“Il fantasma dei fatti” di Bruno Armaia
Jacques Lacan scriveva che “la verità è l’errore che fugge nell’inganno ed è raggiunto dal fraintendimento”.Ne Il fantasma dei fatti, Bruno Arpaia ci consegna una storia che ha a che fare con la Storia, tuttavia l’inganno è in agguato: non sappiamo cosa attribuire alla realtà e cosa all’immaginazione dell’autore.Due i piani temporali del romanzo: nel primo troviamo Thomas Karamessines, detto Tom il Greco, misteriosamente presente laddove accadono i fatti bui della storia del Novecento, dalla morte di Kennedy al Golpe in Cile. Non ultimo è in capo alla stazione CIA a Roma dal ’61 al ’63, quando scompare Enrico Mattei, fondatore dell’Eni, vittima di un attentato. Nel momento in cui si registra l’ascesa italiana in campo economico ed energetico, ecco che viene falciato uno degli attori principali di questo processo, segnandone la decadenza.Cosa ha a che fare Tom il Greco con la morte di Mattei, l’uomo più influente d’Italia? Dietro quell’attentato c’è la mano lunga della CIA? Perché? E cosa a che fare Tom il Greco con la morte di Mario Tchou, collaboratore di un altro grande protagonista della scena di quegli anni, Adriano Olivetti?Con il secondo piano narrativo l’autore scrive una sorta di metaromanzo nel quale lui stesso per primo si interroga sull’opportunità di lavorare a un romanzo la cui materia è difficile, se non impossibile, e mentre espone i suoi dubbi i fatti accadono. E lo braccano. I suoi dubbi diventano così i nostri, le storie si intrecciano, sostenute da uno stile asciutto con un ritmo da spy story.È anche a questo che servono i romanzi: a interrogarci, a raccontare verità che la Storia con molta probabilità non scriverà mai, è compito della narrativa lasciarci intravedere “il fantasma dei fatti”.“Spesso la realtà ci appare assurda, casuale, oppure è più complessa di ogni nostra immaginazione: si sfrangia, si diluisce, si confonde e ci confonde. Fino a diventare quasi inafferrabile. E noi essere umani siamo condannati ad agitarci, di solito senza saperlo, soltanto nell’angusto territorio di quel “quasi” .“È proprio nel territorio di quel “quasi” che agisce il romanzo di uno degli autori più significativi della narrativa italiana degli ultimi anni, nonché traduttore di molte opere spagnole e latinoamericane.
Coltiva il dubbio Bruno Arpaia, e nel farlo rilegge una storia di omissioni e non detti, in cui «gli atti relativi» – per dirla con Sciascia – «divengono assoluti» sulla base di un’indagine che disseziona parole, interroga i documenti e restituisce, sulla pagina, l’inalienabile diritto al rovello. Il richiamo all’autore di Racalmuto consente ad Arpaia di fissare nel titolo il valore del suo lavoro, precisamente nato da quel «fantasma dei fatti» che è poi la verità di certa parte di storia. Assumendo come osservatorio la figura sfuggente di Thomas Karamessines (ex capo dell’ufficio Cia di Roma), lo scrittore riporta alla mente stragi e connivenze, si spinge a ragionare della morte di Mattei, rivive utopie sfociate in disincanto e sperimenta – ancora – la forza conoscitiva della letteratura. Senza pretese né risposte, lontano da toni profetici che mal si addicono al suo stile piano, intimamente ragionato, Arpaia solleva il vero di una trasparente normalità e fa dell’incertezza un criterio d’azione, lo strumento per mettere in fila – e persino ‘consultare’ – gli elementi più controversi della storia recente.
Il fantasma dei fatti è un romanzo avvincente, che ci trascina negli intrighi della politica del nostro secondo dopoguerra, nel mistero di due morti sospette: quelle di Enrico Mattei, fondatore di ENI, e Mario Tchou, ingegnere e collaboratore di Adriano Olivetti, e nei processi a Felice Ippolito, Segretario generale del Comitato nazionale per l’energia nucleare C.N.E.N, e a Domenico Marotta, inventore del primo microscopio elettronico e direttore dell’Istituto Superiore di Sanità I.S.S.Con questi uomini l’Italia era all’avanguardia su tutto, sarebbe potuta diventare un grande potenza internazionale. Poi la tempesta perfetta, così perfetta che qualcuno ipotizzò l’idea di un complotto internazionale ai danni del nostro paese. Due morti eccellenti e due arresti clamorosi. Praticamente in soli 4 anni, dal 1960 al 1963 era sparito del tutto il dominio italiano nella tecnologia, nell’indipendenza energetica, nella medicina. Questi sono i fatti.Arpaia sviluppa il suo romanzo su due piani. Il primo è una inchiesta basata sulle lunghe e faticose ricerche d’archivio fatte dal protagonista, che ha lo stesso nome dell’autore. Sono gli anni compresi tra il ’59 e il ’63, anni in cui in Italia si dibatteva l’apertura a sinistra, gli anni di Fanfani, Moro, Nenni. Il secondo piano narrativo è una fiction, che se pur plausibile non ha completa rispondenza con la realtà. Il personaggio è Thomas Karamessines, capo della stazione C.I.A. a Roma dal 1959 al 1963, del quale poco si sa, ma che Arpaia rende vivo grazie all’immaginazione, all’inventiva e a una scrittura precisa ed elegante, il risultato è un romanzo ricco di suspence, capace di regalare le emozioni di una spy story e di fornire informazioni interessanti sul nostro recente passato.