Prima di parlare di Rigoni Stern vorrei sapere, Giuseppe Mendicino, tu che sei nato in Toscana e vivi e lavori in Lombardia, com’è stato questo tuo avvicinarti al Sergente e alla montagna? Ci parli di tuo nonno a San Sepolcro?
Storia, letteratura e montagne sono da sempre le mie passioni. E Rigoni le racchiude tutte, nei suoi libri e nella sua vita. A 25 anni aveva già scalato montagne, combattuto su tre fronti di guerra e subito venti mesi di prigionia nei lager tedeschi.
Mi decisi a conoscerlo di persona dopo aver letto una intervista nella quale evidenziava la sua passione per i libri di Joseph Conrad ed Ernest Hemingway, tra i miei autori preferiti.
Mio nonno di Sansepolcro, con il quale sono cresciuto, aveva fatto la stessa scelta dopo l’8 settembre del ’43: sergente maggiore del Genio aveva detto no a chi gli chiedeva di aderire alla RSI di Mussolini, e subì anch’egli una lunga e dura prigionia in Germania.
Da Asiago 1921, quand’è nato, alla Seconda guerra mondiale. L’educazione, la vita, il fascismo, la guerra. Ci racconti di questo primo Rigoni Stern, quando ancora la scrittura non era entrata nella sua vita?
Erano anni di pensiero unico, l’Italia era sotto il tallone di una dittatura.
A scuola, all’oratorio, nei giornali, non si sentivano voci contrarie.
Rigoni legge molto, i russi in edizioni ridotte, poesie, L’isola del tesoro di Stevenson, ama il suo altipiano dei Sette Comuni ma sogna un futuro di avventure e di libertà, in giro per il mondo.
Il sergente nella neve Einaudi 1953, come nasce questo romanzo, tra i fondamentali del ‘900 europeo e mondiale, e perché si distingue da tutta la memorialistica di guerra di quegli anni?
Rigoni inizia a scriverlo nel gennaio del 1944, in prigionia;durante quei lunghi mesi di lager porta a termine la prima bozza della seconda parte del libro, Il caposaldo. Tornato ad Asiago dopo la guerra, inizia a comporne la prima parte, La sacca. Scrive per non dimenticare, per dar voce a chi non ne ha più, perché scomparso in guerra o nei lager.
Nella stesura di questo e dei libri successivi sarà aiutato dagli appunti che scriveva ogni giorno, sin dai tempi dell’addestramento da alpino, in piccoli taccuini tascabili.
Il sergente nella neve si distingue da altri libri di memorie, per la qualità della scrittura, chiara e asciutta ma di grande espressività, e per l’incalzante lucidità della narrazione.
Citando il suo amico Primo Levi, si può dire che: “Non c’era bisogno di enfatizzare o commentare, l’orrore era nei fatti, bastava raccontarli”. E saperli raccontare, aggiungo io.
Un libro che è un successo editoriale, vince il Premio Viareggio opera prima, tanti ne parlano: come cambia la vita di Rigoni Stern? Va alla tivù e alla radio? Partecipa ai festival letterari? Fa pubblicità agli sci e cuce logo vistosi sui suoi maglioni di lana?
La sua vita cambia solo nei limiti di un maggiore respiro finanziario, utile per consentirgli di costruire la sua casetta sul limitare del bosco. Ma non cambia il suo stile di vita, sobrio e concentrato sulle cose essenziali e davvero importanti.
Non farà mai parte di circoli né amerà premi e festival letterari: memorabile la sua fuga, insieme a Primo Levi, alle rispettive consorti, al giornalista Alberto Papuzzi e all’editore Mursia dai saloni del Palazzo ducale, dove si svolgeva il Premio Campiello, appena vinto con Storia di Tönle.
Via dalla confusione e dalle parole inutili, e anche dalla compagnia del presentatore, l’ex repubblichino Giorgio Albertazzi.
Il Sergente nella neve poteva essere anche un colpo di fortuna, un fulmine che illumina il secolo e finire lì. Cosa accade quando Rigoni Stern riscopre la natura e le piccole storie di paese, di caccia e montagna?
In realtà anche nel Sergente ci sono riferimenti alla natura. Per lui era tutto, era il mondo che ci circonda, il passato e il futuro del nostro pianeta.
Amava camminare in montagna, nei boschi, sentendosi in sintonia con gli alberi e gli animali. La sua profonda conoscenza del mondo naturale emerge soprattutto in quel capolavoro che si chiama Arboreto salvatico.
I suoi libri sono tradotti in 18 lingue che cosa ci puoi dire della sua scrittura? Della sua “voce” letteraria?
Uno stile chiaro ed evocativo, ricco di vocaboli. Rigoni dava un solo consiglio a chi voleva scrivere: usate il dizionario dei sinonimie dei contrari. Nelle sue pagine non troviamo ripetizioni o parole banali, troviamo invece la chiarezza di cui parlava Italo Calvino nelle sue Lezioni americane.
Per Mario Rigoni Stern e per Primo Levi lo scrivere chiaro era una scelta anche etica e civile, non si trattava solo di stile.
Si parla di “tensione etica” rispetto alla figura di Rigoni Stern. Cos’è questa dolcezza e questa forza che troviamo intatta nei suoi scritti e possiamo apprezzare anche nei video del Sergente che ci rimangono? E Il coraggio di dire no, titolo della tua raccolta dei suoi articoli, questo dissenso insegnato soprattutto ai giovani, ce ne vuoi parlare?
Il codice etico di Rigoni comprende principi di valore universale come l’amore per la libertà, il coraggio, la generosità, il senso di giustizia, il rispetto per l’ambiente. La cosa difficile è riuscire a vivere in modo coerente con questi principi, lui e il suo amico Primo Levi ci sono riusciti, superando tragedie terribili ma anche la “lenta nevicata dei giorni”, i rischi dell’abitudine e del conformismo. Rigoni diceva che non c’è nulla più triste di un giovane conformista. Incontrava spesso i ragazzi delle scuole e raccomandava loro:
“Leggete, studiate, e lavorate sempre con etica e con passione; ragionate con la vostra testa e imparate a dire di no; siate ribelli per giusta causa, difendete sempre la natura e i più deboli; non siate conformisti e non accodatevi al carro del vincitore; siate forti e siate liberi, altrimenti quando sarete vecchi e deboli rimpiangerete le montagne che non avete salito e le battaglie che non avete combattuto”.
Rigoni Stern e i giornali, le sue collaborazioni al Giorno e alla Stampa di Torino: dove pubblica racconti che poi diventano libri Einaudi: esiste ancora questo legame tra quotidiani e Editori? Oppure è roba dei tempi passati?
Era un modus seguito anche da altri grandi autori: Primo Levi, Massimo Mila, Italo Calvino, Leonardo Sciascia e altri. Oggi purtroppo è assai meno diffuso, mi vengono in mente due nomi però: Eraldo Affinati e Paolo Cognetti.
Lo scandalo del 1963: a seguito di una trasmissione RAI TV in cui gli ospiti reduci della guerra di Russia, tra cui Rigoni Stern,consegnano una verità storica fatta di ombre e luci. Nell’intervista si fa riferimento a un fatto tragico “In certi momenti gli sbandati erano un caos totale, che bisognava… sparare per aprirsi un varco…” cioè portare soccorso alle compagnie sotto scacco a Nikolajewka.Questa vicenda lasciò un lungo strascico. Ci dice ancora qualcosa sul rapporto tra memoria e verità secondo Rigoni Stern.
Rigoni Stern raccontò semplicemente la verità, che comunque non era negativa. I battaglioni ancora in armi, il Vestone, il Verona e altri, erano riusciti a penetrare a Nikolajewka ma dall’alto, dov’era ferma la gran massa della divisione Tridentina non arrivavano aiuti e rifornimenti di munizioni, anche perché per lo più si trattava di migliaia di sbandati senz’armi. Il generale Reverberi appena sopraggiunse il battaglione Edolo, che copriva la retrovia della divisione, gli fece pervenire l’ordine di scendere subito verso il paese ma questi non riuscivano a superare quel mare di uomini, e così dovettero farsi largo anche con le armi: una decisione inevitabile, se non fossero passati e non fossero giunti a Nikolajewka sarebbe stata la fine per tutti. Quando gli chiesero di ritrattare una verità poi acquisita a tutti i livelli, Rigoni scrisse una lettera di diniego:
“La trasmissione avrebbe potuto essere altro dal punto di vista etico-rievocativo o anche storico o anche semplicemente televisivo… ma era vera ed umana e a confermare quanto è stato detto basterebbero le relazioni del tempo pubblicate dall’Ufficio storico del Ministero documenti fotografici o le varie pubblicazioni (La guerra dei poveri del Revelli, I lunghi fucili del Moscioni Negri ed altre). La verità in guerra è sempre drammatica e tragica ma deve esser detta”.
Com’era visto dai suoi paesani il Mario scrittore? Ne era riconosciuto il valore straordinario negli anni Sessanta? E cosa accadde quando denunciò la speculazione edilizia nella sua amata Asiago?
In tanti nel suo altipiano gli volevano bene e gliene vogliono ancora. Altri no, specie, appunto, gli speculatori. Rigoni si impegnò contro l’avanzata del cemento e delle brutture urbanistiche ed edilizie, che rischiavano di rovinare per sempre il bellissimo altipiano e le sue montagne. Sia scrivendo articoli su Il Giorno sia impegnandosi con altri compaesani nel Gruppo salvaguardia dell’altipiano.
E’ noto il suo invito a cogliere della natura gli interessi, senza intaccare il capitale. A preservare e far vivere un mondo naturale senza il quale, come diceva il suo amato Leopardi nello Zibaldone, l’uomo taglia le proprie radici e impedisce al mondo di avere un futuro.
Giuseppe Mendicino, da poche settimane è in libreria la tua ultima opera, Portfolio alpino (Priuli&Verluca). La copertina di questo volumeè impreziosito da un acquerello di Nicola Magrin, che è diventato un tratto ormai classico della nuova immagine della montagna. Raccontaci questo libro che è forse la summa di questi tuoi anni di passione civile, storica e culturale.
Si tratta di 21 profili (e un racconto), ognuno dedicato a un personaggio (scrittore, artista o alpinista) caratterizzato da un forte senso etico e dalla passione per le montagne. Ci sono Mario Rigoni Stern, Primo Levi, Nuto Revelli, Massimo Mila, Ernest Hemingway, Tina Merlin, Dino Buzzati, Mirella Tenderini, Giovanna Zangrandi, Tino Aime, Dante Livio Bianco, Renato Chabod, Amilcare Crétier, Giuseppe Lamberti, Giovanni Cenacchi, Ettore Castiglioni, Sergio Arneodo (e la sua cultura provenzale), Adolf Vallazza, Toni Gobbi, Rolly Marchi, Paolo Cognetti.
Sono personaggi molto diversi tra loro, alcuni molto noti altri meno, con legami e assonanze a volte sorprendenti e poco note: di amicizia, di principi, di stile, di luoghi.
Giuseppe Mendicino è considerato il maggior esperto di Mario Rigoni Stern. Nel 2016 ha pubblicatoMario Rigoni Stern. Vita, guerre, libri la sua biografia (Priuli & Verlucca), e ha redatto, per l’Istituto dell’Enciclopedia Italiana Treccani, la voce “Mario Rigoni Stern” del Dizionario Biografico degli Italiani. Nel 2013 ha pubblicato Mario Rigoni Stern. Il coraggio di dire no (Einaudi), una raccolta delle sue più significative interviste e conversazioni, nel 2006 ha curato per MeridianiMontagne la raccolta di scritti inediti di Mario Rigoni Stern Dentro la memoria (Domus, 2007), scelti insieme all’autore, e nel 2014 ha curato il libro di Pierantonio Gios Lettere dal fronte. La corrispondenza di Mario Rigoni Stern e di altri ragazzi dell’altipiano (Tipografia moderna).
Nel 2018 ha pubblicato Portfolio alpino. Orizzonti di vita, letteratura, arte e libertà (Priuli & Verlucca).
E’ stato coautore di Il dialogo segreto. Le Dolomiti di Dino Buzzati (2012) e di Rolly Marchi. Cuore trentino (2013), entrambi editi da Nuovi sentieri. Per Meridiani Montagne la raccolta di scritti di Massimo Mila Montagnes valdôtaines (ed. Domus, 2008). È socio accademico del Gruppo italiano scrittori di montagna (GISM).
Antonio G. Bortoluzzi è nato nel 1965 in Alpago, Belluno, dove tutt’ora vive. Ha pubblicato nel 2015 il romanzo Paesi alti (Ed. Biblioteca dell’Immagine) con cui ha vinto nel 2017 il Premio Gambrinus – Giuseppe Mazzotti XXXV edizione nella sezione Montagna, cultura e civiltà. Con lo stesso romanzo è stato finalista al Premio della Montagna Cortina d’Ampezzo 2016 e alla XIII edizione del premio letterario del CAI Leggimontagna 2015. Nel 2013 ha pubblicato il romanzo Vita e morte della montagna vincitore del premio Dolomiti Awards 2016 Miglior libro sulla montagna del Belluno Film Festival. Nel 2010 ha pubblicato il romanzo per racconti Cronache dalla valle. Finalista e quindi segnalato dalla giuria del Premio Italo Calvino nelle edizioni XXI e XXIII è membro accademico del GISM (Gruppo Italiano Scrittori di Montagna). Nel 2019 uscirà il quarto romanzo per Marsilio Editori.