che il marito gli stampasse quel famoso Girasole di fuoco che gli avevo dettato a Siena.
Una notte mentre Drago era nella sua alcova sentì arrivare d’improvviso l’automobile del marito che, nel sorprenderli, tirò i capelli alla moglie dicendo: «Guardi che campione di bellezza che ha posseduto». La signora era calva. Furio soggiunse: «Prima di tutto lei non sa che, secondo il Comandante, la bellezza futura sarà calva, poi la sfido a duello perché credeva di fare un oltraggio a sua moglie». Per paura dello scandalo il marito accettò invece la proposta sussidiaria di Drago di pubblicargli il Girasole di fuoco.
Intanto era riescito anche a ottenere dal Comandante la prefazione al libro di Balbo. Questi venne subito al Vittoriale, ma prima dell’incontro D’Annunzio mandò a chiamare Drago per sapere quante fettucce e greche avesse il ministro al berretto e ai polsi e quando lo ricevette si fece trovare in divisa da generale dell’aviazione con greche e fettucce doppie di quelle di Balbo.
Quale compenso per questa prefazione Balbo destinò Drago in Cina presso Ciang Kai Shek come istruttore dei suoi piloti. Vi andò passando per l’America e là venne a sapere che Balbo all’arrivo dalla sua crociera avrebbe dichiarato a certi giornalisti americani che Mussolini, nato giornalista, era ancora solo il giornalista del regime, mentre egli era l’uomo politico che aveva in mano il fascismo.
Drago raccolse la notizia e subito la comunicò a Mussolini. Poco tempo dopo Balbo non era più ministro dell’aria. Arrivato in Cina, quale istruttore dei piloti di Ciang Kai Shek, poco tempo dopo ne aveva portato una trentina da Mussolini dicendo: «Oggi trenta, un altr’anno tremila» e aveva fatto a loro indossare la camicia nera dicendo che era l’abito di etichetta. A me disse che aveva denunciato il suo superiore italiano, perché vendeva ai cinesi gli apparecchi che poi dichiarava scassati, lo aveva fatto cacciare e aveva preso il suo posto. Mi disse anche che Galeazzo Ciano durante il suo soggiorno diplomatico in Cina non era riescito a combinare nulla, mentre egli aveva un suo piano di conquista che doveva sottoporre a Mussolini. Mi fece vedere un memoriale stampato a macchina su larghi fogli rilegati con nastri di seta che portava il titolo Sulle orme di Alessandro il Grande. Era scritto da lui con quell’enfasi che gli avevo insegnato a Siena per il suo Girasole di fuoco e avrebbe dovuto portare Mussolini con il suo fascismo sulla via dell’Oriente.
Fu l’ultima volta che ci si vide. Ritornato in Cina aveva fatto come il suo superiore: vendeva gli apparecchi ai cinesi e li dava come scassati. Un altro si prese cura di denunciarlo e venne radiato dall’aeronautica.
Dopo questo incontro ritrovai l’altro ragazzo anarchico di Fiume, S.P. che era diventato agente segreto di Mussolini. Gli dissi che avevo visto a Roma Furio Drago pieno di denaro e di alterigia e volli sapere da lui se era vero che avesse contribuito al siluramento di Balbo. S.P. con l’astuzia degli agenti segreti s’interessò a quello che mi aveva detto dell’Oriente, dei cinesi e altro. Gli dissi dei piloti cinesi in camicia nera e si rise, dissi anche che ce l’aveva con Ciano per non avere saputo preparare l’avvento del fascismo in Cina, durante il suo soggiorno diplomatico, mentre egli aveva presentato a Mussolini un memoriale in cui gli indicava la via da seguire per conquistare la Cina. Egli come istruttore dei futuri aviatori cinesi aveva già quell’aviazione nelle sue mani. S.P. finse di non interessarsi e mi lasciò.
Qualche tempo dopo, a metà di aprile di quell’anno, il 1935, ricevetti questo telegramma: «S. E. Galeazzo Ciano gradirebbe vederla. Venendo a Roma pregala passare da lui. Capo Segreteria magg. Luciano».
Scesi a Roma non potendo immaginare cosa si volesse da me e questo maggiore Luciano mi riferì che Ciano aveva saputo che Drago mi aveva detto che in Cina non avrebbe combinato nulla di buono e nel ritornarvi avrebbe cercato elementi contro S. E.
Capii che quel masnadiero di S. P. aveva agito con i suoi rapporti. Egli aveva un vecchio odio contro Drago, contro questo suo vecchio compagno di Fiume, perché Guido Keller lo aveva preferito a lui nel suo viaggio in Perù per cercare la via aerea di sorpassare le Ande.
Il maggiore Luciano voleva da me una dichiarazione scritta su quanto Drago mi aveva detto. Scrissi che mi aveva detto di avere contribuito all’allontanamento di Balbo dall’Aeronautica, nell’ottobre del 1934, ma non ricordavo esattamente quanto mi aveva detto di Ciano avendomi fatto maggiore impressione la prima dichiarazione. Esclusi però mi avesse detto che ritornando in Cina avrebbe ricercato elementi contro di Ciano.
Radiato dall’aeronautica Furio Drago si arruolò nell’esercito spagnolo in quella guerra che si stava combattendo. Egli voleva giocare le carte più audaci aspirando a diventare generale spagnolo. Alla battaglia di Guadalajara fu ucciso alla testa della sua bandera. Raimondo Lanza di Trabia che si era trovato in quel combattimento mi riferì di averlo visto nella notte, insanguinato di suo sangue e di quello di gente uccisa, inferocito come una belva e si lavava le mani e il volto con una bottiglia di acqua di Colonia, poi era partito ancora all’assalto, famelico di trucidare e fu invece ucciso.
Quando eravamo a Fiume egli aveva scritto sul cartone di un mio libro di poemetti queste parole : «Nell’ultima sera si cammina, sosteremo presso un cimitero alle porte di una grande città, dove non potranno entrare le nostre carni. Scenderemo in una fossa dove unire le labbra insanguinate e le membra. Ci ubbriacheremo per l’ultima volta per aprirci la porta dell’inferno».
Stranamente, diciassette anni prima aveva antiveduto la sua fine nei limiti di sangue e di una città insuperabile.
L’altro ragazzo di Fiume S. P. non poteva finire diversamente, ma con molto maggiore strazio. Durante la guerra preso dai partigiani, nella sua casa tra i monti del Trentino, venne segato vivo a pezzi in una segheria di legname.
Giovanni Comisso
Pubblicato sul n. 40 della rivita “Le Ore” del 10 ottobre 1963.
Immagine in evidenza: foto di cottonbro da Pexels.