Sciltian ha dipinto una Madonna per la città santa degli armeni

Sciltian ha dipinto una Madonna per la città santa degli armeni

Ogni volta che arrivo all’entrata dell’appartamento del pittore Gregorio Sciltian e vedo appesa alla porta la mano di gesso di Paolina Borghese, mi viene da afferrarla e usarla come battente invece dell’introvabile campanello elettrico. Questo mio estro impaziente è determinato dalle innumerevoli occasioni a cui il mio vecchio amico Sciltian mi ha sempre abituato, ricche di deliziosi incontri o di stupefacenti sorprese. La sorpresa di turno è il suo ritorno in Russia dopo oltre quarant’anni di assenza, il suo viaggio nell’Armenia sovietica, sua terra d’origine, l’incarico di eseguire una grande tavola per l’altare maggiore della più vecchia chiesa di Echmiadzin, la città santa dell’Armenia, e, già, il compimento del quadro raffigurante la Madonna dell’Armenia. Una sorpresa ornata di molti petali come una margherita; ed è proprio a una margherita, nel senso di opera nobilissima e preziosa, che viene da pensare nel vedere questa lucente Madonna che discende dal cielo sulla terra armena.

A Mosca dopo quarant’anni

Gregorio Sciltian

Gregorio Sciltian è nato laggiù a Nakchicevan, ma ancora ragazzo andò con la famiglia a Mosca dove fece i suoi studi. Il primo viaggio all’estero lo fece assieme a suo padre, a tredici anni, e visitò Dresda dove poté avere una più completa visione della pittura Italiana che determinò in lui la vocazione. Ma a diciannove anni, quando visitò Vienna e vide la Madonna del Rosario di Michelangiolo da Caravaggio, la sua vocazione per la pittura si orientò verso quel realismo evocativo che perseguì In costante sviluppo per tutta la vita. Dopo avere studiato all’Accademia di Vienna, passò a Roma dove ebbe subito il riconoscimento di Longhi e di Ugo Ojetti. Da Roma, nel 1924. passò a Parigi per entrare, In modo generico, nel gruppo Italiano di De Chirico, De Pisis, Tozzi e Campigli, In quella Scuola di Parigi, dove si sentiva, lo dice egli stesso, come in Purgatorio, tra il corrompersi di tutte le tendenze pittoriche. Ma Sciltian seppe resistere, come il suo monte tutelare, l’Ararat, all’imperversare del diluvio.

Nel 1932 lasciò Parigi per Milano e il suo realismo pittorico se suscitava le risatine ironiche degli evoluzionisti nel buio, alla sua prima comparsa alla Biennale di Venezia, suscitava in lui ben altre risate quando si vedeva commissionare da un ricchissimo ammalato di stomaco quadri di Illudenti nature morte conviviali che gli venivano compensate a un prezzo altissimo e insperato. Nella carenza di una critica sicura furono questi fatti che gli garantirono la tranquillità e il lavoro. Ora tutto il mondo conosce la sua pittura, la considera nel suo valore e la ricerca.

Gregorio Sciltian e Giorgio de Chirico alla 22° Mostra internazionale del cinema di Venezia, 1961 (Archivio Gregorio Sciltian)

La sua rinomanza arrivò anche in Russia e la critica di questo paese, dove egli era nato, lo segnalò come un maestro di quella tendenza realistica ritenuta la più efficace per quel popolo. Anche in Armenia, repubblica confederata dell’Urss, pervenne la sua fama, il museo di Erevan ebbe in dono dal collezionista Kelechian due suoi quadri di fiori dell’epoca di Parigi e cosi l’anno scorso il patriarca armeno Catalicos Vasken I di Etchmladzln lo Invitò alle cerimonie religiose che si facevano In quella città santa.

dalla copertina di “Opere di Gregorio Sciltian”, Edizioni Carte Segrete

Da Milano Sciltian andò a Copenaghen e in aereo giunge a Mosca. Vi mancava da oltre quarant’anni, scese all’aeroporto di Vnukovo che era sera, ed era ad attenderlo un venerando prete della chiesa armena di Mosca. Un alto funzionario del governo che aveva viaggiato con lui in aereo si offerse gentilmente di accompagnarlo con la sua auto. Una magnifica autostrada attraversava la brughiera, ma presto vide ai lati case in costruzione che più ci s’avvicinava alla città più apparivano ultimate, fino a quando apparvero già abitate e con tutte le finestre illuminate attraverso le quali si vedevano gli interni con lampadari e mobili moderni. Tutte le case avevano grandi portali d’ingresso ed erano costruite in uno stile neoclassico sebbene raggiungessero anche il quindicesimo plano. Scese all’Hótel Métropole e quando usci per vedere la città si accorse che davanti all’albergo vi era un’auto targata Brescia, fu sorpreso come per una beffa capricciosa, l’Italia lo seguiva, per ritardargli ogni emozione nel rivedere i luoghi cari alla sua giovinezza. Volle cercare il suo vecchio collegio che era in un palazzo del Settecento dello stile di Piermarini e lo ritrovò intatto: gli tornarono alla memoria commossi ricordi.

Ma tagliò corto, sul nascere, con ogni romanticismo e preferì visitare le gallerie d’arte che nella sua giovinezza aveva giudicato con altra esperienza. La prima visita fu alla Galleria Tretiakof che era affollatissima, e qui egli poté accorgersi dell’importanza di quella scuola di pittori, che egli chiama ”gli amici di Gogol”. Sono tutti pittori che, come l’autore de “Le anime morte”, non rinnegando la loro tempra russa, fecero il loro viaggio in Italia, vi soggiornarono a lungo, lavorando nella luce del Mezzogiorno: come Alessandro Ivanof, che visse quarant’anni a Roma. Brulof, che visse a Como e fece anche le Illustrazioni per i Promessi sposi, Silvestro Schedrln, che dimorò a Sorrento, nella fine del Settecento, e Kprensky che ebbe celebrità col quadro “Caffè napoletano”. Questa pittura, per lui ormai remota, interessò moltissimo Sciltian, che ritornò più volte al museo (ed egli si augura che un giorno quelle opere vengano fatte conoscere anche in Italia con una mostra completa).

Gregorio Sciltian – Natura morta (fonte: Farsetti Arte)

Fece un’altra visita al Museo Puskin, il vecchio Museo Alessandro, dove erano raccolti i calchi delle statue e le copie dei quadri più famosi. Oggi In questo museo sono state raccolte Importanti opere della pittura moderna da Van Gogh a Matisse, agli Impressionisti francesi e al Novecento Italiano. Questa parte del museo comprende la famosa collezione Sciukin, un grande industriale dello zucchero, al tempo degli zar, e opere acquistate dal governo sovietico. Anche a questa visita Sciltian provò un certo entusiasmo vedendo che Mosca non ha da invidiare Parigi. Poi volle visitare le chiese del Kremlino per vedere le antiche icone e i grandi affreschi a fondo oro: e qui egli capì che nel suo realismo evocativo c’era, sì, la lezione del Caravaggio, ma anche l’antico incanto della pittura originaria russa dei conventi e delle cattedrali. Alla sera, durante il suo soggiorno a Mosca, non volendo andare a teatro dove si dava “Filomena Marturano” di De Filippo e i “Vespri siciliani”, Sciltian scelse il teatro delle marionette, dove le figure vengono mosse dal basso, e si divertì moltissimo alle rappresentazioni satiriche e di circo equestre condotte con un’estrema abilità.

Monte Ararat (Serouj Ourishian, Wikimedia Commons)

L’accoglienza del Patriarca

Un giorno venne accompagnato da Guber, il direttore del Museo Puskin, a Ostankino, poco distante da Mosca, dove esiste il formidabile complesso di una villa in stile palladiano che gli fece completamente perdere l’orientamento. Egli non sapeva più se si ritrovava nella sua Russia, lasciata da oltre quarant’anni, o nel Veneto. La grande villa è costruita in legno stuccato di un colore giallo bianco, che splendeva come avorio sotto il cielo tenue della campagna. Nell’interno gli azzurri e i verdi Intensi delle pareti con decorazioni in oro si susseguivano tra colonne di marmo pregiato e mobilia stupenda. Il teatro della villa pareva disegnato da Palladio e con quello di Vicenza e di Sabbioneta dava un altro esempio di un’architettura purissima che qui era stata proseguita dagli architetti Mironof e Argunof, allievi degli architetti italiani che nel Settecento operavano in Russia.

Infine prese l’aereo e andò In Armenia. Viaggiò tutta la notte, all’alba giunse in vista del monte Ararat imponente nella sua forma piramidale rossastra, col culmine bianco di neve: e la visione di questo cielo dove la luce penetrava a gradi, mentre egli scendeva verso l’antica terra natale, si Impresse in lui come un abbraccio materno. Fu così forte quell’impressione che quando esegui il quadro della Madonna dell’Armenia ideò l’Immagine sacra discendente come da una scala di luce, la luce che egli vide in quel mattino. Il suo soggiorno nella città santa di Etchmiadzin gli fu deliziato dall’accoglienza del Patriarca, del clero e delle autorità locali, che gli fecero vedere tutte le antiche chiese, le opere d’arte, le biblioteche ricche di pergamene miniate, e l’Accademia di scienze dove si sta curando l’enciclopedia in lingua armena. A tavola poté gustare le trote del lago Sevan. Il montone saporito di quella terra. i ravanelli grandi come arance, l’uva rosata e le pesche vellutate con accompagnamento del cognac armeno profumatissimo, denso come l’ambra e pieno di un fuoco potente. Visitando la cattedrale, il Patriarca gli indicò l’altare maggiore e gli commise l’incarico di eseguire la grande pala della Madonna dell’Armenia. Sciltian accettò l’Incarico (e ora dopo un anno di lavoro l’opera è già eseguita).

Gregorio Sciltian con la moglie, 1955 (Wikimedia Commons)

Pieno di commozione e di entusiasmo per l’Incarico ricevuto il pittore ritornò a Mosca e siccome seppe che si poteva facilmente telefonare a Milano pensò di dare subito notizie a sua moglie. Era mezzogiorno ed egli pensava di trovarla a casa per la colazione, ma quando ebbe la comunicazione la cameriera gli disse che la signora era uscita per le commissioni della mattina. Ne fu meravigliatissimo, poi si spiegò che tra Milano e Mosca vi è la differenza orarla di due ore. Chiamò più tardi e allora la meraviglia fu tutta di sua moglie, perché andata al telefono intese una voce chiara dirle in russo: “Sdess govorit Moscwa”, cioè: “Qui parla Mosca“. Ella, moscovita purissima, che da quarant’anni non respirava l’aria della sua città natale. si sentì tanto turbata che non sapeva più se rispondere in russo o in francese e quando intese la voce del marito non aveva più il fiato per conversare con lui, tanto che egli credette stesse per svenire.

Gregorio Sciltian – Madonna dell’Armenia

Arrivato a Milano, Sciltian mise da parte tutti i lavori iniziati e per un anno intero si dedicò alla sua Madonna, che doveva avere le sembianze delle donne della sua razza. Quattro modelle si susseguirono nel suo studio, ognuna avendo o lo sguardo o la capigliatura o il colore della pelle affini alle donne armene. Lo stesso fu per il bambino. La luce e il cielo egli li aveva presenti dalla visione avuta scendendo con l’aereo nell’alba verso la sua terra. Come simbolo di questa egli ha voluto ritrarre, nella parte della pala che fa da predella, quell’uva meravigliosa e quelle pesche vellutate che aveva gustato a Etchmiadzin componendole con un libro sacro e la collana d’ambra del Rosario in una tale immediatezza che risulta come la sua firma più autentica. Ora la Pala è compiuta e tra breve andrà in Armenia dove sarà solennemente collocata sull’altare maggiore della cattedrale di Etchmiadzin. Questo avvenimento, di una Madonna dipinta a Milano per una cattedrale dell’Armenia da un pittore italiano di origine armena, può ancora una volta confermare che per l’arte non esistono confini.

Giovanni Comisso

Immagine in evidenza: Sciltian nel suo studio romano, primi anni 80 (Archivio Gregorio Sciltian)

Articolo pubblicato da Settimo Giorno del 3 dicembre 1959

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