“È da lì che viene la luce” di Emanuela E. Abbadessa.
Liberamente ispirato alla figura del fotografo tedesco Wilhelm von Glöden, racconta la difficoltà nella definizione dell’identità sessuale e la complicazione di vivere un sentimento puro ed aulico nella realtà quotidiana d’ignoranza, indigenza, invidia e meschinità di una Taormina che si affaccia al fascismo del 1932.
Il barone tedesco Ludwig von Trier fotografa giovinetti siciliani immersi nel paesaggio bucolico o nelle rovine greco/romane per riproporre i fasti della classicità ellenica o le linee di bellezza pura del Caravaggio. Purtroppo s’innamora del giovane Sebastiano ed Agata, modella scalzata da quest’ultimo ne approfitta, per invidia e meschineria, e lo accusa di omosessualità in un momento storico in cui si potevano infliggere legalmente pene corporali a chi andava contro la morale pubblica ed il buon costume.
Von Trier viene picchiato una notte dalle camicie nere e, già cagionevole di salute, non troverà in se la forza per reagire o la volontà di sopravvivere ad una punizione che sa ingiusta nei confronti di un sentimento volto solo al bene di un altro essere umano.
Magistralmente scritto, a mio parere, l’autrice riesce a definire in modo delicato la figura di Von Trier e della sua governante Elena ed arricchisce di particolari la descrizione di ambienti, luoghi e sogni che il lettore riuscirà a vedere nitidamente con gli occhi della propria fantasia.