La fabbrica dei sogni di Luigi Urettini

“Ti assicuro che quando fummo liberati ci sembrava di avere fatto un terribile sogno, e ci guardavamo tutti trasognati”.  (Treviso, 19.7.1916)

È il giorno dopo il più grande bombardamento aereo della Prima guerra mondiale su Treviso e a scrivere a Giovanni Comisso, arruolato nelle retrovie del fronte dell’Isonzo, è la madre Claudia Salsa, che racconta come lei e il marito si trovassero nell’elegante cinema Centrale in piazza Noli, di fronte al Caffè Stella d’Oro, al momento dell’incursione.

Parte da questa testimonianza il saggio di Luigi UrettiniLa macchina dei sogni”, nel quale l’autore ripercorre la storia del cinematografo a Treviso durante la Grande Guerra. Nella città sottoposta a restrizioni militari, il cinema diventa luogo in cui la rappresentazione diventa realtà e la realtà si fa rappresentazione. La stessa Salsa, scrivendo al figlio di un idrovolante abbattuto dalla contraerea, proclama:

“non ti posso dire quante persone andarono a San Biagio a vedere l’idrovolante distrutto, e le due vittime massacrate!”.

Già nel 1911, da Tripoli, il generale Tommaso Salsa, zio di Comisso, scrive:

“sono tutto il giorno occupato in mille faccende così diverse che mi sembra di avere dinanzi agli occhi un cinematografo celerissimo”.

Suggestione alimentata della presenza di numerosi cineoperatori che, a causa della censura, si limitano a documentari in cui le imprese compiute dai soldati italiani assomigliano a quelle degli eroi dei poemi cavallereschi. Vicende epurate dalle rappresaglie di massa, dalle impiccagioni di civili e che assomigliano alle tavole a colori di Achille Beltrame per La Domenica del Corriere. Tavole che potrebbero aver ispirato Luigi Maggi che nel 1916 gira Maciste alpino, film in cui il protagonista sconfigge i nemici austriaci a suon di sberle e calci nel sedere.

A Treviso, dunque, il successo della nuova arte cinematografica è grande e a dirlo sono i numeri: dieci sale per un totale di 41.000 abitanti, di cui 18500 nel centro storico. Il cinematografo diventa un potente strumento di propaganda, che si impone sulla realtà.

Al Salvatore Spina di piazza dei Signori, al Kursaal-Sile all’aperto, a Palazzo Filodrammatici, all’Edison (solo per citarne alcuni) lo schema di proiezione è lo stesso:si inizia con un film “dal vero”, si prosegue con i “quadri colorati” e si conclude con una “comica”.

È del 1914 “Cabiria”, il primo grande kolossal sulle guerre di Roma contro Cartagine – con centinaia di comparse e scenografie di cartapesta – acui collabora anche D’Annunzio, per la sceneggiatura e le didascalie, e in cui appare per la prima volta Maciste. Ma al pubblico trevigiano piacciono anche i drammi sentimentali, i feuilleton, proiettati in varie giornate e antenati delle moderne telenovelas, e le comiche finali, come Tontolini e Cretinetti.

Ma nel 1915 l’Italia entra in guerra e a Treviso molti cinema chiudono. Nasce, però,proprio a Palazzo Filodrammatici, La casa del soldato, ideata da don Giovanni Minozzi: luogo ricreativo di stampo parrocchiale e cattolico, supporto patriottico allo svolgersi della guerra e conforto ai soldati in armi. L’esempio viene seguito in tutta Italia.

È in questo clima che nasce l’idea, tanto cara al generale Cadorna, del “soldato-massa”, privo di grandi ideali e pronto a obbedire passivamente ai suoi superiori.

I civili, invece, rifiutano i pur edulcorati “film dal vero”, preferendo l’evasione in un mondo di sogni e fantasia. Sono solo i militari ricoverati ad assistere ai documentari in cui la violenza rimane occultata, non si riprendono le prime linee e le sepolture si fanno senza i cadaveri. D’altronde anche i giornalisti, tenuti lontani dalle prime linee, scrivono solo articoli di colore. Celebri le “barzinate” di Luigi Barzini, maestro dell’occultamento del reale.

Nemmeno i soldati che tornano dalla prima linea vogliono o sanno raccontare la loro tragedia.

Lo farà Carlo Salsa nel 1924 scrivendo Trincee, un diario delle battaglie sul Carso e della prigionia in campo di concentramento. Drammatico, realistico, privo di retorica, e per questo censurato, racconta dei morti lasciati a putrefarsi al sole, critica l’inettitudine criminale dei generali e gli ufficiali imboscati, che a loro volta lo accuseranno di disfattismo. Tra loro anche Giovanni Comisso. Salsa diventerà consulente di Mario Monicelli per il suo La grande guerra del 1959.

Se nelle città lontane dal conflitto gli intellettuali disquisiscono filosoficamente con ideali quarantotteschi, a Treviso, retrovia del fronte, la popolazione si è indurita e Antonietta Giacomelli, crocerossina, scrittrice e amica di Fogazzaro, dà una descrizione vivida del dramma della rotta di Caporetto.

I profughi veneti e friulani si disperdono in tutta Italia, affrontando difficoltà economiche e morali, ma la voglia di evadere dalla realtà per rifugiarsi al cinematografo non viene meno.

Nel settembre del 1918 arrivano a Treviso i primi soldati americani. Ostentano ricchezza e abbondanza e hanno cineoperatori che filmano le loro gesta. Aprono le loro Case del Soldato dove, oltre a distribuire gratuitamente carta da lettere, penne, dolci, succhi di frutta e chewinggum, proiettano film con i divi d’oltre oceano: Pickford, Fairbanks e Chaplin, che mettono in crisi la produzione italiana. E anche la Croce Rossa Usa contribuisce a diffondere lo stile di vita americano e i suoi consumi di massa.

I profughi faticano a rientrare a Treviso, la città è disorganizzata. Ci sono i cinematografi aperti, ma credo appena un forno”, scrive Comisso ai genitori sfollati a Firenze: la necessità di scappare dagli orrori della guerra per rifugiarsi nella fantasia è più forte del bisogno di pane.

Federica Augusta Rossi


Potete leggere la version integrale dell’interessante saggio di Luigi Urettini  “La macchina dei sogni. Il cinematografo a Treviso durante la Grande Guerra” uscito su “Terra e Storia. Rivista di storia e cultura” Anno V N. 10 Luglio-Dicembre 2016 ( Cierre Edizioni)

Scaricate il PDF di La Macchina dei sogni di Luigi Urettini.

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