“Verde Eledorado” di Adrian Bravi
Accade sempre qualcosa di magico, quando si incontrano le prime pagine di un libro. L’incipit è l’infinito che disvela l’ignoto, mentre va in scena la tragicommedia della vita. Adrian Bravi si muove tra gli angusti margini di un orizzonte precario, nel quale si incrociano e si scontrano le forze inverse, avverse e converse della natura. Il FUOCO devasta il corpo e la vita del quindicenne Ugolino, la cui identità è definita da un intarsio di cicatrici. La TERRA, che è casa, legame, prossimità e radici, improvvisamente si trasforma in carcere, sofferenza, dolore e alienazione. L’ARIA diventa àncora, respiro, sogno, desiderio e speranza di un’altra vita possibile. L’ ACQUA è metafora del viaggio, della nostalgia di ciò che non è stato e del desiderio di ciò che potrebbe essere. Ugolino, antieroe in balia di mille disavventure, cronista e storiografo in viaggio con Sebastiano Caboto, Piloto Mayor delle Indie, tra misteri e prodigi, cannibali e mari tempestosi, trova il senso ultimo delle cose e della propria esistenza in un luogo immaginifico e al contempo reale, in cui tutto- e il contrario di tutto- può accadere. L’autore riesce a frantumare gli equilibri precari di un Occidente che fagocita e vomita gli “errati” del mondo. Poco importa se al protagonista sia rimasto un solo occhio sbilenco, quello sinistro, con la palpebra che scende giù da sola: la parola errante va oltre e, muovendosi con perizia lungo il margine di un confine incerto, scardina certezze e verità assolute, per farsi Storia.
Elisa Chiriano