“Storia confidenziale dell’editoria italiana” di Gian Arturo Ferrari racconta in prima persona le avventure della carta stampata in Italia – si può dire – dai torchi fin de siècle fino al e-book o al self-publishing senza editing, senza copertina… senza editore. L’autore del volume è stato un gran direttore editoriale della sacra Trimurti onnipresente di editori: Mondadori, Rizzoli, Einaudi e ha servito a tutti questi e molti altri, dal primo fino al noto Cavaliere rampante per ricominciare dal primo – cioè sempre da lui. Il racconto, in prima persona, vuol dimostrare che non sono i signori editori che scelgono l’editor più fidato ma è lui che si fa scegliere, e in qualsiasi momento può ripudiarli per ritornare alla vecchia fiamma. Possiamo crederci, perché si tratta di una biografia molto intelligente quanto astuta di chi sa definirsi nobilmente “servo di due padroni”. Perché sia da una parte che dall’altra: lo stuolo di autori e la lobby di editori – vuoi per gloria che per guadagni – hanno bisogno solo di lui. Mentre lui non ha bisogno di loro perché ama i libri in sé, tutti i libri, come la bambina innocente di uno spot pubblicitario che ama i budini perché li vuole tutti.
L’autore di questa storia, anche qui in confidenza, ha degli scrupoli che ogni tanto si pone. Nella sua biografia di successo, ad es., c’è il rammarico di aver rinunciato a una promettente carriera accademica, come avrebbero voluto i suoi genitori… E’ un cruccio che lo rode perché si sente sempre moralmente in dubbio (sopra una montagna di carta più o meno incantata) se votarsi a Dio o Mammona – anche se sembra saperlo perfettamente.
Ci sarebbe un capitolo finale dove l’autore, ancora in confidenza, potrebbe dire dell’esito finale dei libri invenduti. Il Macero è una parola terribile che mette una paura blu a un qualsiasi autore: il Ma-ce-ro. Perché a un certo punto i libri sono destinati a diventare nemmeno cenere ma poltiglia. Anche per quelli veri, come questo.
Manlio Brusatin