Il Premio Comisso Giovani 2017 finalmente in un libro
Prendete tre insegnanti d’eccezione, gli scrittori Antonio G. Bortoluzzi, Alessandro Cinquegrani e Isabella Panfido. Affidate loro alcuni studenti di tre Licei trevigiani; assegnate a questi ragazzi un tema forte, un filo conduttore che li unisca al passato incoraggiandoli a non temere il futuro: “I giorni di guerra” di Giovanni Comisso.
Invitateli a scrivere, seguendo le loro emozioni e le indicazioni dei loro maestri… Il risultato? Una serie di racconti valutati e premiati nel corso della cerimonia conclusiva del Premio Comisso 2017 e recentemente pubblicati da Zeta Edizioni.
Leggiamo, nelle parole di Isabella Panfido in presentazione alla Raccolta, l’esperienza vissuta dai tre insegnanti…
Scrivere è un gioco da Ragazzi
Non so cosa si aspettassero i ragazzi da quel breve ciclo di incontri-laboratorio sulla scrittura che Bortoluzzi, Cinquegrani e Panfido avrebbero tenuto rispettivamente a Conegliano, Treviso e Castelfranco Veneto. Forse un decalogo del bello scrivere, un ordinato elenco di passaggi per giungere alla meta della buona scrittura.
Se così era, verosimilmente abbiamo deluso le loro aspettative, ma una cosa è certa: durante tutti gli incontri i ragazzi restavano in attivo e partecipato stato di attenzione e attesa di quanto andavamo loro proponendo.
Noi, per parte nostra, abbiamo raccolto quanto ben sintetizza qui di seguito Antonio G. Bortoluzzi. “Due cose importanti, che non scorderò per un bel po’ di tempo, le ho incontrate 3S anni dopo aver lasciato i banchi di scuola: si tratta della fiducia e della giovinezza.
La fiducia è quel clima che si è instaurato in classe tra di noi e soprattutto tra gli studenti (i partecipanti al laboratorio venivano da classi e indirizzi diversi);
e non era una generica fiducia nelle proprie capacità, oppure sul fatto di diventare scrittori, ma era una disposizione a far conoscere i propri sentimenti, le inquietudini, i pensieri leggendo i propri testi ad alta voce.
E poi con loro ho rivisto la giovinezza, che accade sempre una sola volta nella vita e, quando la rivedi, ti lascia stupefatto.
Era tra i banchi, nelle voci, che dall’aula con le finestre aperte, usciva verso gli alberi del viale. Era la stessa giovinezza che ben conosceva Giovanni Comisso, già cent’anni fa, e che trasuda dai suoi Giorni di guerra, il libro che è stato al centro dell’iniziativa per i licei trevigiani”.
Con i colleghi Antonio G. Bortoluzzi e Alessandro Cinquegrani, che dissodavano i terreni fertili di Conegliano e Treviso, avevamo concordato un ruolino di marcia comune, almeno per grossi nodi, ma a ciascuno dei tre era rimasta assoluta libertà di scelta nelle proposte di approccio alla scrittura.
Per quanto mi riguarda, con i venti ragazzi del Liceo “Giorgione” di Castelfranco Veneto ho fatto un primo assaggio di buona scrittura (Tabucchi per assaggiare la compattezza dell’incipit, Queneau per capire come è possibile modulare un medesimo tema variando alcune costanti).
Poi hanno cominciato a scrivere loro.
Ogni incontro produceva un effetto diverso: la scrittura si andava colorando sempre più di tinte personali. Perché la cosa che avevano capito, dopo le mie reiterate e infuocate affermazioni, era che quando si scrive non si deve assomigliare a nessun’altro che a se stessi.
Che la buona scrittura, fatta salva l’assoluta necessità di rigore ortografico e una severa attenzione alla sintassi, deve essere personale: si scrive per come si è e non per come si finge di essere.
Questo è stato ciò che ho tentato di chiarire e dimostrare nelle letture collettive delle loro prose in corso d’opera e a tema concordato. Il primo tentativo è stato intorno a una immagine: avevo distribuito dieci coppie di foto tratte dai quotidiani e la richiesta era di inventare una breve narrazione (1000 battute) stimolata dalla foto. E’ stato molto interessante, all’incontro successivo, per i ragazzi e per me leggere insieme e confrontare le coppie di testi e il diverso effetto di una stessa immagine.
Quando, dopo il terzo incontro ho chiesto un testo “libero” ho capito che la libertà, in campo creativo, può sgomentare. Ma hanno superato, con ovvi diversi livelli, anche questo ostacolo.
Con Bortoluzzi e Cinquegrani avevamo concordato nella road map anche una griglia di valori necessari alla valutazione, quali correttezza ortografica (elemento determinante), coerenza del racconto, originalità ecc. e a ogni incontro, i ragazzi si esercitavano a “giudicare” i testi in base alla categorie prestabilite; la particolarità di questa prova, infatti, sta proprio nel doppio ruolo degli studenti, autori e giudici chiamati alla fine a scegliere per qualità dieci testi e designare il migliore.
Perché, come riflette Alessandro Cinquegrani qui di seguito, lo scopo non è trovare nuovi scrittori, ma esercitare le capacità di leggere primo, valutare secondo e scrivere terzo solo alla fine.
“Durante questo breve corso, la scrittura creativa è stata per i ragazzi un’espressione di libertà. Meno vincolata di quella che imparano a scuola, la scrittura creativa permette di scendere nelle profondità dell’io e trasferire se stessi, le proprie idee, le proprie emozioni, sulla pagina.Eppure persino la libertà per essere piena ha bisogno di regole precise: i vincoli aiutano l’espressione di sé.
Ecco, un corso di scrittura creativa deve insegnare questo: che la libertà si ottiene nel controllo, e il controllo e le regole, si possono apprendere.
I ragazzi si stupiscono di tutto questo, di come disciplina e libertà siano facce della stessa medaglia, e in quello stupore c’è il fascino della scoperta. La possibilità di dire che questa storia rappresenta esattamente quello che sono, quello che volevo esprimere. Si accorgono che la scrittura creativa aiuta a scoprirsi, a crescere, a rapportarsi agli altri. Non diventeranno forse scrittori ma saranno ragazzi più maturi, più consapevoli, più pronti ad andare nel mondo. E noi lettori avremo da guadagnare la possibilità di conoscerli, di vedere come guardano il mondo, come vedono noi e gli altri.
Dalla letteratura, anche minima, anche marginale, tutti abbiamo da guadagnare“.
Isabella Panfido con Antonio G. Bortoluzzi e Alessandro Cinquegrani