Il problema dei quadri falsi di De Pisis è, oggi, molto assillante per i collezionisti di pittura moderna per i mercati e per le gallerie d’arte. È assillante perché nelle condizioni particolari di questa pittura, facilissima a essere imitata, si rischia di pagare anche mezzo milione un quadro che non è stato fatto da De Pisis. È quasi di moda, mostrando un quadro firmato da De Pisis, bruttino, un poco fuori dagli schemi abituali, datato e diverso dalla maniera di quell’epoca, dire subito con un sorriso di saputa competenza che è falso.
Quando De Pisis era scherzosamente in forma diceva di fronte a un quadro dubbioso: “Non è mio, però è bello”, oppure: “Questo dipinto è bello, è un De Pisis, ma se non lo fosse, dal momento che è un bel quadro, può entrare nella mia opera al posto di un mio brutto”.
È noto l’episodio dello “square” di Londra comperato dal collezionista Deana, giudicato da De Pisis prima così: “Troppo bello per essere falso”, ma ugualmente dichiarato falso, comperato dal critico d’arte Geiger, nonostante la dichiarazione, perché ritenuto bellissimo, dichiarato autentico alcuni giorni dopo da De Pisis, rivenduto ancora e di nuovo riconosciuto falso dall’autore. De Pisis, non ebbe mai un arrogante convinzione nella sua arte, come De Chirico, egli invece diceva spesso: “Io non sono un pittore, sono un dilettante”.
E quante volte si metteva in umile e rispettoso sottordine a Carrà, a Morandi, a De Chirico e a Tosi scrivendo sullo sfondo di un quadro ispirato in qualche modo dalla loro maniera, che era stato fatto in loro omaggio. In fondo egli amava i suoi quadri solo in quanto gli ricordavano un ambiente nel quale aveva passato giorni felici o una persona ritratta che gli era stata cara oppure nel suo divino gusto per il denaro, quando, dopo averli venduti, veniva a sapere che erano stati rivenduti a un prezzo doppio e avrebbe voluto riaverli per rivenderli ancora.
Credo che per un pittore debba essere necessario un certo disamore per l’opera compiuta altrimenti non se ne distaccherebbe mai. De Pisis era costretto a distaccarsene anche perché ne produceva moltissime e sentiva la sicurezza di poterne sempre produrre di migliori. La sua vita pittorica ebbe una fase iniziale di lotta per imporsi, con scarse vendite e a prezzi vili, che va dal periodo romano alla fine del periodo di Parigi, e un’altra, gloriosa, con vendite a ruba, quella del periodo italiano, fino all’esaurirsi della sua possibilità creatrice. Questo periodo fu possibile determinarsi, così fortunato, perché ritornava da Parigi con un riconoscimento critico, che però non sarebbe stato sufficiente a smuovere la borghesia danarosa, se non si fosse aggiunta la svalutazione della nostra moneta e la smania di capitalizzare in oggetti e in quadri. È quindi in questo periodo di successo commerciale che si incominciano a fare i primi falsi e più esattamente dal suo soggiorno a Rimini nell’estate del 1940.
Questa speculazione fu escogitata da certuni che conoscevano il mestiere di dipingere e che standogli vicino, quasi come discepoli, osservavano attentamente e studiavano come egli preparava, impostava ed eseguiva un quadro. Più tardi invece i falsi vennero eseguiti, nell’impossibilità di stargli vicino, perché ricoverato in casa di cura, copiando o trasformando quadri già eseguiti nelle epoche più apprezzate. Bisogna premettere che è assai ben difficile imbattersi in falsificazioni che vogliano rappresentare soggetti di grande impegno, perché l’asino cascherebbe in maniera scoperta, le falsificazioni correnti si limitano a soggetti un pochino al di sotto della media, cioè falsificazioni di quella maniera che in De Pisis era diventata commerciale, fatta non per ispirazione, ma per accontentare i clienti che bussavano in folla alla sua porta. Si tratta quindi della falsificazione di una maniera della sua pittura di secondo ordine e che già potrebbe essere considerata falsa, anche se eseguita dall’artista, al confronto con la schiera dei capolavori dei suoi migliori periodi.
Nella prima fase della sua vita pittorica dipingeva assai raramente su tele nuove e ben preparate, un poco per avarizia, un poco per il suo gusto a fare l’originale e si servì di mezzi i più impensati. Ricordo una stalla del Gers dipinta su di una sua camicia vecchia, altri quadri dipinti su coperchi di scatole di cartone, su tele o cartoni già usati da pittori anonimi che comperava per poche lire nelle botteghe di ferrivecchi, e ricordo ancora un quadro di fiori dipinto su di un’orribile carta da pacchi con la trama di spago. Tutto quello che riesciva economico e strambo gli serviva per dipingere, allora, quadri anche bellissimi. Faceva eccezione, quando doveva fare un quadro per commissione e allora ricercava la bella tela e indugiava maggiormente nella preparazione. Queste eccezioni si riscontrano nei soggiorni di Cortina, perché sapeva che il collezionista Rimoldi avrebbe comperato i quadri eseguiti e così molto spesso, a Parigi, quando doveva lavorare per qualche galleria o per qualche collezionista.
Nella seconda fase della sua vita pittorica, quando, venuto definitivamente in Italia, era certissimo che ogni suo quadro sarebbe stato venduto, ebbe una cura maggiore nella scelta delle tele e dei cartoni, ma non è da escludere che anche durante questa fase non si trovino suoi quadri dipinti su tela di sacco, su cartoni leggerini e su quadri di anonimi di cui sfruttava abilissimamente la pittura preesistente.
Avendo avuto occasione di seguire il suo lavoro in tutti i suoi periodi pittorici, fino a quello romano del 1922, ad eccezione di quelli di Londra, di Cannes, del Gers e di Brugherio, ho dovuto constatare che la sua pittura si produceva sul ritmo della sua poesia, con momenti altissimi di grande ispirazione e altri mediocri, quasi stentati. Ricordo, nel 1941, a Rimini, che avendogli detto al mio arrivo che ero pieno di denari e avrei voluto comperare un suo quadro, egli si mise subito all’opera mentre eravamo sulla spiaggia, per farmi una marina così fiacca, che gli dissi di sospenderla. Certo quel quadro se oggi è ancora in commercio, potrebbe essere giudicato falso senza battere ciglio.
Avendo anche vissuto per molti anni, nella mia casa solitaria di campagna, con suoi quadri di periodi diversi, ho potuto rendermi conto del colloquio che si stabilisce tra loro e chi li possiede, quando siano di primo ordine. È un colloquio in continuo progresso, con scoperte sempre di nuovi valori, per cui mai si sente esaurita la loro funzione accompagnatrice e confortante. È un giuoco una rispondenza amorosa che avviene miracolosamente. Di recente mi è stato presentato un quadro dubbio e ho voluto tenerlo alcuni giorni nell’assiduità delle mie ore contemplative.
La maniera corrispondeva alla data, il soggetto, una marina, corrispondeva a tante altre marine con nature morte da lui dipinte, certi particolari rientravano nel suo gusto e nella sua attenzione. Per esempio, gli aculei delle foglie del carciofo e il piumetto delle radici del porro fatto con un solo colpo di pennello. Il soggetto era di quelli un pochino al di sotto della media, apparteneva alla maniera commerciale, insomma non aveva un’alta ispirazione, in poche parole era brutto e non fu possibile instaurare alcun colloquio amoroso.
Un giudice di saputa competenza con l’abituale sorriso lo avrebbe subito dichiarato falso, ma non mi sentii di sentenziare così, ricordandomi della marina che aveva fatto per me.
Giovanni Comisso
Pubblicato da Il Giorno del 27/06/1956 con il titolo “Un bel falso venduto due volte”
Immagine in evidenza: Filippo de Pisis a lavoro