“Non sono mai andata a letto con Hemingway, me ne pento molto e sono stata una scema. Ma non sono andata a letto con lui per rispettare la mia sciagurata educazione vittoriana, facendo un errore a cui ho cercato di rimediare battendomi per raggiungere, per le altre ma non per me, la libertà sessuale. I giorni, le ore, i minuti trascorsi con lui sono stati l’unica vera realtà della mia vita.”
Lo ripeteva sempre Fernanda Pivano, la ragazza che adottò la Beat Generation, colei che, da Hemingway ai minimalisti, portò l’America in Italia, traducendo decine di loro opere e propagandando la loro nuova visione del mondo. L’autrice che proprio con una biografia su Hemingway vinse nel 1985 il Premio Comisso. Nella foto ufficiale la si vede ricevere il premio dalle mani dell’allora presidente Bruno Visentini, che sicuramente non avrà commesso una gaffe marchiana come quella, diventata celebre, del Presidente della Repubblica Giuseppe Saragat vent’anni prima.
Quella volta, la Pivano ritirava il Premio Saint-Vincent per il giornalismo vinto con il suo America rossa e nera, la raccolta di cinque anni di articoli sul costume e la letteratura d’oltreoceano, da Melville alla cultura Beat. L’amico Eugenio Montale la presentò come esperta di letteratura americana al Capo dello Stato che si complimentò chiedendole cosa pensasse di Shakespeare.
E dire che la Pivano aveva già conosciuto e tradotto i poeti della Beat Generation e si stava battendo assieme a loro
“per liberare tutto il liberabile, il sesso, le donne, le religioni, i popoli oppressi, l’Amazzonia, in generale la vita.”
Li frequentava, li ospitava nella sua casa coniugale di Milano. Per loro era come una sorella, anzi, una vice-mamma saggia e comprensiva che condivideva gioie e dolori. Si faceva spiegare il senso e le allusioni della loro lingua da iniziati e delle loro fughe nella fantasia, ma si manteneva sempre lucida. Un esempio è la famosa intervista televisiva con Kerouac realizzata nel 1966 per la RAI: lui ubriaco, lei invece indomita nel fargli domande e tradurre concetti che poi vengono mediati da un austero commentatore.
Le amicizie importanti di Fernanda iniziarono già molti anni prima, sui banchi di scuola: come compagno di liceo ebbe Primo Levi, assieme al quale fu bocciata allo scritto della maturità: lei prese tre, lui un umiliante uno; come supplente di italiano Cesare Pavese, diventato in seguito suo mentore e spasimante, tanto che le chiese per ben tre volte di sposarlo. Ma fu quello con Ernest Hemingway uno dei più fortunati sodalizi professionali. Un legame nato da un episodio accaduto a Torino nel 1943, quando la Pivano venne arrestata dalle SS che la interrogarono a lungo con l’accusa di vilipendio alle Forze Armate per la descrizione della disfatta di Caporetto in Addio alle armi – romanzo messo all’indice dalla censura fascista -, di cui lei stava curando la traduzione.
Disavventura che colpì lo scrittore americano, tanto che le inviò due cartoline – alla prima lei non aveva risposto pensando a uno scherzo – con l’invito a raggiungerlo a Cortina. La Pivano, emozionatissima e incredula, viaggiò in treno per un giorno intero da Torino alle Dolomiti e trovò lo scrittore in albergo, a cena assieme a una quindicina di invitati. Lui si alzò, le andò incontro, l’abbracciò con la sua mole imponente chiedendole subito: “dimmi dei nazi”.
Di quel primo incontro, una chiacchierata durata una notte intera nella stanza dell’hotel Concordia, Nanda parlerà spesso con ironia e un pizzico di rammarico per l’occasione sprecata.
Da quella notte a Cortina, Papa e “figlia” – così la chiamava Hemingway – non smisero mai di scriversi: lui le raccontava le malefatte di Hollywood, i pettegolezzi di New York, le delusioni di Cuba, le dava consigli e suggerimenti per la sua attività di traduttrice e giornalista. Si incontrarono diverse volte sia in Italia sia a Cuba.
I rapporti della Pivano con Treviso proseguirono anche dopo la vittoria del Premio Comisso. Alla fine degli anni Novanta donò a Fondazione Benetton il suo archivio di libri e altri materiali, che inaugurò in un emozionante pomeriggio in cui si mise ad accarezzare i dorsi dei volumi. E resta indimenticabile quella sera dell’aprile 2004 quando settecento persone stipate a Palazzo Bomben tributarono insieme a lei un omaggio ad Allen Ginsberg nei giorni della mostra “Voci-Voices”, con le bobine delle sue interviste ai protagonisti della letteratura mondiale. Oggi il fondo Pivano è stato unificato presso la Fondazione Corriere della Sera a Milano.
Fernanda è morta il 18 agosto del 2009, dopo aver esplorato a fondo anche il mondo dei cantautori, da lei definiti “i nuovi poeti, quelli di strada”.
Non fu grandissima come scrittrice, ma gigante come traduttrice e rivoluzionatrice della società italiana. E in quella vitalità vorace di esperienze che la animò sempre, nonostante le differenze, è suggestivo scorgere un legame a distanza con il “nostro” Comisso.
Federica Augusta Rossi è nata a Padova e vive a Bassano del Grappa. Studi alla facoltà di Lingue e letterature moderne di Feltre, ha pubblicato suoi racconti nell’antologia L’anima delle donne, nella rivista specializzata Ippogrifo, nel periodico Il Friuli. Ha collaborato alla sezione social team del festival Pordenonelegge e attualmente è impegnata nelle iniziative di Bottega di narrazione di Laurana editore a Milano.Cura progetti letterari per il Soroptimist club di Bassano del Grappa.