Magie di stagione - Le Dolomiti in fiore

Magie di stagione – Le Dolomiti in fiore

Cortina d’Ampezzo, luglio
Scendono dai vasti pendìi, la domenica mattina, richiamate dalla campana della chiesa, le giovanette, spartiti i capelli biondi dal mezzo della testa leggermente abbassata in una posa obbligata di modestia, mentre gli occhi celesti guardano avidi e inquieti. Al collo il fazzoletto a fiori appuntito sulla vita, le maniche larghe e bianche della camicetta strette ai polsi da nastrine orlate di merletti, il grembiule di seta cangiante ampio, mosso dal vento c dal passo agile, le sottili caviglie che ricordano la grazia delle gazzelle. Le donne e le vecchie invece, a passo più cauto, alte, ossute o basse dai grossi fianchi tra le grandi pieghe della stoffa, rossicce nel volto gialliccio, simili a mele vizze, altere, quasi corrucciate, col cappellino nero orlato da una penna di struzzo che s’arriccia creando per attimi un’arguta ombra all’occhio esperto; e, dietro, i lunghi nastri si ravvivano come per un desiderio di ritorno alle danze d’un tempo. Ma bisogna entrare nelle case, parlare con le une e le altre per conoscere la loro misurata saggezza, la disinvolta intelligenza, il naturale garbo, intensi ed equilibrati come per un riflesso del ritmo delle stagioni che danno a questi prati l’estremo dell’alta neve e quello dell’alta erba fiorita. Case bianche, dalle finestre piccole a difesa dal vento. adorne di gerani dietro ai vetri come in serre, dal largo tetto spiovente, con logge di legno per le giornate di sole; attiguo è il fienile con la stalla, tutto in legno con pertugi intagliati a forma di cuore attraverso cui passano ad ali tese le rondini verso i nidi al riparo. La porta del fienile dà sul prato e fa pensare, coi suoi grandi vani ad imbuto, a ingressi di antichi templi orientali.

Cortina d’Ampezzo (Luca Sartoni, Wikimedia Commons)

La festa del fieno
Altre case, tutte in legno, brune o giallastre come vecchio oro, anche ricordano i primi monasteri di Kioto. Si raggruppano sui pendìi, formando piccoli borghi: il bianco delle pareti risalta tra le costruzioni in legno annerite dal sole; si scorgono gli interni delle stalle, vuote, ora che il bestiame è su agli alti pascoli; sul letamaio fiammeggiano le creste delle galline; una fontana zampilla; al bivio della stradicciola, una croce con un bianco piccolo Cristo. Sui prati tutti sono al lavoro: si scorgono le figure nere, col bianco delle larghe maniche, muoversi senza tregua nel rivoltare il fieno; le rondini rasentano l’erba recisa, dove gli insetti spaventati dal crollo della loro foresta saltellano in fuga. Vengono dai prati gli uomini curvi, col capo nascosto nel grande cumulo di fieno avvolto in pezzi di tela: uno dietro l’altro in fila avanzano e fanno pensare a quelle maschere del Carnevale di Nizza, dai testoni enormi; lo depongono nel fienile e tutta la casa odora del fermento grave. Il tinello foderato di legno dà sulla loggia: dal mezzo d’una parete si protende la stufa di mattoni, cilindrica come la pancia d’una locomotiva, tinta d’azzurro, circondata di panche per tenere d’inverno le spalle al tepore; due colonnine reggono un tavolaccio, posto di sopra, dove i bambini verranno messi a sonnecchiare al caldo, nelle giornate di neve. Da un vaso si dirama, tutta sospesa al soffitto di legno, un’edera prigioniera e sempreverde per dare nelle ore di clausura invernale il senso della pergola e dell’estate. L’orologio a pendolo segna il tempo che passa. Le donne vanno da un angolo all’altro, aprono gli stipi, si mettono al lavoro di cucito, quando più non urga quello dei prati. Parlano di tanto in tanto: il loro dialetto è tutto animato da dolci stridori, come risonanze dello scricchiolio della neve ghiacciata, sotto a un passo pesante.

Altre rovistano nel piccolo scrigno della stanza della madre, per ammirare le filigrane d’argento che si tramandano da madre a figlia primogenita o a sposa del figlio primogenito. Filigrane antiche che ricordano Venezia: il fermaglio per reggere il grembiule di seta, l’altro per fissare il fazzoletto sul petto e fiorellini tremuli con pietrine rosa o celesti da infilare tra i capelli. Tutte queste gioie le sfoggiò la madre il giorno delle nozze; ora ella le presta alle figlie pei giorni di festa. Nel cassettone vi sono vecchi fazzoletti da collo, vivi nei verdi o nei rossi dei fiori, grembiuli di seta gialli e neri, violetti, cremisi. Le ragazze ardono negli occhi pensosi di amore, pensano alla domenica, alla messa di mezzogiorno coi giovanotti fuori dalla chiesa che le guardano passare; pensano al macigno elevato in mezzo alla valle, dove la sera dell’ultimo Sabato Santo quei giovanotti si sono radunati e, acceso un grande fuoco, si sono messi a gridare, assegnando a ogni ragazza dei borghi vicini il fidanzato: — Si darà per fidanzato a… il più bel giovanotto dell’Ampezzo… — Quasi sempre il desiderato, il sognato, ma lui non ne vuol sapere. Questo giuoco ha l’ironico scopo di svelare fastidi d’amore: è una specie di gioviale berlina dei segreti del cuore. Pensano a quelle voci spavalde, ma già si riconfortano, ché scendendo dai pendii si sono viste osservare e seguire fino al ponte sul torrente, ebbro di spuma e di cobalto rispecchiato dal cielo.

Cortina d’Ampezzo – Verso il Pomagagnon, m.2456 (Raffaelemo, Wikimedia Commons)

Le montagne di corallo
Il sole splende sul tetto di rame della chiesa, gli abeti del bosco fremono al vento, le nubi si elevano sfiorando le cime delle pareti e dei castelli di roccia. L’occhio gira attorno e si esalta. Ora che siamo più in alto, ecco la valle fatta come la palma d’una mano cinta da prati e da boschi, su cui varia la luce, e poi dalle cime sparse in gruppi perfetti. Qualcuno ci disse che fra le tante ipotesi sull’origine di queste montagne v’è anche quella che altro non siano che formazioni coralline: immensi atolli, abbandonati dalle acque del mare, scardinati dai ghiacci, corrosi e sgretolati dalla pioggia e dai fulmini. A toccare queste rocce, rosee e gialline, rimane sulle dita come una polvere salsedinosa, e vi si trovano incastrate sovente immortali conchiglie. Generate dal verme del corallo o dal fuoco e dal gelo, o dal diluvio, sono opere supreme, modelli eccelsi d’armonia, eccitanti l’invidia nell’uomo creatore, stimolanti lo spirito a uniformarsi al loro equilibrio. Variano ad ogni variare delle ore, hanno la stessa mutabilità del mare. Il vento, le nubi, il giorno, la notte, le riplasmano ad ogni istante. A volte tra cumuli di nubi grigie la luce scende perpendicolare e rasente illuminando le erte pareti di barlumi freddi come nell’interno di una cattedrale; contro la prima luce dell’alba appaiono nere, informi ed immiserite, ma poi il sole arriva a definirle precise in ogni contorno, accendendo nell’azzurro nettissimo il rosso-aragosta delle spaccature profonde. Nel pieno meriggio con calde nubi immobili le cime si inombrano tra squarci di sole come i volti delle olimpiche donne di Veronese assise in cielo. Ma la loro massima potenza è nelle giornate di tempesta: allora tra l’irto delle punte è formidabile il tumulto di sublimi battaglie.

Cortina d’ Ampezzo, summer 2007 (Michael Paraskeva, Wikimedia Commons)

Tra questi monti, nel fondo della valle, biancheggia Cortina, tutta verande, balaustre, pergoli, tetti spioventi e davanzali fioriti.

Ora la strada principale è stata tutta selciata di porfido dando maggiore ampiezza, reale aspetto cittadino e risalto alle belle case. Ideò e propugnò questo lavoro il podestà comm. Ruggero Mercuri che da quattro anni con energia ed amore studia e sorregge ogni utile incremento. Case moderne inspirate dall’architettura tradizionale dell’Ampezzano. Non una casa, non un albergo appaiono, qui, camuffati di bizzarre invenzioni di stile. Tutto è moderno, pratico, e tutto è in armonia con le vecchie case e con le prospettive delle Dolomiti imminenti. Il porfido della strada trova geniale rispondenza di tono con le rocce che splendono su nell’aria limpida. I negozi vari, uno di seguito all’altro, ridestano l’eleganza delle Procuratie. Dalle verande dei caffè e dei ristoranti le cameriere vestite all’ampezzana riguardano sulla strada come in una scena della Casa delle tre ragazze. Tre quarti della popolazione vivono sul movimento dei forestieri, che raggiunge, al culmine di stagione, la cifra di seimila ospiti giornalieri. Chi fa da guida, chi lavora negli affaccendati «garages», chi negli alberghi e nei negozi. Ancora giovanetti cominciano a frequentare, maschi e femmine, la scuola serale per apprendere il francese, il tedesco e l’inglese. C’è chi dal nulla con la costanza da uomo di montagna, da scalatore di rocce, è riescito a diventare padrone d’albergo, e di lusso.

Bengodi turistica
Alberghi immersi negli alti boschi, simili a grande «chàlets» o a ville; e la cucina elaborata dalle cuoche, varia con cura adattandosi ai gusti dei forestieri d’ogni parte del mondo. Qui, anche se non si avesse voglia di muoversi, il rimanere distesi sull’erba d’un prato, solo che si volga lentamente lo sguardo attorno, è come un lungo passeggiare, tanto vario è il panorama nella sua ampiezza da monte a monte: ognuno come fantastici castelli, irreali grattacieli, cattedrali gotiche o scogliere sorte dal mare. Dopo la guerra v’era un trenino simile ad un giocattolo che la congiungeva a Calalzo e a Dobbiaco; ora una ferrovia elettrica bianco-azzurra, dagli aperti finestrini panoramici, scivola esatta tra precipizi, ombre di boschi, fremiti di laghi e strapiombi di dolomiti. E rossi torpedoni la congiungono in cinque ore a Venezia, in altrettante a Bolzano, e con nuova linea, via Spondigna, in coincidenza con le corriere svizzere e austriache, a Saint-Moritz e a Landeck. Servizio, questo, intensificatore di movimento, riuscendo ad attrarre comodamente forestieri attraverso zone meravigliose, dove non riuscirebbero gli insufficienti tronchi ferroviari d’uso secondario, giovando in definitiva a rinsanguare l’afflusso verso i grandi tronchi ai quali siraccorda. Ventotto ore da Londra, con vettura diretta recentemente ottenuta, undici da Milano, sedici da Roma, ventidue da Berlino, tredici da Vienna. Quarant’anni fa questo paese era un luogo romito o ignorato; la guerra aveva rovinato quanto già era stato fatto; dopo, tutto risorse e si accrebbe con lo slancio delle grandi imprese, toccando fama mondiale. E, come s’usa dire dei pionieri bonificatori delle foreste vergini, anche qui è stato fatto costruendo la casa con la foresta, cioè col concorso di uomini, di energie e di industrie locali. I vecchi gruppi delle famiglie Apollonio, Maniago, Menardi, con parsimonia, modestia, onestà e tenacia ne sono stati i costruttori. Il piccolo borgo d’un tempo, oggi, è una cittadina d’una quarantina d’alberghi, con ottanta milioni di capitale immobiliare, con una popolazione di quattromila abitanti.
E ancora una volta viene da pensare che tanta forza creatrice solo sia stata possibile sotto l’alto influsso tutelare di queste cime elevate o superbe.
Giovanni Comisso

da il Corriere della Sera del 25/07/1931

Immagine in evidenza: Foto di Julius Silver

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