L’organizzazione statale della Cina, cristallizzata da secoli, crollò a contatto con la moderna civiltà occidentale. Di fronte alle Potenze europee, all’America e al Giappone occidentalizzato accaniti nell’imporre a questo Paese il proprio commercio, le proprie idee religiose e sociali e nel medesimo tempo nella conquista della terra, la Cina risultò a se stessa insufficiente a reggersi sulle formule ideali e statali d’un tempo. La concorrenza delle Potenze la salvò da un totale smembramento, ma non fu sufficiente garanzia. Col crollo dell’Impero s’impose a questo popolo di rinnovarsi in un’atmosfera occidentale che desse la possibilità di reggersi contro la nostra fatale forza di sovrapposizione, e presi per primo i principi democratici, tentò di farsene base per il proprio ordine e scudo nello stesso tempo.
L’Imperatore, pontefice massimo intermediario sull’altare del Tempio del Cielo tra il suo vasto popolo e la divinità, disparve. Questo è il momento della rivoluzione del 1911 capeggiata da Sun-Yat-Sen.
Sorse la Repubblica che attrasse la simpatia della democrazia francese e americana come dimostrazione dell’espansione nel mondo della propria ideologia e si ebbero alberi della libertà piantati in fraterna unione tra Francesi e Cinesi e «boulevards» confinanti tra città cinesi e concessioni francesi dedicati alle due Repubbliche. La scaltrezza cinese ne approfittò per invocare i principi di Washington verso l’America e poter avere un proprio rappresentante nell’amministrazione municipale del «Settlement» di Sciangai. Le nuove idee d’Occidente tra un’oscurità profonda penetrano a sprazzi nelle classi intellettuali; la vita statale, tra rari esempi di nitidissima virtù (magistrati e grandi dell’Impero che si uccidono per non poter resistere alla visione dello sfacelo morale della Patria), precipita al suolo trascinando seco il popolo in un caotico disorientamento. Non manca la volontà di risorgere e rinnovarsi, ma il male è troppo profondo nell’ambito spirituale e il dislivello tra le due civiltà troppo forte per riescire a far presa nell’immensa ed incolta massa del Paese. Solo con gli eserciti che si irradiano dal sud verso il nord del Paese corre l’idea democratica; nel medesimo tempo domina un materialismo senza freno. Si distruggono i templi, altrove si trasformano in caserme, gli idoli vengono gettati nei fiumi o venduti agli antiquari; il buddismo subisce statico nella sua dorata impassibilità, quella stessa che per secoli aveva tradito questo popolo addormentandolo nella convinzione d’essere solo e massimo nel mondo. Continua a vivere operante il culto degli avi reggente in perpetuità la famiglia, e la pietà filiale mantiene l’ordine con rispetto verso il padre, ma bisogna andare nelle campagne, lontano dalle città per trovare tali istituzioni veramente intatte. Dovunque, fuori della famiglia, nei rapporti fra individuo e individuo in senso civico, sociale e nazionale, tumultuano la corruzione e il decadimento.
Lo spirito civico appare talvolta nei piccoli villaggi in improvvisate difese contro gli assalti di banditi e quello nazionale a vampate e fanaticamente, non alieno da fomentazioni straniere, per opporsi a pretese eccessive di altre parti straniere concorrenti, ma nei riguardi interni della cosa pubblica né l’uno né l’altro si dimostrano consistenti. Avidità materiali, spinti egoismi, tradimenti, degenerazione di spirito professionale: agendo sempre in proprio favore e al massimo per la propria famiglia creano divisione e scompagino. Quella che un tempo era l’insuperabile fiducia cinese cede di fronte alla possibilità del lucro ottenuto loscamente. Alle pareti delle stanze rimangono appese come lettera morta le massime morali confuciane esortanti al bene e all’onestà. Grande e vana preoccupazione è di salvare la faccia, non la coscienza, preoccupazione il più delle volte legata a puntigli leziosi d’ordine del tutto esteriore. Tale stato di cose da circa trent’anni ha posto questo Paese, che rappresenta un quarto del mondo, in una condizione d’intrattabilità umana e contrattuale. D’altra parte non si può dimenticare quanto l’Occidente abbia contribuito fatalmente al decadimento col contrabbando delle armi e col commercio dei veleni. La naturale debolezza somatica del cinese, il suo temperamento improntato dalla timidezza invogliarono gli occidentali a ottenere con la violenza e con la mala fede la realizzazione dei loro scopi d’espansione dando così esempio di nuova corruttela e moltiplicando lo sfacelo. Nessuno mettendo il piede in Cina pensava al domani; realizzava sull’attimo la collocazione della propria merce, creava compromessi tra politica e religione, giocava sulle idee pure. L’aspetto della Cina a contatto con l’Occidente sta molto vicino a quello dell’America nei primi secoli successivi alla scoperta.
La guerra europea, minacciando l’indebolimento della potenza mondiale della Francia e dell’Inghilterra, indusse queste ad un orientamento politico di trattamento alla pari con una Cina inconsistente e immatura come Stato. Se prima avevano esagerato nel misconoscimento, trattenendosi dal giungere a realizzazioni estreme di conquista sotto il freno della concorrenza, ora, sotto l’incubo della paura, si trovano ad esagerare nel lato opposto. La Cina venne fatta partecipare alla guerra quale alleata (e non vi fu maggiore errore diplomatico) e, senza dare la minima collaborazione di sangue, ottenne il godimento dei massimi diritti di vincitore. Le colonie e le concessioni tedesche e austriache vennero assegnate alla Cina senza che avesse partecipato alla conquista, decadde pei popoli vinti il principio dell’extraterritorialità, si concesse nel «Settlement» internazionale di Sciangai l’amministrazione della giustizia ai corruttibili giudici cinesi, con esclusione degli assessori stranieri, nelle cause civili tra Cinesi e in buona parte delle penali, cause sempre in connessione con gl’interessi privati degli Europei: favori che indebolirono profondissimamente il prestigio del bianco di fronte al Cinese, creando in questo la convinzione assoluta del diritto d’ottenere rispetto agli alleati quanto aveva ottenuto rispetto ai vinti. Guai a concedere qualcosa ad un asiatico, guai a dimostrare un momento di debolezza o di rispetto più che dovuto: ne consegue un’insaziabile esaltazione! I frutti di queste concessioni fatte ai Cinesi e in via del tutto progressiva si vedranno maturare entro qualche anno con molto disonore per l’Occidente. Nella dannosa gara di gentilezze verso la Cina l’America venne a partecipare con la scorta delle sue associazioni protestanti pronte ad esaltare nelle Università, più che istruire la gioventù cinese. Adesso vediamo la Cina sedere a Ginevra, l’Inghilterra che le restituisce premurosamente le colonie e l’America che si dispone a trattare per l’abolizione dell’extraterritorialità, dopo aver rimesso recentemente nel «Settlement» di Sciangai i giudizi per qualsiasi causa civile e penale, con attori stranieri contro Cinesi, nelle mani di magistrati cinesi giudicanti in base a leggi cinesi. Tutto questo avviene mentre il Paese e in piena anarchia e quando meno che per il passato può dare affidamento di ordine e di leggi applicate. Solo la forza impiegata a esclusivo sostegno della giustizia e impiegata a fondo, come a Pechino nel ‘900 e a Canton nel ‘22, può rendere rispettato e temuto lo straniero. Nelle altre zone dove la grande parata di forza a momento opportuno non osa dimostrarsi efficiente è più dannosa che utile perché stabilisce nel Cinese la convinzione che le Potenze abbiano paura di fare le cose sul serio e ne conseguono una massima indifferenza e un grande disprezzo: così a Sciangai e ad Han-kau. La situazione attuale è la seguente: una Cina che riconosce nell’Occidente il suo valore scientifico e materiale con desiderio d’assimilarlo; l’Occidente paurosamente dominato dalla propria impotenza ad una azione concorde di forza e nello stesso tempo dagli effetti delle idee democratiche che qui ha disseminate.
Ma due principali idee venute dall’Occidente hanno più d’ogni altra messo profonda radice: il Cristianesimo e il comunismo. Il comunismo ha trovato provvido terreno nel disagio enorme creatosi nelle masse operaie improvvisate dal subitaneo sorgere dell’industria locale. Il commissario del popolo per l’Oriente, Karakhan, venuto a Pechino e messosi a contatto con la gioventù universitaria infiammabile ed esaltabile, ha trovato qui i migliori elementi di fede e di propaganda. Plotoni di studenti comunisti vanno periodicamente al supplizio e altrettanti ne sorgono. La Russia, che non ha merci da esportare, appare disinteressata nella sua azione, a differenza dell’America che, sotto lo slancio generoso di educazione degli studenti nelle proprie Università impiegando il denaro delle indennità per la guerra dei «Boxers», nasconde il giuoco dell’imposizione della propria industria. Il movimento comunista (bisogna distinguerlo dalle azioni delle masse brigantesche sedicenti comuniste per avere una giustificazione ideale alla violenza) non manca di avere in Cina una sua necessità di ammonitore, dato che le masse operaie con la loro sovrabbondanza numerica facilitano la disposizione a un trattamento da schiavi con sfruttamenti che annientano. Esiste come partito ed è combattuto dal Kuomintang, o partito nazionalista.
L’altra parola, efficiente questa più direttamente di pace e di assestamento nel «caos» creatosi dopo la caduta dell’Impero, è offerta dal Cristianesimo sotto la guida della Chiesa cattolica. Il Cristianesimo ha qui iniziato la sua opera sei secoli fa. Dapprima in forma puramente evangelica, nel ‘600 con la cultura auspice il gesuita Ricci, e infine rifugiandosi sotto il prestigio politico che godevano le Potenze estere dopo la repressione dei «Boxers». In questo periodo, al principio del secolo, se esisteva una sicurezza materiale per le Missioni, nello stesso tempo si creava il più grande impaccio alla diffusione dell’idea cristiana.
Dietro alla Croce il Cinese vedeva e sapeva resistenza del console e delle torpediniere della Potenza che ne aveva assunto il protettorato. D’altra parte si stabiliva un dannoso compromesso tra la politica della Potenza straniera e il compito dei missionari, i quali finivano con l’apparire per i Cinesi come un’autorità di quella medesima Potenza e ogni loro desiderio era considerato come segno d’una volontà armata. Si ebbero inframmettenze di missionari in questioni amministrative e giudiziarie con grave diminuzione della purità della fede. Avvennero conversioni al Cristianesimo puramente per essere protetti dai missionari e sfuggire alla legge. Tale stato di cose veniva creando diffidenza estrema nel popolo verso le Missioni e, senza poter distinguere sottilmente, missionari d’ogni Paese venivano coinvolti nel giudizio di sospetto. Ma da un decennio la Chiesa cattolica ha segnato, con una direzione assolutamente romana in questo vasto terreno, una svolta di capitale importanza per la storia della Fede, che ne dimostra tutta la sua splendida vitalità. Si ebbero: la nomina del Delegato apostolico, la convocazione del Concilio di tutti i vescovi cinesi a Sciangai. l’istituzione dell’Università benedettina a Pechino, l’elevazione del clero indigeno all’Episcopato e il messaggio del Papa. Con queste disposizioni si è dato in primo luogo un capo al clero locale, ché ne segua da vicino l’indirizzo; con l’elevazione del clero indigeno all’Episcopato, la Chiesa ha dimostrato alla Cina che essa stessa può avere capi propri cancellando la passata confusione fra missionario e straniero. L’erezione poi della Università benedettina col compito di portare la gioventù allo studio dei grandi classici cinesi i cui testi essa stessa preserva dalla distruzione e dalla dispersione, continuando qui in Oriente la tradizione dei monaci del Medio Evo, testimonia a questo popolo il rispetto che la Chiesa porta alle sue alte tradizioni spirituali.
Le Missioni cattoliche, allontanato con la nuova politica della Chiesa quello stato di protezione delle Potenze straniere (che era principalmente affidato alla Francia), si votano ora al martirio difese solamente dalla propria aureola di carità, In spem contra spem è il sentimento che anima i missionari; e cioè: sperare mentre tutto induce a disperare. Animati dal grande amore muovono incontro a questo popolo per la sua salvazione; e giornalmente si hanno testimonianze di rispondenza con conversioni di umili e di alte personalità. Questi soldati sono tenaci e felici di sacrificarsi oggi come agli albori del Cristianesimo. Non fuggono là dove sorgono guerre e tumulti, come invece avviene per i preti protestanti, ma continuano a rimanere sul posto a loro affidato in mezzo a orde di banditi e di comunisti. Non vivono distante dal popolo, ma assieme a esso al quale, nell’abbandono in cui viene a trovarsi, danno conforto, senso di pace e di ordine e ammaestramenti alla vita e al lavoro. Attualmente in Cina esistono circa 3 milioni di cattolici, con 2 mila missionari e 1400 preti indigeni.
I massacri si susseguono senza tregua, ma l’esercito delle Missioni mantiene salde le sue posizioni. A ogni massacro vi sono, dall’Occidente e dall’America, missionari in numero doppio che si offrono per rimpiazzare gli scomparsi. Ora a tale indiscutibile alta virtù, fusa nel nuovo indirizzo dato da Roma, non può mancare un sicuro successo. Successo che. ricorrendo a raffronti storici, può delinearsi sotto forma di creazione, in questo ondulatissimo popolo come tormentato da continui tifoni, d’una categoria sociale dedita onestamente al pacifico lavoro e pervasa equilibratamente da sensi patriottici, capace di reagire al malgoverno e al disordine, vale a dire la creazione di quella borghesia che è venuta determinandosi in Occidente, attraverso i secoli, sul rovinio delle invasioni barbariche pure nel crogiolo della stessa idea cristiana.
Giovanni Comisso
da il Corriere della Sera del 28/09/1930
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Arthur Purnell centre holding joey with pet Kangaroo, with Charles Paget on right, Canton 1908
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