“Zucchero e catrame” di Giacomo Cardaci
Di cosa è fatta l’infanzia se le togli l’infanzia? Se le neghi la possibilità che un bambino possa camminare come una bambina, possa eleggere Barbie ad amica del cuore in grado di capirlo, e indossare un assorbente di carta igienica tra le mutande, sognare di fare il parrucchiere, ricevere l’abbraccio odoroso e taumaturgico dei genitori, vivere in un luogo fisico e incantato dove il tempo possa compiere indisturbato il suo miracolo di addestrarlo ad accogliere la Vita (e a difendersi da essa), se a tutto quello che rappresenta l’infanzia sottrai la sostanza e il tempo di cui è pervasa, cosa rimane? Rimane Cesare: un ragazzino che ritratto in una bolla abitata dalla tirannia della solitudine e del rifiuto, dalla bocciatura di ogni forma di amore che assume le sembianze di un surrogato d’amore, impara a scomparire, onorando il padre e la madre, come in una mise en scène delcomandamento più comandamento che ci sia, che lo obbliga a ubbidire alla parola e alla volontà degli adulti e a tramutarsi in loro, nei loro vizi e difetti fino a smettere di esistere.Lungo un percorso a tappe, anzi, a strati emotivi che fa pensare a una pelle che si appiccica addosso fino all’ultima parola scritta, Cesare compie la sua trasformazione in nome della formula classica del Bildungsroman, meno edulcorato e ottimista: in un percorso accidentato verso un (in)disciplinamento adulto che si compie a modo suo, nei sottoscala dell’emarginazione umana, Cesare conosce la rapacità del sesso, della pedofilia, della pornografia, della prostituzione, del denaro, della mercificazione della vita e dei sentimenti. E poi, serpeggia la lezione lessinghiana dell’odio di sé, Der jugendlische Selbsthass, parafrasando l’originale, una forma di crudeltà primordiale più spietata di certi calci nello stomaco, e più spietata negli adolescenti di oggi, quel dannamento autoproducente che pur davanti all’evidenza del proprio candore, bellezza e innocenza, sospinge dentro il baratro finendo per trasformarti in un escremento di te stesso.Zucchero e catrame ovvero, candore infantile e tracotanza – viscosa e incastrante al pari del catrame – degli adulti, è il romanzo di una scissione tra la capacità di urlare l’odio e la rabbia, e l’incapacità di chiedere aiuto e amore.
Il romanzo, con un linguaggio agevole e crudo, accompagna il lettore nei ricordi del protagonista Cesare che ripercorre la sua ancora giovane vita nell’amara consapevolezza di non avere un futuro avanti a sé, futuro identificato con un corridoio buio e nero: la sua analisi restituisce l’immagine di un ragazzo vissuto nella continua ricerca di un esempio da seguire e di un’attenzione mai avuta, nemmeno nei rapporti familiari più stretti, con l’accettazione della sua emarginazione che lo porta sempre più in basso, fino a perdersi del tutto. Frammenti di una vita vuota, occasionata da incontri casuali a cui l’autore dà un senso attraverso il legame tra Cesare e il teppista Gabbo, assunto a modello di vita dal protagonista. Non c’è speranza in Cesare se non per il silenzioso recupero del rapporto con il fratello. Non c’è speranza nel romanzo, decisamente profondo nel lasciare intuire lo stretto legame che c’è nella contraddizione tra sensibilità e degrado, tra ribellione e disonestà, tra disistima di sé e squallore
Zucchero e catrame: due sostantivi in antitesi tra loro, di cui sicuramente è il secondo a rendere la sensazione della cupezza di cui si sostanzia il racconto della vita di un giovane che non ha più futuro. E’ un libro triste, peraltro ben scritto, in una prosa fluida e scorrevole nonché semplice e priva di fronzoli, che si compiace nell’ indugiare, anche con una volgarità del tutto gratuita, nelle accurate e precise descrizioni delle vicende di un’esistenza sempre connotata dalla negatività e dallo scoraggiamento, oltre che dalla mancanza di autostima. Cesare è un ragazzo della piccola borghesia di provincia, che vive nella continua ricerca di un’identità, nel contrasto tra ciò che sente di essere e ciò che gli altri e la sua famiglia vorrebbero che fosse. Quando con i suoi si trasferisce nella grande città, le prospettive di un miglioramento delle sue condizioni di vita vanno a scontrarsi con una realtà ancora più triste e addirittura crudele. Lo “ zucchero” sembra qua e là palesarsi nei rari casi in cui il protagonista anela al riscatto psicologico e sociale. Questo sembra poter venire dal rapporto con persone che poi però si rivelano sbagliate o da situazioni che, anche se inizialmente potrebbero sembrare foriere di nuovo entusiasmo e di un’apparente positività, finiscono poi per riportare questo sfortunato ragazzo alla realtà della sua misera condizione esistenziale. Quindi, alla fine, al lettore rimane solo l’incrostazione del catrame, nessuna dolcezza dello zucchero.
Il romanzo si apre come un diario di memorie, “ho scritto queste pagine durante il periodo in cui ho vissuto nel carcere minorile di Milano (…)”, quello di Cesare, diciassettenne, già messo a dura prova dalla vita e dalla società. Il protagonista trascina il lettore nella quotidianità della sua crescita, tra la derisione del padre insensibile e l’affetto di Giovanna, la vicina di casa che gli concede di giocare con le bambole e di usare i suoi profumi. Crescendo, Cesare diventa sempre più consapevole della sua diversità ma, allo stesso tempo, capisce che deve costruirsi una maschera per difensi dalla famiglia, dall’ambiente scolastico e dalla società. Ad accompagnarlo nella crescita ci sono prima Ines, una ragazza che non ha alcun canone di bellezza esteriore, poi Gabriele, un ragazzo forte e rissoso che eserciterà su di lui influenza e attrazione, e infine Moustafa, un ragazzo marocchino che gli farà compagnia nella cella. Personaggi indimenticabili, ragazzi di vita che lottano con violenza nel tentativo di riscattarsi, bisognosi di quell’amore negato che continuano a cercare.
L’autore usa un linguaggio forte e spesso audace, in perfetta armonia con la trama e le vicende narrate.