Ero molto curiosa di leggere la seconda prova narrativa di Giorgia Tribuiani. Il suo “Guasti” mi aveva colpito e interessato, tanto da selezionarlo per la quarta edizione di Librinfestival. Anche nel suo “Blu” torna prepotentemente il tema dell’arte. L’arte come stile di vita, talento, passione e ossessione. Ma questa volta l’originalità dell’opera è più nella ricerca linguistica, nella tecnica della narrazione. Il racconto è centrato nel mondo dell’arte performativa, visto con gli occhi di una talentuosa adolescente alle prese con la sua crescita personale, relazionale e artistica. Un libro spiazzante, a tratti faticoso, per il ritmo incalzante, e ansiogeno, che però è anche la sua forza. Durante la lettura mi sono spesso chiesta, perché scrivere un libro come questo? La risposta è nella lettura stessa del testo. Giorgia Tribuiani trascina il lettore in una performance. Blu è perfomance, come dice Alice Cappagli nella quarta di copertina. Non c’è altra spiegazione. Ginevra/Blu lo strumento, la chiave per inoltrarci in questo modo di fare arte. Cosa c’è di più difficile, contorto e controverso del pensiero di un’adolescente che si affaccia alla vita? Come rendere visibile sofferenza, confusione, ardore, se non fissarli con parola scritta, dargli voce, così come si sviluppano nella mente di una ragazzina? Cosa c’è di più vicino all’arte, alla creatività se non il pensiero puro. Gli stessi pensieri, la stessa confusione che non sono, però, patrimonio esclusivo di un’adolescente, ma appartengono ad ognuno di noi, che ci troviamo spiazzati e a disagio di fronte all’arte, in particolare quella contemporanea, che spesso parla un linguaggio libero, prigionieri come siamo di convenzioni e consuetudini, perché tutto deve avere un senso, una spiegazione razionale. Leggere Blu è una esperienza che non dovrebbe neppure essere recensita, ma vissuta.
“Blu” è il secondo romanzo di Giorgia Tribuiani dopo “Guasti”, edito da Voland pochi anni fa. Come in “Guasti”, anche qui ritroviamo una ragazza al centro della scena, e anche qui è l’introspezione a dominare la lettura. Un’introspezione così feroce – non vengono altri termini da utilizzare – che quasi ci si perde nei pensieri della giovane Ginevra, la quale ha bisogno soltanto, come tutti gli adolescenti, di costruirsi la propria nicchia all’interno di un mondo che degli introversi sembra aver fatto il proprio nemico principale. In un’epoca in cui qualità fondamentali sono diventate la simpatia, la capacità di raccontarsi, l’apertura al prossimo, chi ha una forte vita interiore non accompagnata da un’altrettanta vivace vita esteriore sembra destinato a perdersi fra le pieghe degli eventi.La scrittura di Giorgia Tribuiani è complessa, frammentata, spezzata, atomizzata perché è la personalità di Ginevra/Blu a essere così: per seguire il flusso di pensieri è necessario fare uno sforzo ulteriore, empatizzare, arrivare a comprendere non solo le motivazioni che spingono all’azione bensì anche le più profonde intenzioni della protagonista. Bisogna intuire il suo passato per comprendere il suo presente.È questo che si ritrova in Blu. Una prospettiva diversa eppure non dissimile a molte altre, su qualcosa che in definitiva sempre sfuggirà: l’enigma dell’esistenza.
Tu non mi piaci, Blu, sei strana, hai i capelli unti, le unghie mangiucchiate fino alla pelle e lo smalto rosicchiato. Sei sola, triste e inadeguata, non hai carattere, sei tutta sbagliata. Mi hai tolto il sonno, mi sveglio in piena notte e desidero leggerti, sono al lavoro e penso a te. Non mi piaci, Blu. Mi ricordi me, alla tua età.È inutile che tenti di diventare una grande artist performer, lascia stare, non sei forte abbastanza, non sarai mai brava come la tua insegnante Dora o il tuo idolo Marina Abramović; mai simpatica come tua sorella Lea.Sai solamente farti del male, farti usare dal tuo fidanzato, essere sottomessa agli eventi, non alzi mai la testa. Però una cosa sai fare bene: disegnare.Solo l’arte ti salverà, tutto il resto sono seghe mentali. Adesso lascia che parli Ginevra. Lei mi piace, è come vorrei essere io…
Che colore ha un’ossessione?Ginevra ha 17anni e per tutti è Blu. Un nome che le è rimasto appiccicato da quando era piccola e il suono di quella parola la faceva ridere. Guardati ora Blu. Guarda le tue unghie rosicchiate, con lo smalto – blu – smangiato, guarda i tuoi capelli – ormai stinti blu – guarda il banco di fianco al tuo, sempre troppo vuoto.Blu che apre e chiude gli occhi. Blu che conta i capelli, i gesti, i passi, perché nessuno si faccia male. Blu che condivide il dolore degli altri per tenerli legati a sé. Blu che durante una gita scopre la performing art e resta folgorata (ossessionata) dall’artista che la mette in scena. Blu è un viaggio. Blu scava dentro, senza sconti e senza pietà. Con i suoi rituali, i suoi sensi di colpa, le sue manie, le sue fragilità. Con la sua ricerca di accettazione, di riscatto. Di una via di fuga. E chi è Giorgia che ci racconta Blu? È una voce nuova, profonda, non convenzionale. Una di cui vorrei leggere altro. Anche se, dopo essere entrata nel mondo di Blu (di Giorgia? Mio?) avrei voluto scrollarmelo di dosso. Un libro che cattura e non lascia scampo. Anche quando vorresti dire basta. Anche quando ti trascina e si trascina (troppo?). Senza capitoli eppure frammentato. Scomodo, vero, ruvido, delicato, a tratti anche inconsistente, ma impossibile da dimenticare.
Ginevra ha diciassette anni, frequenta il liceo artistico e da quando è piccolissima tutti la chiamano Blu per via di una storia con un gelato al puffo. Blu è vittima di un disturbo ossessivo compulsivo che l’autrice, in modo tanto audace quanto azzeccatissimo, sceglie come narratore e pagina dopo pagina, fin dalle primissime righe, cattura il lettore e lo trasporta nel mondo immaginario di un’adolescente tormentata.In una lotta incessante la cattiva Ginevra e la brava bambina Blu (obbediente) vivono la separazione dei genitori, il rapporto conflittuale con una sorella-non sorella Prosciuttona e pure un fidanzato non amato. L’incontro inaspettato con la professoressa Castaldi svelerà alla nostra giovane protagonista il mondo della performance art e conoscere Dora; scoperte che cambieranno la vita di Blu, anzi di Ginevra.Uno stile ossessivo, compulsivo, rivelatore ancora una volta delle grandi capacità narrative di Giorgia Tribuiani, che dimostra quanto scrivere sia un’arte.
Una recensione. Una sola. Hai 15 righe a disposizione. Una riga. Pensa che ora ne hai solo più 14. Ecco ne hai esaurita un’altra per scrivere che ne avevi una in meno. Ti ricordi l’ultima volta che hai scritto una recensione ma hai sforato? Ecco, non vorresti succedesse di nuovo, vero? Allora sii ragionevole. No! L’hai fatto di nuovo. Hai solo più 6 righe. Respira. Devi scrivere qualcosa di universale, devi raccontare bene il libro senza svelare troppo. Respira. Non respirare così a lungo. La quantità di ossigeno che entra potrebbe essere eccessiva. Una via di mezzo. Ragiona. Il tempo passa. Lo spazio sta per finire. 14 righe. È l’ultima. Sei spacciata. Questa non è la mia recensione, questa è la recensione che forse scriverebbe Blu. Lei è una Yayoi Kusama bolognese. Lei fa sentire tutti noi meno soli, strani e sbagliati, in tutte le nostre ossessioni. E Ia devo ringraziare per questo. Perché lo fa con inestimabile sincerità. Blu racconta il potere salvifico dell’arte. Io della sua storia non ho raccontato nulla e forse non si fa così una recensione, ma quello che posso dirvi è che sono tanto felice che ora lei esista nel mondo dei personaggi di carta.
“Blu” indaga a fondo sulla psicologia e sulle emozioni di una ragazzina di diciassette anni, regalandoci un’istantanea dei suoi tormenti interiori, della sua fatica nel lottare giorno dopo giorno contro la gabbia sociale che sembra premerle addosso, della sua odissea nell’annullare il suo doppio. Ma “Blu” affronta anche le paure di tutti noi, quelle che ci rendono più fragili nonostante ci ostiniamo a nasconderle, sebbene abbiamo ormai superato le fasi adolescenziali più critiche e difficili. Giorgia Tribuiani ci regala un romanzo totale, immediato, toccante e doloroso. Una storia di incertezze ma anche di coraggio, che non dimenticheremo facilmente.
I libri sono parte di noi, ci spingono, ci attirano, ci mostrano chi siamo e molti libri vengono scritti perché chi scrive sente di avere qualcosa da dire a noi. Blu invece non mi dice, non mi parla, perché il testo mi proietta letteralmente nel testo, mi innesta; mentre leggo vengo attratto in un vortice e sono completamente immerso in lei e nei suoi pensieri. Vivo pienamente le sue ossessioni che diventano mie, e rimango in apnea fino al riemergere delle ultime pagine. Blu è un opera che ti entra nella testa, che rimane nella testa, perché non racconta, ma ti prende e ti trasforma in adolescente, femmina, artista, figlia, sorella, studente, fidanzata, ti rende ribelle e succube, grande e piccola, unisce passato e presente, passione e ossessione. Blu inizia con uno sguardo sul mondo e se il mondo che guarda è il tuo lo saprai quando finirà il conto.
“Blu” di Giorgia Tribuiani è un libro di trascinante intensità emotiva, un’opera sofferta e alimentata dal riconoscimento dell’origine del disagio attraverso la complessità oscura delle vicissitudini umane. L’autrice vive la contingenza animata delle inquietudini e muove i suoi tormenti per contrapposizione tentando di decifrare ogni istintiva confessione. La protagonista della storia e il suo doppio si raccontano in un’unica realtà ontologica, frammentata e disorientata, partecipano alla tortuosa trama del conflitto interiore. La deviazione della mente è un logos interiore che regola le contraddizioni. L’identità discontinua e irrequieta delle parole comunica un codice circolare, avvolto dagli affanni esistenziali, nella formula interlocutoria delle domande ossessive, nell’emozione frenetica dell’indagine dell’inconscio, nel fluire del pensiero contaminato. La narrazione impiega la facoltà percettiva e sensitiva dell’anima sensibile, la scrittura deturpata dalla corruzione psichica tra vero e falso, la dottrina esplicita dell’essenza e della causa. L’inconscio riconosce la perdizione nei propri limiti, domina l’affezione e lo spavento, osteggia la qualità del riscatto, sconvolgendo la disposizione dell’intelletto.
Passione come ossessione, e l’ossessione che si fa opera d’arte: questo il fulcro del romanzo. Ma non vi è solo questo: la protagonista, Ginevra, soffre di un disturbo ossessivo (ed ecco che torniamo sempre lì, all’ossessione)che la porta a contare ogni minuscola azione che fa, a legare a numeri perfetti il successo dei suoi movimenti, che sia lavarsi i denti oppure prendere il bus dopo aver superato venti lampioni, tornando indietro di uno ché i lampioni in fila sono solo diciannove. E noi veniamo immersi mani e piedi in questo mare dell’ossessione, fin dalla scelta di Giorgia di usare la seconda persona singolare nella narrazione: un gioco delle parti, Blu, quella buona, che si rivolge a quella cattiva, Ginevra (e già è significativo che sia il nome inventato a corrispondere al lato positivo). Eppure ci sentiamo appellati noi, insieme a Blu/Ginevra e non riusciamo a tirarci indietro rispetto alla sua perdizione. Assistiamo alla sua ricerca di una fuga dai sensi di colpa della lei bambina di otto anni, nei confronti dei genitori divorziati, della sorellastra che si è ritrovata malvolentieri, del ragazzo innamorato e trattato con brutale indifferenza. Ci viene, durante la lettura, da pensare: “Dai Ginevra, togliti di lì! Salvati!”, o vorremmo che qualche personaggio lo facesse per noi.La narratrice ci illude che questo possa succedere attraverso il personaggio di Dora, la performer artistica la cui esibizione sconvolge il mondo di Blu, artista in erba e dotata. Le fa mettere in discussione le sue inclinazioni, prospettive e perfino le colpe. Invece sarà solo un vortice ancora più profondo, nel quale sprofonderà Blu, perchè ammantato di brutale indifferenza e senza nessuna velleità salvifica. Come del resto succede nella realtà quotidiana di tutti noi. Giorgia il coinvolgimento lo crea in noi attraverso un uso innovativo ed efficace del linguaggio e della punteggiatura, un affastellamento continuo di pensieri e sensazioni che si mischiano in una perpetua confusione, che è quella che noi abbiamo in testa, senza rendercene conto. E per questo ci viene così facile immedesimarci nella protagonista: ci siamo tutti ritrovati a vivere delle ossessioni, dei pensieri martellanti che ci riempivano la testa e non sapevamo come fare per scacciarli, finché non eravamo del tutto esauriti e svuotati di noi stessi. Una grande prova di coraggio, riuscita. Un grande romanzo.