“Vita breve di un domatore di belve” di Daniele Santero
Finalista al Premio Calvino 2020 con menzione speciale della giuria, “Vita breve di un domatore di belve” di Daniele Santero (Elliot, 2021) narra la storia del domatore Upilio Faimali. Nato in una famiglia contadina dell’Appennino emiliano, il protagonista fugge a undici anni di casa per inseguire il sogno di diventare domatore di belve giungendo fino in Francia, dove si arruolerà al seguito del serraglio di Henri Martin. Da lì inizierà la sua avventura in giro per il mondo a domare ogni tipo di belva feroce tra successi e sventure sullo sfondo di un’Europa – quella ottocentesca – sulla via verso la società moderna. Quello che ci viene presentato come un semplice romanzo di avventura su un personaggio realmente esistito è in realtà uno stupendo gioco letterario condotto con maestria da Santero. La storia di Faimali ci viene presentata fin dall’inizio avvolta dal mito e dal mistero, ma anche dall’incapacità di comprendere una vita formidabile come quella narrata. I commenti del narratore – che scomoda addirittura Dino Buzzati e Roland Barthes –, i brani di articoli di giornali dell’epoca e le citazioni dalla biografia dell’antropologo Paolo Mantegazza sul domatore servono da un lato a rendere l’idea di spettacolarità della vita di Faimali, ma dall’altro sottolineano il fallimento nel domare una materia leggendaria come la storia di Faimali, così come quest’ultimo non sempre riesce a domare l’indomabile, ovvero la natura e, in senso più ampio, la sua vita. «Vita breve di un domatore di belve» è un’opera prima notevole, un divertente romanzo d’avventura ma anche un sapiente gioco metaletterario sulla nostra fame di infinito e di successo, ma allo stesso tempo sulla nostra incapacità a domare il nostro destino. «La sua vita, meno comune di tante altre, inizia come tante da una semplice, santissima verità. Nome, data e luogo di nascita, infatti, possono dirsi certi. E davvero non è poco».