Canton, marzo
Prosegue il viaggio verso Oriente in compagnia del nostro Scrittore. Dopo un incredibile incontro con i banditi, uno sguardo lungimirante sul mondo degli affari…
Non è facile poter dare informazioni generali su questa terra estesa per cinquanta gradi quadrati dell’emisfero, con una popolazione di quattrocento milioni di abitanti.
Più che da struttura fisica, da costumi o da religione questa marea umana è circoscritta e collegata da un solo e alto valore intellettuale: i segni di scrittura identici dovunque.
Tuttavia diversa ne è la pronunzia da regione a regione e talvolta persino tra città vicine, e in maniera tanto incomprensibile da richiedere per comunicare l’uso della forma scritta.
La parte sud della Cina passa per molto sveglia e intraprendente. E’ in Canton che nel 1911 sorse la Rivoluzione e di qui s’è diffusa fino al nord sotto l’apostolato del dottore Sun-Yat-Sen. Canton è capoluogo del Kuang-Tung, provincia estesa quasi quanto l’Italia, solcata da tre grandi fiumi: il Ta-chiang, il Pei-chiange il Tung-chiang che attorno a Canton sboccano in mare intessendo uno con l’altro le proprie infinite ramificazioni.
La situazione commerciale nel Kuang-Tung è questa: nonostante il comunismo passato e latente, nonostante le minacce dell’Armata di ferro e del generale ribelle Cian-Fat-Fui, nonostante le compagnie di briganti che battono alcune campagne del nord e dell’est, Stati Uniti, Giappone, Inghilterra, Francia e persino Germania trovano modo di fare affari d’oro.
La Germania cacciata durante la guerra è ritornata riconquistando magnificamente il mercato e i suoi piroscafi arrivano nel vicino porto di Hong-Kong fin due volte per settimana, carichi di merce.
Una Commissione di industriali e di commercianti di ogni genere è partita da Berlino diretta a Canton con lo scopo di studiare il modo d’una maggiore penetrazione nel sud della Cina e pare anche per trattare di assumere l’allacciamento ferroviario Canton-Hankau.
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Il nostro commercio invece bisogna considerarlo, al raffronto, come totalmente assente. Favorito rispetto alla Germania, Inghilterra e Francia dalla minore distanza ed ancora da una buona disposizione del Cinese verso di noi, pur tra grandi difficoltà, non può avere esclusa la via della riuscita. «Voi Italiani non avete terra nostra » dice il Cinese; mentre Inghilterra e Francia hanno concessioni sull’isola di Shameen, in Canton, e i possedimenti di Hong-Kong e di Kuang-Ciuang. Vi è poi contro di esse un incancellabile odio per la famosa strage del 1925 al tempo del comunismo importato dai Russi. Una grande folla voleva invadere le concessioni di Shameen, quando un colpo di fucile uccise un cittadino francese in territorio inglese; di qui le mitragliatrici aprirono il fuoco. Poi dai Cinesi venne innalzato sul luogo un monolito con la data e la scritta: «Non dimenticheremo.»
Ne seguirono boicottaggi, ma nonostante l’odio e l’alto prezzo delle merci inglesi ci ricascarono a comperarle per l’ottima qualità e per la precisione commerciale dell’Inglese. Verso i Giapponesi l’odio è innato, come tra cane e gatto; tuttavia il loro commercio, qui, è intensissimo data la grande conoscenza della mentalità cinese e la viltà dei prezzi tanto forte da rendere tollerabile la scadentissima qualità della merce.
Per poter riuscire commercialmente in questa regione bisogna anzitutto imprimersi bene in mente che il Cinese deve venir considerato e trattato come si usa con la migliore specie di commercianti europei. Quando un commerciante cinese ha dato la sua parola, questa parola è mantenuta.
I Tedeschi, allo scopo di diffondere vastamente il loro commercio, si fidano a oltranza. Sovente qualche ditta tedesca, trovandosi di fronte a un commerciante cinese che dice: «Io desidererei la tua merce, ma per il momento non ho denaro», risponde: «Prendete, pagherete quando ne avrete», e raramente ci scapitano. Anche gli Inglesi usano fidarsi sulla parola, per quanto non fino alla reclamistica esagerazione dei Tedeschi. I fallimenti di ditte cinesi nelle piazze di Hong-Kong e di Canton non toccano, nelle condizioni attuali, cifre impressionanti. Tuttavia i pochi affari tentati dagli Italiani sono stati strozzati da esagerate richieste di garanzia.
Il commerciante cinese pretende, come è pretendibile, il massimo adempimento di tutti i doveri contrattuali, specie circa la consegna a tempo convenuta e prezzi giusti.
Noi troppe volte abbiamo detto Cina sorridendo come a un simbolo carnevalesco, di confusionismo e di trascurabile considerazione. La realtà, qui tra Hong-Kong e Canton, è che la ricchezza capitalizzata in mano cinese è grande, che grande è la ricchezza offerta dal suolo, e formidabile è la richiesta di merci europee, perché vasta e veloce è la marcia di questa razza verso un imborghesimento europeo.
Attualmente i Cinesi che hanno mezzi, e non sono pochi, si vestono all’europea, vogliono case come le nostre, vogliono viaggiare rapidamente, fare dello sport e divertirsi come da noi. Le loro usanze svaniscono rapidamente nelle classi ricche, più lentamente nelle povere e nelle campagne, ma ugualmente cedono il posto alle nostre. Di qui la necessità di prodotti europei, che vanno dai bottoni agli aeroplani. Senza contare la guerriglia interna che abbisogna di armi e di mezzi d’ogni genere.
Tutto ciò è noto ai commercianti americani, giapponesi, inglesi, tedeschi e francesi che qui guazzano a usura, scortati da Consolati organizzati in modo ultrasensibile dal lato informativo, con addetti commerciali osservanti la situazione del Kuang-Tung, non da Pechino o da Sciangai, ma da Canton e da Hong-Kong, con personale prevalentemente fisso, ambientato fino alla conoscenza della lingua cinese e attrezzato in modo da non dare mai luogo a soluzioni di continuità.
La Cina è un paese enorme e va minutamente osservato e minutamente studiato per sezioni.
Per ora la nostra attività commerciale nel Kuang-Tungè questa. Poche automobili e paralizzate per mancanza di «garages» corrispettivi alle marche con fornitura dei pezzi di ricambio e aggiustatori specializzati. Discreto, ma non sufficiente, smercio di cappelli.
Articoli di seteartificiale introdotti attraverso commercianti olandesi. Venne tentata un’importazione dei nostri limoni, superiori, a oltranza, a quelli americani, ma bisognò retrocedere, perché non si sapeva che il commerciante cinese vuole limoni tutti assolutamente della stessa grandezza; e non ci fu pazienza in seguito ad accontentarlo, come sanno fare invece gli Americani.
Se vi sono rappresentanti di merci nostre, questi sono Tedeschi. Una più densa e più organizzata attività ha tutto il dovere di esistere e, nonostante le difficoltà, la sicurezza di riuscire.
Anzitutto ditte singole e separate non potrebbero per nulla prendere base, date le grandi spese iniziali, e finirebbero col danneggiare pericolosamente se stesse e il nome del commercio italiano.
Un Consorzio di ditte non concorrenti, con l’appoggio di una nostra banca che metta qui una sua filiale, è il più indicato. Tale Consorzio dovrebbe porre la sua sede principale in Hong-Kong, che è porto franco, e stabilire una succursale per osservare e trattare in Canton.
Senza trascurare Swatow, il vicino Amoy, nel Fu-kien, e Macao, da cui recentemente si può andare sino a Sian-kei su sessanta chilometri di ottima strada automobilistica.
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Ecco un elenco approssimativo di merci e di prodotti utili : automobili di lusso, autobus e autocarri, perché nel Kuang-Tung, tolta la linea ferroviaria Canton-Kowloon (nel territorio inglese di Hong-Kong) veramente in efficienza, le altre non funzionano regolarmente.
Vastissima è la rete di navigazione fluviale: migliaia e migliaia di chilometri; vi sono grosse giunche di legno a vapore che risalgono i fiumi, ed altre a remo; motori nautici grandi e piccoli e rimorchiatori sono richiesti. La bicicletta pure va introducendosi.
Cappelli, impermeabili, maglierie, articoli di seta artificiale. La seta prodotta qui viene imbarcata tutta su grandi e velocissimi piroscafi americani e giapponesi, costruiti apposta, per raggiungere immediatamente i mercati d’Europa e d’America.
Fazzoletti da naso, guanti, ombrelli e spazzolini da denti: parrebbe impossibile, eppure, eccetto il Cinese di categoria un po’ elevata, gli altri pur pulendosi il naso con le dita cominciano ad usare il fazzoletto, magari soltanto per riporvi il denaro.
Come ombrello sia da sole che da pioggia il popolo, uomini e donne, usa per tradizione un largo cappello di paglia e di tela cerata, ma ho visto, anche nella campagna, gruppi di donne in marcia con l’ombrello europeo.
E un ragazzetto che veniva dall’interno dei Kuang-Tung ad imparare un mestiere presso i salesiani italiani di Macao aveva nella sua valigetta lo spazzolino da denti e al taschino il fazzoletto per asciugarsi le lagrime al momento dell’addio dalla madre contadina. Tutti i bambini dell’Istituto, figli di nessuno o di miserabili, avevano Io spazzolino per i denti. II Cinese ci tiene. Apparecchi elettrici d’ogni sorta, radio esclusi, macchine da scrivere, fonografi, pesatrici, penne stilografiche adatte assai al sistema della loro scrittura, coltelli, rasoi. Vetri di Murano, marmi grezzi e lavorati. Medicinali, tenendo conto della forte concorrenza tedesca. Generi alimentari: spaghetti e conserva di pomidoro.. E per fare un balzo: idrovolanti per l’esercito data la grande frequenza d’acqua dovunque. Diciture e cataloghi di testo assolutamente inglese e assai meglio cinese.
Infine non bisogna dare importanza eccessiva alle notizie di guerre, di banditi e di movimenti comunisti. Molte volte le notizie sono esagerate da certa stampa europea allo scopo appunto di intimidire le nazioni concorrenti nel commercio.
Sono avvenuti eccessi e altri ne potranno avvenire, ma sta di fatto che le altre nazioni non se ne scompongono. Quello che occorre invece è che gli uomini che dovessero venir qui a ricalcare queste strade, aperte finora per gli altri dai nostri Marco Polo e Pian da’ Carpine, debbano essere pieni di fede e saldi di nervi.
Il Cinese per timidezza è chiuso e schivo dalle espansioni; davanti a lui ci si trova come di fronte a una porta finta che ci si voglia sforzare di aprire. Bisogna quindi saper essere pazienti e battere fino a scavare la pietra.
Giovanni Comisso
Pubblicato sul Corriere della sera il 6 aprile 1930