“La felicità degli altri” di Carmen Pellegrino
C’è chi la voce, nella vita che gli è stata assegnata, non l’ha mai avuta, o, per un perfido agguato del destino, si è scoperto improvvisamente sommerso dall’ombra. È il caso del professore ritrovato mummificato dopo anni dalla sua morte, perché nessuno si era accorto della sua presenza, o della bambina scacciata senza pietà dal suo villaggio. Un esercito di ombre a cui Carmen Pellegrino restituisce la dignità che in vita reale non hanno mai avuto. Con uno stile secco, giocato sulla sottrazione, in cui il bianco della pagina acquista rilevanza, l’autrice ci consegna anche un pensiero etico da conservare quando saremo usciti pian piano dal libro.ApprovaRifiuta
Corriamo, fuggiamo, ci nascondiamo negli anfratti della memoria, sigilliamo i mostri più intimi in scrigni senza chiave, schiviamo fantasmi che si nutrono di gesti ancestrali e ci costringiamo ad un immobilismo sacro. Inviolabile. Eterno. Immobilismo abitato da ombre scomode, ladre di sangue e sogni. E se il buio non fosse assenza di luce ma la sua salvifica contrapposizione? Se lo fosse – è nostro dovere rifletterci – avremmo trovato La Via. Dice bene l’autrice, in fondo, «siamo ciò che di noi ritroviamo, fantasmi compresi». Solo che a volte non vogliamo confessarcela questa verità per non correre il rischio di essere felici. Vivere. Perché siamo anime in bilico e «le paure consolidate in un certo senso rassicurano». Ma Cloe ha bendato le paure avventurandosi in un viaggio che l’ha vista morta e risorta in nuove identità fino a far pace con le sue ombre e confessarsi alle loro mille anime in ascolto. Fino a cullare la rinascita della donna che non era mai diventata. «La felicità degli altri» è un romanzo potente, esistenziale, che scava e fruga, ammalora e ripara, riconsegnandoci il senso del non vissuto che pesa sul domani. Non è un libro ma «un panno caldo là dove fa male».