Ilaria De Nadai è la seconda classificata del progetto di scrittura creativa Scrivere è un gioco da ragazzi’, promosso dall’Associazione Amici di Comisso .
Con il progetto, l’Associazione Amici di Comisso ha consegnato alle tre scuole 20 copie del volume “Viaggio nell’Italia perduta”, raccolta di scritti di Giovanni Comisso sul tema del viaggio in Italia curata da Nicola De Cilia. In ogni scuola si è svolto un corso di scrittura creativa, sul tema del Viaggio, tenuto da esperti, Antonio Bortoluzzi, Isabella Panfido e Alessandro Cinquegrani. Al termine, il concorso con racconti brevi, al quale sono stati invitati gli studenti partecipanti.
Ecco il suo racconto.
La valigia
Il Taxi profumava di caffè, cioccolata calda e frittelle, che rendevano l’atmosfera caotica e fredda di Milano, in un cupo giorno di inverno, più dolce.
Piccola e grossa, con la pelle rovinata e la maniglia di bronzo allentata ero poggiata sul sedile posteriore insieme a Samar.
Venni creata da una bottegaia Americana, la vecchia aveva mani di pasta sfoglia e odorava di cuoio bruciato, lavorava molto, mangiava solo una pagnotta di pane imbevuta nel latte e il poco denaro che guadagnava lo spendeva in libri. Il suo piccolo monolocale impolverato era dotato di enormi scaffali adibiti a contenere qualche manufatto artigianale. Quindi costruì me, una valigia in pelle color marrone castagna, per poter inserire al mio interno i suoi beni preziosi: cinque volumi ingialliti. Mi risulta complicato affermare con precisione per quanto rimasi lì, ma un po’ di tempo dopo quando la vecchia morì, quel triste monolocale ammuffito venne prima svuotato e poi demolito: iniziò così il mio viaggio.
Lasciai il porto in una mattinata di agosto, il cielo era limpido, il mare tranquillo. Nella stiva mi trovai accanto a delle lattine di tonno, confezioni di pasta, legumi e riso. Eravamo tutti diretti in Siria, la guerra civile iniziata nel 2011 stava lentamente logorando il paese, fui gettata insieme alle cianfrusaglie della vecchia in uno scatolone, erano semplici oggetti di uso quotidiano che potevano risultare vantaggiosi per famiglie rimaste senza casa, o persone in difficoltà.
Approdata nella terra Asiatica l’aria che respirai era densa di pianto e malinconia, il caldo era infernale e la gente faceva trasparire la disperazione in silenzio.
Giunsi così in una povera famiglia, i genitori avevano tre figlie e la maggiore, di nome Samar, decise di raccogliermi dal contenitore e tenermi tutta per lei.
Aprendomi potè scoprire al mio interno cinque libri, ne lesse uno con molta difficoltà, conosceva un po’ di inglese, le era stato insegnato a scuola, amava imparare ma a causa della guerra sua madre riteneva che il posto più sicuro fosse la casa e che, essendo donna dovesse aiutare esclusivamente nelle faccende domestiche. Riuscì in qualche modo a procurarsi un vecchio vocabolario di inglese e a leggere il secondo libro più velocemente. Le sue giornate iniziavano ad assumere dei colori che contrastavano il nero della guerra.
Quando finì l’ultimo volume, decise che era arrivato il momento di scappare.
Dopo avermi conosciuta la sua vita era cambiata, continuava a fare ciò che aveva sempre compiuto ma era alimentata allo stesso tempo da una irresistibile voglia di scappare per davvero, non rifugiandosi in qualche storia che la faceva dileguare per qualche ora o minuto, ma andarsene e vivere in libertà. Più pensava a questa idea, più le pareva perfetta, prese un pezzo di pane e si imbarcò, con me.
Lo fece come clandestina, dormendo nella stiva dove non entrava mai nessuno; a guardarla senza burqa e vestita con abiti non tradizionali, pareva una semplice studentessa americana. Durante il viaggio in mare cercava di comportarsi il più normale possibile, rispondeva cordialmente (mentendo) a chi le faceva delle domande, ma non parlava ancora bene l’inglese, ecco perché preferiva rifugiarsi insieme agli scatoloni vuoti nel magazzino per non destare sospetti.
Viveva come un gufo, trovava la tranquillità guardando il riflesso della luna e conforto tra le stelle.
Insieme a lei di notte c’era sempre un giovane uomo di nome Giovanni, alto ed esile, con il viso scarno e due occhiaie pronunciate, impegnato a respirare l’odore di salsedine. Era un componente del gruppo Medici Senza Frontiere proveniente dall’Italia arrivato in Siria e pronto a ritornare in patria; parlava molto bene l’inglese e riusciva anche a tenere una conversazione in arabo. Un uomo di poche parole e riservato, ecco perché in sua presenza Samar si sentiva al sicuro.
Una tarda serata iniziarono a chiacchierare e Giovanni capì, sentendola parlare un inglese stentato che la ragazza nascondeva qualcosa, il suo sospetto era rafforzato anche dal fatto che lei si faceva vedere solo di notte, raramente di giorno. Cercò quindi di conoscerla meglio, non soffocandola facendole mille domande ma procedendo per gradi.
La sua pazienza alla fine venne ripagata, Samar infatti si confidò, e lui le propose di aiutarla. Una volta scesi dalla nave, e arrivati in Grecia, Giovanni, grazie a delle sue conoscenze riuscì a procurarle un passaporto in meno di un mese, consentendole di viaggiare in aereo come rifugiato politico.
Atterrati a Milano, salimmo tutti e tre in un Taxi, il viaggio per Samar fu ricco di emozioni contrastanti, riusciva ad assaporare i diversi profumi presenti all’interno della vettura, il freddo tagliente correva lungo la sua schiena, ma non le dava fastidio. Giovanni la invitò a stare da lui così da farla abituare alla sua nuova vita, permettendole di trovare un lavoro e frequentare un corso di scuola serale. Quest’ultimo fu molto importante per lei, infatti conobbe una ragazza che la trasportò nel mondo del volontariato, in particolare nella preparazione dei pacchi di viveri da inviare nei paesi in guerra.
Mi prese per mano, riempiendomi quotidianamente con qualche libro acquistato, pronta ad aggiungere nelle scatole, insieme a pasta e riso, un volume. Era intenzionata a far viaggiare chiunque ne entrasse in possesso, anche solo per qualche minuto, oppure, per un’eternità.