“Dai tuoi occhi solamente” di Francesca Diotallevi
Un paio di anni fa ho visto a Milano una bella mostra alla Fondazione FORMA. Raccoglieva 120 fotografie in bianco e nero realizzate tra gli anni Cinquanta e Sessanta, insieme a una selezione di immagini a colori, scattate negli anni Settanta da Vivien Maier, una donna che per vivere ha fatto la bambinaia e di cui sappiamo pochissimo, anzi sconosciuta fino al 2007. La ritrovo adesso nel romanzo di Francesca Diotallevi immaginata e arricchita dalla fantasia dell’autrice come una donna austera ma allo stesso tempo discreta, decisa e intransigente nei modi. Quella di Diotallevi è una Vivian ventottenne, che risponde ad un annuncio di ricerca di una tata per due bambini. Ed è proprio da questo momento che le vicende si alternano su due piani temporali: il presente, come bambinaia, presso la famiglia Warren e il passato di Vivian bambina, trascinata da una madre astiosa da una casa all’altra, da un continente all’altro, strappandola ogni volta dagli affetti e dalle amicizie, impedendole di mettere radici. È un romanzo sulla solitudine, sull’incapacità di vivere e di creare legami e l’invadere l’intimità degli altri, anche se solo con la macchina fotografica, forse le faceva sentire meno doloroso il peso della sua solitudine.
Molto di questo romanzo è frutto della fantasia dell’autrice, ma a me piace pensare che le cose siano andate proprio così.
Un fascio d’ombra è quanto resta dopo la lettura di ”Dai tuoi occhi solamente” di Francesca Diotallevi (Neri Pozza, 2018). Un’ombra timida, dove tutto può diventare possibile. Il fascino di questa accurata e suggestiva opera biografica sulla fotografa Vivian Maier viene soprattutto dal gioco di luci, presente non solo sul piano fotografico ma anche nella dimensione esistenziale. Le fotografie hanno bisogno della camera oscura per venire alla luce; Vivian Maier aveva bisogno della macchina fotografica per emergere dal suo abisso. Il romanzo racconta con molto tatto e rispetto, come in luce soffusa, la vita umile e nascosta – nell’ombra, appunto – che la donna ha scelto per quarant’anni facendo la bambinaia. Non sapeva di essere una delle più grandi fotografe del Novecento, nella street photography. Sapeva solo di stare affidando al suo talento un ruolo salvifico.