Un giovane eccentrico, destinato a diventare un grande scrittore, che a diciannove anni si arruolò volontariamente perché interventista convinto.
E un musicista già affermato, sulla trentina, che fu la sola voce musicale italiana che contro quella guerra insorse.
Giovanni Comisso e Gian Francesco Malipiero s’incontrarono, più tardi, soprattutto ad Asolo, dove lo scrittore trevigiano faceva visita al musicista veneziano che aveva scelto i silenzi dei cento orizzonti.
Ma durante la Grande Guerra erano molto, molto lontani.
“A venti anni si è come l’innamorato folle: anche quando ci spiegano per ogni punto cosa ci possa accadere di male, non solo non si crede, ma proprio non si sentono neanche le parole che ci dicono”, scriveva Comisso nel suo “Giorni di Guerra”, tra il 1923 e il 1928, ritoccando poi più volte il suo straordinario racconto di una guerra vissuta come un’avventura, più che come una sfida eroica.
“Nel 1914 la guerra sconvolse tutta la mia vita che, fino al 1920, fu una perenne tragedia”, ricordava invece Malipiero, che ricordò anche: “Dai colli asolani avevo veduto accendersi tutti i cimiteri della pianura, sino al Monte Grappa e quelle luci, accompagnate dai rintocchi delle campane, stavano già allora a dimostrare che solo i morti potevano ancora dirsi vivi. Eravamo al prologo della tragedia”.
Due artisti, due diverse prospettive sulla guerra.
Due voci per un incontro postumo, lunedì 30 gennaio alle 17 a Palazzo Giacomelli (Spazio Unindustria) a Treviso, organizzato dell’Associazione Amici di Giovanni Comisso.
“Note di Guerra. Dialogo tra Comisso e Malipiero” è il titolo dell’originale appuntamento con letture tratte da “Giorni di Guerra” di Comisso proposte da Luca Zanetti e accompagnate dalle musiche di Malipiero eseguite al pianoforte da Paolo Troncon.
Un originale pomeriggio di lettura e musica introdotto da Isabella Panfido curatrice dell’evento che attraverso le parole briose e fresche di Comisso al fronte (anche se lui stava soprattutto nelle retrovie) evidenzierà soprattutto la sempre e drammaticamente attuale transitorietà della giovinezza in relazione alla guerra.
Perché per il giovane Comisso la guerra non fu sinonimo di morte ma di vita, intesa come scorpacciate di ciliegie o bagni del fiume come a un campeggio giovanile; come un ragazzino in vacanza lontano da casa per la prima volta.
Le note di Malipiero, invece, in quegli anni trasfigurano il suo dolore e le sue paure soprattutto nella sua tormentata musica pianistica “di guerra”, in cui la rarefazione sonora è in linea con la sua visione apocalittica.
Un dialogo tra parole e suoni, quello tra Comisso e Malipiero, sicuramente ricco di valore artistico, ma anche di spunti di riflessione.
Marina Grasso
tratto da “La Tribuna di Treviso” del 24/01/2017