"La promessa" di Giovanni Comisso

La promessa

Il loro piccolo negozio di verdura andava bene. Era il solo della contrada e situato sull’entrata della piazza. L’Antonietta era una donna vivace, piena di iniziative; un giorno alla settimana se ne andava con suo figlio Mario a provvedersi di ortaggi e di frutta direttamente dai contadini nella campagna circostante alla città. Suo marito in quel giorno la sostituiva seduto dietro le ceste di verdura, ma coi clienti non era espansivo come lei. Ella quando vendeva sembrava regalasse la roba, e che quel bel radicchio scarlatto, quelle tonde patate, quelle verze sode e biancheggianti fossero stati non coltivati da lei, ma addirittura fatti colle sue proprie mani. Ne vantava la qualità, il colore, la freschezza e i benefici nutritivi e salutari. Per Mario, andare in campagna con sua madre era un giorno di festa. Spingeva da solo la carriola vuota e al ritorno aiutava sua madre fischiettando. Ella incantava i contadini con la sua lingua sciolta e otteneva quello che voleva e a prezzi buoni; ad ogni casa, dove oramai la conoscevano, v’era sempre da bere, e il buon pane fatto in casa, e qualche fetta di salame e i formaggi freschi, o il latte appena munto. Al tempo delle ciliege Mario se ne saliva sugli alberi coi ragazzi contadini, e ne mangiava con l’avidità delle scimmie. Ritornando in città, con davanti agli occhi le ceste ricolme, felice della scampagnata, orgoglioso che sua madre avesse concluso affari buoni, era tutto, un chiacchierare frenetico, faceva il calcolo del guadagno rivendendo quelle frutta o quegli ortaggi, poi ci fischiettava sopra, poi lasciando di spingere la carriola accarezzava il volto di sua madre e le diceva: «Me lo compererai per domenica un berrettino nuovo?». E sua madre, felice anche lei, col sapore ancora in bocca del vino bevuto, gli rispondeva di sì. Allora egli raccoglieva tutte le sue forze e voleva spingere da solo la carriola. «Quando sarò più grande e tu sarai vecchia anderò io dai contadini e tu farai la signora seduta, in negozio. Allora avremo tanto denaro da comperarci un asinello, e potrò portare tanta roba di più». E-sua madre gli diceva di sì. Le settimane fuggivano presto, ed egli non attendeva che venisse la domenica, ma quel giorno in cui andava fuori di città con sua madre: quello era il suo giorno di festa.

Passò il tempo, e Mario non poté mantenere la promessa. Dovette andare a fare il soldato prima di compiere i vent’anni perché vi era la guerra. Egli non aveva pensato che questo avvenimento avrebbe dovuto attraversare la sua vita e travolgerla tutta lontano da sua madre. Prima andò a combattere oltre mare, poi da una parte all’altra del continente. Le vicende, le avventure, i rischi crebbero col crescere rapido dei suoi anni. Vide morire compagni coi quali poco prima aveva spartito il cibo o il riposo sotto la stessa tenda, vide città stupende ardere e crollare, vide navi cariche d’uomini affondare rapidamente, egli stesso uccise e distrusse. Le armi facili e potenti suscitarono in lui un furore che la sua giovinezza accettava come una naturale frenesia di vivere. Si era fatto fortissimo, nessun vincolo poteva sovrapporsi ai suoi muscoli, e nelle soste ai giorni di battaglia fischiettava inni di guerra nei cui ritornelli risuonavano gli incitamenti a uccidere e sterminare. Egli si dimenticò di sua madre, di suo padre, del suo negozio di verdura, delle scampagnate felici con sua madre. Egli era diventato un altro. Venne fatto prigioniero e quando finì la guerra, esasperato dalla lunga inerzia nel campo di prigionia, invece di ritornare in patria come gli altri, accettò di imbarcarsi come marinaio e andò a girare per il mondo. Sua madre fin dai primi anni di guerra non aveva più avuto sue notizie, ma non lo pianse come fosse morto, ella sentiva dentro di sé che il suo Mario viveva e che sarebbe ritornato, e lo attese sempre: erano stati troppo belli i giorni che aveva passato con lui ragazzo ed egli le aveva promesso che quando ella sarebbe stata vecchia sarebbe andato lui a fare le provviste per il negozio. Egli doveva ritornare. La guerra si era abbattuta anche sulla loro città. Avevano dovuto fuggire, la città era stata in parte distrutta, la piazza dove era il negozio era un ammasso di rovine, il loro negozio non esisteva più. Furono giorni di pene e di patimenti, ella si ammalò, ma non voleva morire: doveva riaprire il suo negozio e Mario doveva tornare. Suo marito non era animoso come lei e per guadagnare qualcosa durante la sua malattia non seppe far di più che andare in giro per la città con un cestello a vendere aglio, rosmarino, salvia. «Aglio nuovo», mormorava timido incontrando le donne che andavano a fare le compere. Ed era estenuato dagli anni e dalla miseria. L’Antonietta usci dall’ospedale disfatta, strascicava il passo, col suo sguardo tuttavia ardente rivolto in avanti come volesse riconoscere tra la folla suo figlio che ritornava. Riaperse un negozio in un’altra contrada, ma ella stava sempre seduta e le era faticoso parlare coi clienti. Suo marito girava col cestello, ma una sera d’inverno con una nebbia che gli ghiacciava il respiro sui baffi col misero guadagno si portò a casa una tosse che l’uccise prima che ritornasse la primavera. Ella fu sola, ma aveva la certezza che Mario sarebbe ritornato. Altri di cui le loro madri non avevano più avuto notizie erano ritornati. E teneva quel negozio per lui. Paralizzata ad un braccio ella faceva lavorare l’altro per due. I clienti le dicevano: «Com’è Antonietta che non avete del bel sedano?» Oppure: «Badate, che se mi date ancora del radicchio così straccio vado a servirmi in un’altra parte». Ed ella implorante rispondeva: «Abbiate pazienza, quando ritornerà mio figlio avremo tutta la più bella verdura di questo mondo». Ma un giorno la trovarono svenuta sopra la cesta delle patate. Ritornò all’ospedale e da qui venne ricoverata in un asilo di vecchie inferme e che non avevano più nessuno che potesse soccorrerle. Piccole stanze davano in un cortile, squallide, umide, con fogli di carta alle finestre a sostituire i vetri mancanti. In ogni stanza dove abitavano due o tre vecchie assieme vi era un focolare che veniva acceso con pezzetti di legna che andavano a raccogliere sulla riva del fiume quando arrivavano le barche che la trasportavano dai boschi vicino al mare. E sopra al misero fuoco si riscaldavano un po’ di latte, rimestavano una polenta che nel riversarla riesciva poco più grande di un pane.

Vivevano di elemosina: resistevano alla vita sorrette dalia forza tenace del loro sangue popolare; sole, abbandonate, incapaci di lavorare, solo capaci di soffrire, proseguivano nella vita soltanto per arrivare a desiderare la morte come una liberazione. E all’incrudire dell’inverno, quando il vento strappava le carte alle finestre, dai letti freddi di gelo sempre qualcuna non si rialzava più per accendersi il fuoco. Una sera la compagna di Antonietta venne tutta agitata a dire: «C’è uno che cerca di voi». Era Mario. Entrò col passo di coloro che approdano in una nuova terra, «Mamma, sono qui», disse; ella stava distesa nel suo letto fatto solo di vecchie coperte di soldati, marcite dalle guerre, pregne dell’umidità che era nell’aria, sconvolta nei capelli bianchi, segnata di rughe; divampò il suo sguardo nel protendere il solo braccio che poteva muovere: «Figlio mio sapevo che saresti ritornato». E lo strinse contro il suo petto. Era arrivato con la nave nel porto vicino, aveva girato per il mondo, era pieno di denari, glieli fece vedere distendendoli sul letto, ma era stanco della sua vita, nessun giorno era stato mai così bello come quando andava con lei in campagna in cerca di ortaggi. «Riapriremo il negozio, — le disse, — compererò un asinello, anderemo assieme dai contadini, si berrà il buon vino, mangeremo in quelle case il loro pane, io mi arrampicherò sugli alberi a vendemmiare le ciliege». Ella annuiva col capo; la stanza si era fatta buia, l’altra donna accese un lumino, le diede del denaro perché comperasse subito del vino, delle frutta, del pane qualcosa di buono, subito. «Ma tu hai freddo» disse a sua madre toccandole le spalle, e si tolse la sua giacca per coprirla. Tremava ancora, egli la strinse fra le sue braccia, le diede il suo fiato caldo. Ella chiuse le palpebre sul suo sguardo che si era sperduto. «Mamma, sono qui, domani si riapre il negozio». Gridò come per farsi sentire lontano, ma ella non sentiva più la sua voce.
Giovanni Comisso

da il Corriere della Sera del 30/01/1944

Tutte le immagini: © Redazione Cultura

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