L'Arte "senza tempo" di Carlo Guarienti

L’Arte “senza tempo” di Carlo Guarienti

In occasione dei cento anni del pittore e scultore Carlo Guarienti (Treviso, 1923), pubblichiamo il testo di Giovanni Comisso redatto per il catalogo “Carlo Guarienti”, edito da Aldo Martello Editore.

Nel pieno dilagare di una gioventù inquieta e irrequieta ebbi occasione di conoscere il pittore Carlo Guarienti. Da principio ho creduto che la sua stabilità, la sua calma misurata, il suo quieto parlare, appartenessero alla sua educazione, ma quando mi mostrò un suo quadro, là in una piazza di Treviso, dove era avvenuto il nostro incontro, compresi che tanta misurata pacatezza apparteneva alla sua pittura e quindi alla sua anima creatrice. Il quadro col manichino di legno, di un legno fresco venato, cinto di seta verde, bardato di molle lana e di pelliccia, con un cappello in testa piumato di iosa offriva un piccolo fiore al cielo primaverile che era di fuori e che non riesciva a fare germogliare le macerie di guerra che limitavano la piazza. Non fu necessario chiedessi al giovane pittore quali considerasse suoi maestri tra gli antichi e quali tra i moderni, gli chiesi soltanto quanto tempo aveva impiegato per fare quel quadro. “Non ricordo di preciso, ma molto assai” mi rispose con naturalezza, e allora mi si rivelò la sua costanza umana, come l’essenza di una virtù che credevo smarrita nel mondo. E le macerie attorno rifiorirono di speranza. Ancora esisteva, dopo il lungo e vasto diluvio, un giovane della nostra epoca per il quale il tempo non aveva misura e non era incubo.

Carlo Guarienti – Autoritratto

Più tardi, in un autunno inoltrato, che già aveva fatto cadere tutte le foglie, andai a ricercare di Carlo Guarienti nella villa, a Dosson, dove sapevo che lavorava. La villa aveva un grande parco, gli alti platani rivelavano il tronco e i rami come nudità di un corpo, le statue rientravano nel letargo invernale sorridendo, come per una dolce estasi imminente. La porta non si aperse subito al richiamo, attesi come conviene per passare da una fase a un’altra completamente diversa: dalla inquietudine, alla pacatezza. Poi per un corridoio umido e freddo, per una breve scala in ombra, giunsi al suo studio dove viveva solo. Era disadorno, freddo e sarebbe stato triste per chi non avesse avuto una sommersa e tenace febbre di lavoro. Attorno a lui, ritto in piedi, vi era soltanto il puro armamentario necesario al suo lavoro, come per un chirurgo i ferri occorrenti a un’operazione. Ampolle di olio, i colori, i pennelli pulitissimi e differenti, il cavalletto, le tele bene preparate, meravigliose cornici antiche assestate in un angolo, un campionario di stoffe distese in ordine su di un paravento e una luce di cella.

Carlo Guarienti – Natura morta

Sul cavalletto vi era un quadro finito di recente: una specie di dispensa in legno fresco, un fagiano appeso, un altro uccello spennacchiato e sanguinolento, alcune frutta, un fiore azzurro, un disegno attaccato al fondo, un libro dalla copertina gialla e una sciarpa a bande viola e nere annodata a una traversa. Una luce di colori da tutte le forme esatte si sprigionava come dalle sfaccettature di un diamante e ne illuminava quella stanza. In un altro angolo vi era quella teca che aveva servito a comporre il quadro, ma era già come cosa che più non apparteneva alla vita, come un bozzolo dal quale sia scaturita un’iridescente farfalla.

Passò altro tempo e col suo metodo di costruttore scrupoloso egli doveva mettersi alla prova di ritrarre una figura intera, grande quasi al naturale. Era come per un narratore la prova del romanzo. Ideò un guerriero stravagante, in parte chiuso in un’armatura antica, in parte vestito di sete preziose. Ma per Guarienti non è che abbia importanza il nesso dei fatti; per lui, ancora, importa soltanto quello delle zone plastiche, per non dire anatomiche, e soprattutto quello dei colori e dei loro rapporti. Aveva tuttavia con una cura passionale fatto ricerche di quel­l’armatura, di quelle stoffe e di quel modello. Tutto un inverno passò, passò anche una primavera, ma egli non annoverava i giorni, anacoreta della sua attenzione a quei colori, a quelle luci, a quelle forme. Era egli il giovane raro, in questa epoca di sommari esecutori della pittura, che rivolgendo lo sguardo agli antichi voleva abilitarsi, prima di ogni abbandono alla contemplazione poetica del mondo, a una sicurezza assoluta del mestiere. Potei infine vedere il quadro compiuto. La prova era stata superata, da quel quadro egli poteva staccarsi sereno verso altre figure in attesa d’essere affermate nella loro realtà.

Carlo Guarienti – Nudo

Guarienti aveva già avuto l’entusiastico riconoscimento di Gregorio Sciltian, che lo aveva fino allora sorretto nella sua fede solitaria. Un giorno ci incontrammo a Roma con De Chirico, e Guarienti gli mostrò, nella sua casa, alcuni quadri che vennero disposti per terra addossati alle sedie. Egli col suo sguardo lento osservava e camminava per la stanza rivolgendosi a un quadro e all’altro, infine disse: “Lei dipinge meglio di altri che si sono messi su questa strada, ma come fa a ottenere questi risultati?” La domanda meravigliava, e Guarienti rispose con calma: “Seguo i suoi insegnamenti sulla tecnica della pittura.De Chirico velando la soddisfazione provata, volle che gli spiegasse minutamente come faceva la sua preparazione dei colori. Allora rispose che usava l’olio di lino crudo e lo metteva a purificare col vecchio sistema dei frati del Perugino. Vi fu un momento di silenzio, poi De Chirico coll’insistenza di un esaminatore gli richiese in qual modo, e Guarienti spiegò che metteva quell’olio in un imbuto separatore dopo averlo sbattuto con l’acqua, e lo esponeva al sole per tre o quattro anni, sbattendolo e togliendone l’acqua una volta al mese. De Chirico sembrava volesse mettersi in quella situazione di non sapere, cara a Socrate, e ancora chiese come facesse a togliere l’acqua e Guarienti rispose che lo faceva attraverso una chiavetta che si apriva nel fondo dell’imbuto. De Chirico riguardò le figure dipinte e gli fece l’elogio di avere mantenuto, per queste, proporzioni più piccole rispetto a quelle naturali, come gli antichi. Poi gli consigliò di guardarsi dal gusto di certi surrealisti per i sassolini e per le lucertole.

Guarienti scese quelle scale della casa di De Chirico, che sono parallele alle gradinate solari della Trinità dei Monti, come se scendesse da queste.

Seppe, come sempre aveva avuto la sicurezza di essere nel giusto, che doveva proseguire il suo lavoro, perseverando nella pazienza col metodo che gli antichi maestri gli avevano tramandato e che i maestri d’oggi confermavano essere egli degno di usare.

Giovanni Comisso

Tratto dal catalogo “Carlo Guarienti” (Aldo Martello Editore)
Carlo Guarienti (Treviso, 1923). Laureato in Medicina, si è dedicato esclusivamente alla pittura a partire dal 1949. Dal 1954 ha partecipato a collettive nelle più importanti gallerie italiane ed estere, esponendo alla XXVII edizione della Biennale di Venezia (1956), alla Royal Accademy Exhibition di Londra (1956), alla Permanente di Milano (1957), alla Quadriennale di Roma (1959) e alla Kunstmesse Art di Basilea. È stato autore di scenografie televisive e di importanti illustrazioni editoriali.

Carlo Guarienti – Autoritratto
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