Molto spesso per andare al cuore della narrazione è necessario raccontare i rapporti tra le persone, quell’intimo movimento che le muove, che le avvicina e le allontana. Questa è la danza che sta al centro del libro di Elena Girardin che si intitola “Le madri imperfette” e che è stato da poco pubblicato dalla casa editrice romana “L’erudita”.
“Le madri imperfette” è percorso da una forza vitale, quella forza che scorre nelle vene dei personaggi, che quasi li costringe a scelte di rottura, a lasciarsi alle spalle il passato come se fosse merce avariata e non delle fondamenta su cui costruire il presente.
La storia raccontata da Elena Girardin è una storia di persone, una storia che però si fonde con usi e costumi degli ultimi cinquant’anni della nostra penisola. In questo senso la scelta della Cinquecento, come auto del romanzo, rimanda a un immaginario ben saldo nella mente di chi abbia più di quarant’anni.
Santina ed Emilio decidono di scappare di casa. Lei è incinta e questo, per la sua famiglia, è forse uno dei più grandi peccati. Santina non può accettare la fuitina come soluzione possibile a ciò che è successo a lei ed Emilio. Non la può contemplare perché farlo sarebbe come aderire a un modello che non sente proprio. I due attraversano l’Italia nella loro Cinquecento turchese farfalla serie R che ben presto diventa un personaggio vero e proprio. Si stabiliscono al nord, quanto di più concettualmente lontano dalla loro Palermo, trovano una casa, trovano lavoro, poi nasce Adele e tutto cambia. Ma la storia è anche e forse soprattutto quella di Luna, figlia di Adele, costretta a vivere con i nonni perché la madre l’ha abbandonata. “Quando torna a casa la mamma?”, chiede Luna alla nonna Santina e i nervi si tendono, la pelle sulle nocche si sbianca, sale la tensione.
“Le madri imperfette” racconta la storia di queste tre donne che, a loro modo, hanno dentro di sé un fuoco che le alimenta.
Santina che decide di non voler vivere con chi non la accetta, Adele che si lascia tutto alle spalle per affrontare una nuova vita dovendo portare su di sé anche il peso dell’abbandono, lo stesso peso che sulle spalle di Luna la porta a decidere di mettere assieme tutti i pezzi e provare a donare una nuova armonia alla sua famiglia.
“Trovandosi sola, Luna si era rifugiata istintivamente tra le braccia di Santina e di Emilio. Talvolta l’amore è una forma di necessità”.
Ed è l’amore mancato di una cotta giovanile a darle l’impulso a cercare di riempire il vuoto andando direttamente all’origine di ciò che l’ha creato: sua madre.
Elena Girardin ha raccontato questa storia amalgamando tra loro tre filoni che rischiavano di scappare in tutte le direzioni. Al lettore, che forse di questi sforzi non si cura, rimane però la sensazione di trovarsi di fronte a una storia completa, delineata con cura e, soprattutto, finita. Anche nel finale, che possiamo definire “aperto” perché portatore di nuove e infinite strade, riusciamo a percepire una sorta di compiutezza che mette in pace.
“Questa volta sarà diverso, la mamma farà le cose per bene”.
La struttura e il montaggio de “Le madri imperfette” è ben calibrato e trasmette una sensazione di movimento. C’è un costante rimpallo tra passato e presente, ma forse potremmo semplicemente dire che tutto il romanzo vive in un presente declinato attraverso gli occhi delle tre donne. Già nei primi capitoli l’alternanza è molto forte. Una sala operatoria al nord è subito seguita da una valigia preparata alla rinfusa al sud e il salto non riguarda solo la distanza, ma anche il tempo.
Quella di Elena Girardi è una lingua essenziale che evoca la profondità dei sentimenti dei personaggi e il loro vissuto con pochi piccoli gesti. Penso a Santina che si punge il dito con un ago e dice a sé stessa, a voce altra “Spero che non porti male” e in quelle parole c’è racchiusa tutta la sua vita.
Sono pozzi di dolore quelli da cui Santina, Adele e Luna attingono la loro linfa vitale. Lo spettro dell’abbandono, del rifiuto, del rigetto aleggia sempre tra di loro.
Quello che fa Elena Girardin è guardare verso uno stesso punto da tre angolazioni diverse e poi, prendere i particolari di ognuna di queste visioni per crearne una più complessa, un po’ come se ognuna delle tre protagoniste, Santina, Adele e Luna, portassero una dimensione a testa permettendoci di godere della loro storia in una perfetta tridimensionalità. Tre donne che, in fin dei conti, scopriremo essere più simili del previsto. Forse, nella loro testardaggine c’è un filo che le unisce e le rende parte di uno stesso nucleo.
“Era quella la felicità?
Esisteva davvero?
Era concessa?
Adele credeva di sì”.
Gianluigi Bodi
L’Intervista
Inizio con il chiederti quali sono stati gli stimoli che hanno fatto nascere la storia di Santina, Adele, Luna e della Cinquecento turchese farfalla serie R? Leggendo ho avuto l’impressione che questo libro sia nato da un desiderio molto forte, quasi un’urgenza.
Sì, è così. Desideravo scrivere una storia familiare che avesse delle protagoniste unite da un legame di sangue. A livello personale volevo saldare un debito con la vita, consegnando alla pagina scritta parte di ciò che i ruoli di figlia, madre e nipote mi hanno restituito fino ad ora.
“Le madri imperfette” è nato nello spirito e ha preso forma nella testa durante la lettura di due grandi romanzi: “Furore” e “Pastorale americana”. Ho capito che volevo raccontare la dimensione del viaggio, farne il motore del racconto, osservare l’evoluzione dei personaggi, la loro reazione davanti alle difficoltà.
Mi interessava dare voce a un’adolescenza vissuta alla fine dello scorso millennio, raccontare la mia generazione, quella che ha conosciuto solo tardivamente i social, che tagliava il cordone ombelicale con la famiglia d’origine, che si ribellava ai padri e alle madri, in un tempo in cui si diventava adulti attraverso la sofferenza. Ho provato a metterla in relazione con il passato e il presente.
Questa storia mi ha permesso di descrivere realtà apparentemente distanti: la provincia a Nord Est e la città di Palermo, dagli anni Ottanta fino ai giorni nostri.
“Le madri imperfette” è una storia italiana e quale miglior veicolo, dovendo parlare di un viaggio, se non l’automobile più amata di sempre? Ecco perché la scelta di una Cinquecento, in questo caso un modello del 1975, uscito da Termini Imerese. Nel momento in cui ho optato per questa auto, ho cominciato a incrociare Cinquecento d’epoca in ogni dove, da Nord a Sud Italia. Il massimo è stato quando, dopo aver firmato il contratto di edizione, ho trovato una Cinquecento turchese farfalla parcheggiata due strade sotto casa.
L’ho letto come un segno dell’Universo, forse è solo poesia.
C’è un aspetto che di solito osservo con cura nei romanzi e che nel tuo mi piace particolarmente e si tratta della struttura. Sei riuscita, per quel che mi riguarda, a costruire un meccanismo che funziona egregiamente alternando il passato e il presente per raccontare quello che in realtà, pur visto da occhi diversi, è un eterno presente. La struttura si è palesata da sé fin da subito o hai dovuto sperimentare prima di raggiungere l’equilibrio?
Amo molto l’aspetto della struttura, prima di iniziare un romanzo mi chiedo: come racconto questa storia? Credo che ci sia tantissimo da sperimentare. Dal mio punto di vista quello della struttura è uno degli aspetti più interessanti, non solo in letteratura ma anche nell’arte in generale, ad esempio nel racconto filmico e nella sceneggiatura teatrale.
Attraverso la forma prescelta tento di agganciare l’attenzione, incuriosire, accompagnare il lettore dentro la mia visione del mondo. È una sorta di gioco: mettere insieme i tasselli per avere, solo alla fine, una visione compiuta. Cerco di farlo senza forzare la mano, altrimenti rischierei di perdere il rapporto di fiducia con chi legge. Mi piace dare una cornice – un sogno, un ricordo- che poi si rivela qualcos’altro. Mi piace affidare al racconto una struttura circolare, lasciando che siano i personaggi a chiudere il cerchio. Ne “Le madri imperfette” la scelta è giustificata perché tutta la storia, nei suoi strappi e nelle sue omissioni, porta sul piano del racconto al ricongiungimento finale. È questa una storia sul perdono, sulla liberazione.
È un eterno presente perché il legame di sangue fa sì che le scelte di Santina ricadano su Adele, una madre che, anche se assente, continua a ripresentarsi nei ricordi e nei desideri di Luna. Allo stesso modo c’è un rapporto forte e, in parte, conflittuale tra nonna e nipote.
Sono storie che s’intrecciano, la struttura è nata con i personaggi e ricalca la complessità delle tre protagoniste.
Ci sono due temi che all’apparenza sembrano molto ben distinti tra loro, quello della fuga e quello dell’abbandono, ma ho avuto l’impressione che per quel che riguarda Santina, Adele e Luna in realtà si tratti di due rami di uno stesso albero. Possiamo dire che le differenze, a volte, sono date solo dalla prospettiva da cui si guardano gli eventi?
La fuga, l’abbandono sono scelte, in questo caso necessarie per portare le protagoniste verso la liberazione dai ruoli di madri e di figlie, che sentono imperfetti. Le tre donne offrono approcci diversi al tema della fuga, in ogni caso il distacco ha che fare con l’affermazione interiore, con la ribellione.
La storia prende il via con la partenza da Palermo di Santina ed Emilio. Hanno poco più di vent’anni e aspettano un figlio. Non intendono interpretare la classica fuitina: oltrepassano lo Stretto di Messina, lasciano il mondo conosciuto e le famiglie d’origine, iniziano una nuova vita secondo le loro regole.
Successiva è la fuga di Adele, che si sovrappone con il tema complesso dell’abbandono. Raccontare le ragioni della rinuncia al ruolo di madre è stato difficile. Ho dovuto descrivere un comportamento abominevole. Eppure sono cose che accadono, con cui alcune vite fanno i conti. Il romanzo si pone queste domande: è possibile abbandonare un figlio? Si può perdonare una madre che ti abbandona? Assumere la prospettiva scomoda e disturbante di Adele è stata una scommessa.
La terza fuga è quella di Luna, la quale offre una prospettiva diversa sulla storia della famiglia Santaguida. La ragazza, in seguito a una delusione d’amore, decide di partire in cerca della mamma. Il suo viaggio dà il via alla seconda parte della narrazione e costringe Adele e Santina a mettersi in gioco, a fare i conti con il passato, a ricucire uno strappo di quarant’anni, lungo quasi millecinquecento chilometri.
Ne “Le madri imperfette” c’è un ritratto molto dettagliato e preciso dell’essere madri, mi chiedevo, al di là della sfera personale, da quali altre autrici e autori tu ti fossi fatta accompagnare durante questo viaggio meraviglioso.
Scrivere di maternità è stato dettato da un desiderio personale, dall’esigenza di condividere certe situazioni, sentimenti, dubbi, dal tentativo di definire la natura di questo amore, di fronte al quale siamo tutti imperfetti, genitori e figli.
La maternità e la paternità sono temi così vasti e interessanti per i quali gli argomenti non finiscono mai. Ognuno di noi può attingere qualcosa di nuovo dal proprio vissuto. Durante la stesura del romanzo ho guardato alla mia esperienza di genitore unico, alle gioie e alle difficoltà che questo rapporto madre- figlia così speciale comporta.
C’è un viaggio, nascosto tra le pagine del libro, che racconta il mio percorso interiore.
Ci sono le protagoniste femminili dei romanzi di Steinbeck e Roth che ho citato sopra. Ci sono spunti che nascono da letture di scrittrici che non hanno bisogno di presentazione: Toni Morrison, Alice Munro, Pamela Moore, solo per citarne alcune.
Ho scoperto che, mentre scrivevo, altre autrici italiane si confrontavano con domande simili alle mie, mi vengono in mente Claudia Durastanti, Giulia Caminito, Marilù Oliva; nell’ultimo periodo sono usciti diversi libri che parlano di famiglia. Ho l’impressione che ci sia nell’aria il desiderio di affrontare vari aspetti che interessano la maternità, come la realizzazione personale e il problema dei ruoli. Vi sono domande che non smettono di catturare l’attenzione e di far discutere perché la questione femminile è un tema sempre attuale.
“Le madri imperfette”
di Elena Girardin (Autore)
Editore: L’Erudita (7 dicembre 2021)
Copertina flessibile: 251 pagine
Dimensioni: 13 x 1 x 20 cm
Elena Girardin vive in provincia di Vicenza, dove lavora come insegnante di Lettere. Ha pubblicato i romanzi: “Favola di paese” (La Gru 2012), “Le petit Omar” (Panda Edizioni, 2014), la raccolta storica dedicata alle figure femminili venete “Le ali in tasca” (La meridiana 2016), il racconto “Due donne in Io sono il Nordest” (Apogeo Editore, 2016).
Immagine in evidenza: foto di Jakub Sisulak da Pexels (rielab.)