“Siamo tutte ragazze madri” di Saveria Chemotti
Recensioni
Se non sapessi che Saveria Chemotti ha press’a poco la mia età, penserei che l’autrice del libro Siamo tutte ragazze madri (L’ Iguana, Aprile 2018 ) sia una ragazzina, talmente fresco, semplice e audace il suo linguaggio, come quando racconta la rabbia con cui Rosa, la protagonista, cecchina con la fionda immagini di bimbi appese nella stanza in cui vive, presso il centro “La Casa della Madre e del Fanciullo”, dove le ragazze-madri trascorrono la loro gravidanza indesiderata.
“ Sdeng! Colpito e affondato. Filippo, via- Sdeng! Giulietta, ilomena….via tutti, Sdeng!”
Frasi che farebbero impallidire il parroco Don Remo, confessore di Rosa, che l’aveva prima aiutata a continuare gli studi e poi si era adoperato per impedirle di disfarsi della creatura che portava in grembo, assolvendo alla funzione di “buon pastore” che tanti preti avevano, e forse anche oggi in parte conservano, nelle piccole comunità montane del Trentino, e non solo.
Vecchie storie del tempo che fu, potrebbe dire chi non ricorda le battaglie anti-abortiste dei “Movimenti per la Vita”, portate avanti recentemente sia in mezza Europa che negli Stati Uniti.
La distanza temporale la percepiamo solo quando Saveria racconta dell’ambizione di Rosa a diventare maestra , in un tempo in cui la cultura significava sia arricchimento personale che ascensore sociale, quando i ragazzi, anche i dj, corteggiavano le ragazze per mesi, prima di strappare il primo bacio.
Pure gli inconfessabili desideri sessuali, i rossori improvvisi, i primi innamoramenti, descritti dall’autrice con un’appassionata vividezza quasi sudamericana, sono senza tempo né paese; appartengono al mondo segreto delle donne.
Rita Annaloro
Il libro che conclude la trilogia di Saveria Chemotti non è immune dall’autobiografia, come i due precedenti. I luoghi, sono quelli del cuore. Il tema, quello della maternità. In questo caso si tratta di una maternità non voluta a cui Rosa, la protagonista della storia, arriva impreparata.
I temi toccati sono tanti: l’ambiguità della religione (non commettere atti impuri, si chiede Rosa bambina, cosa vorrà dire?); il mondo contadino; la vita nei piccoli centri dove tutti conoscono la tua storia e ti giudicano; l’ignoranza sul proprio corpo, del quale non si deve sapere né chiedere nulla. Temi che, chi più chi meno, ha avuto modo di toccare con mano se cresciuto in quegli ambienti. La storia si svolge negli anni ’70, ma credo la si debba leggere senza pensare al periodo storico. In fin dei conti, diventare madre è forse la cosa più grande che possa capitare, alla quale si arriva, nella maggior parte dei casi, totalmente impreparate. Non a caso “siamo tutte ragazze madri”.
Mariarosa Raffaelli
Il romanzo breve o racconto lungo: “Siamo tutte ragazze madri” di Saveria Chemotti, narra di Rosa ragazza ribelle, sognatrice e orfana di madre; affidata a una coppia sterile, Teresina e Giovanni con il compito di educarla. A 16 anni rimane incinta, vive in un paesino del Trentino ;siamo alla fine degli anni settanta; vuole abortire, ma poi partorirà e non darà la figlia in adozione .Grazie all’aiuto di nonna Ida, catapultatisi dall’Argentina per aiutare la nipote .La storia è raccontata da due narratori: quello principale narra la vicenda di Rosa e il contesto storico; il secondo è esterno sotto forma di diario ,tenuto dal personaggio che spiega attraverso il monologo interiore il suo essere al mondo ( sentimenti, affetti, arrabbiature) in rapporto con se stessa e gli altri. I personaggi interagiscono con la situazione storica del tempo: la direttrice interpreta il cattolicesimo benpensante che non capisce Rosa e che colpevolizza sempre le donne. La prof. Soprani e la nostra autrice che scrive con toni lievi (l’atto d’amore, il parto) a volte aspri e perentori (i discorsi della direttrice e di don Remo infarciti di pia bontà) e le sue certezze quando indica la musica, gli scrittori e poeti che Rosa ascolta e deve studiare. Ci sono molte situazioni riferite al presente una su tutte la condizione dello studio oggi tanto disprezzato nel Paese e quella dei desaparecidos argentini. Il linguaggio è fortemente connotato dall’uso delle figure retoriche della metafora, ironia e dall’uso del dialetto. Il pianto della figlia Lucia, appena nata risveglia il senso materno e di donna di Rosa; essere ragazze madri significa non solo dare la vita ma è la consapevolezza di trasmettere un patrimonio di valori che può cambiare il mondo. E’ la stanza buia si accese di luce (citazione pagina 83).
Silvia Destro
Siamo tutte ragazze madri attraversa tre generazioni di donne che hanno rubato la marmellata e hanno pagato un prezzo troppo alto per averlo fatto. Tre donne che sono state esse stesse marmellata, ovvero desiderio, ma nessun uomo ha mai pagato per averle rubate.
Un libro che attraversa il 900, il secolo breve che non è mai stato così lungo e che non si arrende a morire: le guerre, le carestie, la ricostruzione, le rivoluzioni, il terrorismo…e la caduta, di nuovo, alla fine. Lo stesso asse curvo della vita. Lo stesso asse curvo della schiena delle donne, quell’arco che Saveria, con questa Trilogia, vuole spezzare. Dopo La passione di una figlia ingrata e Ti ho cercata in ogni stanza, arriva questo libro Siamo tutte ragazze madri dove Saveria ha riscritto quella curva del 900 e la curva non piega più in giù nella smorfia del dolore e della sconfitta, ma s’alza nel sorriso.
È un libro che salva la vita, ma è soprattutto un libro di pensiero. Un libro dove il dialogo tra sé della/e protagoniste è un lungo, incerto, combattuto pensiero. Nella narrazione Saveria dà voce al pensiero capace di sognare, capace di quella visione laterale che sarebbe impossibile senza l’attraversamento del sé come desiderio, del sé come dolore, del sé come rabbia. Fino al pensiero del sé come accettazione, come vita, appunto.
Tutto il libro in fondo sta scritto in una frase scritta a pg 128 A me piacciono i peccatori, mi sono più simpatici. Forse perché lo sono anch’io. Un mea culpa compiaciuto, irriverente, canzonatorio, di frattura verso le convenzioni. Un mea culpa soddisfatto del proprio essere peccato.
Carla Menaldo
Dopo aver letto l’ultima pagina di “Siamo tutte ragazze madri”, mi sono sentita le guance rosse. Ho chiuso il libro e l’ho messo davanti a me, con il desiderio d’interpretarlo con maggiore contezza. Riviverlo senza emozioni, aspettando che uscissero, a una a una, dalle sue pagine, le anime di carta, delle sue eroine, e parlassero con me. Silenzio. Ho fissato la copertina. Colori. Giallo e rosso. Il sole e il sangue. Si stemperano nel blu. Allegoria cromatica della storia di Ida e Rosa? Della gioia e del dolore. Geometrie fondanti tese verso il cielo nell’arco delle braccia, di nonna e nipote, che permette a una di staccare l’altra dalla propria ombra, di guidarla, in uno spazio nuovo. Vieni con me, t’aiuterò. E quei seni che scappano dalle scollature? Lotta di nuove amazzoni. Il terzo romanzo, di Saveria Chemotti, che conclude la trilogia sulla maternità, non è un romanzo autobiografico, perché nella vita dell’autrice la nonna scompare. Qui nonna Ida è vibrante, forte, coraggiosa e decisa. Non è un romanzo nostalgico che narra quel che resta dei giorni vissuti nella scelta dolorosa, tra lo stringere a sé la creatura del proprio ventre o abbandonarla. Forse un romanzo femminista, per la forza che le eroine hanno di affermarsi in una realtà patriarcale o forse femminile, per la dolcezza e l’umanità delle stesse eroine? Sicuramente la storia affronta, sotto mentite spoglie, il dibattito in corso: è giusto esaudire il desiderio di maternità di una donna dando a un’altra la propria gestazione? Tutti possono leggerlo per scoprirlo, ma soprattutto devono le giovani donne.
Eliana Cazzorla
Rosa la bastarda. Rosa la puttana. Era bella, intelligente e sveglia ma quasi nessuno riconosceva tali attributi come virtù, nel 1979 in quel paese del Trentino. Tanto più se discendevi da una generazione di ragazze madri, deplorevoli peccatrici incapaci di tenere chiuse, nel nome della fede cristiana, quelle grazie troppo appetitose. So nona e so mama, Rosa non le aveva mai conosciute. Com’era possibile allora che gli assomigliasse così tanto? Perché avevano deciso di lasciarle in eredità un fardello così ingombrante, così pesante come un destino da ragazza madre? Qual era la sua colpa?
Saveria Chemotti torna a dar voce alle donne: giovani madri additate da tutti come puttane, figlie di una cultura bigotta che le educa a rinnegare la propria femminilità, a condannare ogni forma di sessualità, a pentirsi ancora prima di commettere peccato. Giovani donne, depositarie di un sapere e di un patrimonio ineguagliabili, che finalmente riescono a trovare pace, accettando la loro condizione di ragazze benedette, non più peccatrici. Siamo tutte ragazze madri è un romanzo importante, un testimone che va passato di madre in figlia, da sorella a sorella. Un testamento per tutte le donne ma anche per tutti gli uomini che accompagna, di stagione in stagione, a godere della bellezza di quella pianta che, anche se giovane, porta con sé la primavera facendo sbocciare la prima Rosa.
Francesca Ballarin
Il romanzo di Saveria Chemotti appartiene e completa una meravigliosa trilogia. Sembra concludere un cammino di riconciliazione, di giustizia e di perdono: tanto sofferto!
Quanta maternità e figliolanza anche in questo romanzo! Quanto desiderio di sentirsi amate, di costruire un avvenire migliore, di non ripercorrere tracce passate. Quanta la fatica per Rosa, la protagonista, di portarsi dietro un fardello pesantissimo: Come to mama, come to nona”
Quante situazioni che coinvolgono e spesso “intrigano” la vita delle donne!
Donne sole ai margini, ma anche alleate, amiche e complici
In Siamo tutte ragazze madri l’amore sembra una colpa da espiare e non una gioia di vita, da godere e da trasmettere. Il romanzo ha un lieto fine, ma è un atto di coraggio: un’impegnativa, vera rinascita.
La narrazione cattura, sempre, coinvolge in modo splendido prendendo ora un ritmo incalzante ora lento e profondo, in particolare dalla ricomparsa della nonna Ida.
I loro dialoghi sono forti, provocanti e incisivi, senza il sapore amaro di prediche moralistiche, ma ricchi invece di amorevoli espressioni, che riscattano anche questa figura familiare desaparecida.
Un “mondo antico” che dovrebbe infonderci slancio, non per dissolvere, giudicare e demolire, ma per costruire una coscienza nuova, anche senza affitto di uteri o vite a tutti i costi. Situazioni oggi troppo spesso vissute nella sregolatezza e superficialità, senza un consapevole e rispettoso amore.
Anche qui la voce di Saveria Chemotti è una bella “voce di donna… che non si accontenta delle briciole”.
Suor Sandra Marin
“Siamo tutte ragazze madri” di Saveria Chemotti (L’Iguana editrice) è una storia di riscatto e redenzione: è liberazione dai pensieri che ci intrappolano e soffocano l’identità femminile. Rosa, la protagonista, incinta a sedici anni, odia furiosamente la sua pancia, prova del peccato commesso, fonte di sensi di colpa e di vergogna, e il bambino che c’è dentro: l’intruso che le deforma il corpo, esponendola allo sguardo impietoso e giudicante degli altri, l’ostacolo alla sua realizzazione. Tuttavia, attraverso il percorso di consapevolezza e di conquista della propria autonomia di pensiero che la cultura le offre, Rosa riesce a compiere il passaggio da una concezione solo biologica (e quindi oppressiva, coercitiva) della maternità a quella simbolica e riesce a perdonare se stessa. Come dice la poesia di Emily Dickinson in esergo al secondo capitolo del romanzo: “Un giorno mi perdonerò / Del male che mi sono fatta / Del male che mi sono fatta fare / E mi stringerò così forte da non lasciarmi più”.
Ecco, io penso che questo romanzo di Saveria Chemotti – intenso, trascinante, commovente – ci aiuti a perdonarci, riscattando anche i nostri errori come passi necessari nel cammino della crescita e della costruzione di sé.
Elisabetta Baldiserotto
Il libro di Saveria Chemonti, dal mio punto di vista, è un’opera rivoluzionaria. L’autrice è stata in grado di trattare un tema molto delicato, un tema a noi spesso “scomodo”, ossia la gravidanza in giovane età.
L’autrice in alcuni tratti, seppur brevi, è delicata nell’affrontare una tematica che possiamo definire quasi un tabù sociale. Nella maggior parte della narrazione tratta il tema con un linguaggio assolutamente comprensibile, a tratti rudimentale, spigoloso, tecnica eccelsa perché fa capire benissimo al lettore, la situazione che Rosa, la protagonista, sta vivendo.
Una parte del testo viene poi dedicata al dramma interiore che Rosa conserva, a causa delle esperienze famigliari passate dovute ai rapporti poco fortunati con la gravidanza, sappiamo che la madre era morta di parto mentre la nonna era addirittura scomparsa.
Le storie raccontate sono tre, tre donne della stessa famiglia, accomunate da un dramma comune, donne che hanno avuto gli stessi dubbi e le stesse paure, che anno amato ed odiato quel pancione che in silenzio cresceva.
Una storia, avvincente, agghiacciante, attuale e viva, assolutamente da leggere.
Elisa Pizzol
“Questo romanzo ci racconta gli incubi che prima o poi, anche se non con questi esiti tragici, ogni donna ha prima o poi vissuto, le sue paure, i suoi sensi di colpa e la sua rabbia. L’ansia di veder comparire il ciclo, il dubbio durante i ritardi, la consapevolezza, a volte, di non essere in grado, per le ragioni più diverse, di portare avanti una gravidanza, la paura del giudizio degli altri, il timore di deludere la propria famiglia, il rischio di veder sfumare i progetti di studio o di carriera. Questo romanzo ci parla anche, su un altro versante, della possibilità di comprendere, di perdonare e di ritrovare chi ci ha inferto, vittima essa stessa e allo stesso tempo responsabile se non colpevole, un dolore tanto profondo da diventare tutt’uno con la nostra esistenza.
Un libro che non definirei femminista, bensì certamente femminile, per quel suo sguardo che scava nella profondità dell’animo delle donne.”
Annalisa Bruni