La Città Imperiale. Impressioni di viaggio in Oriente di Giovanni Comisso

Un grande cielo e una campagna vasta e ondulata. Campagna d’un verde tenue, che presentisce l’arsura; morbida per alti salici dalle fronde riverse che s’abbandonano al vento, rotta da antichi canali quasi in secca, altrove sommersa da alluvioni; disseminata di tombe. Qua e là lungo la strada malcerta s’alzano stele di marmo sul dorso di gigantesche testuggini o pagode decrepite. Le case dei contadini sono miseri abituri. Cani rognosi; e nudi bambini anneriti di sporco, seduti sulla polvere. Un ponte di pietra, con leoni scolpiti ai due capi, sorpassa un canale; poi sorge all’orizzonte la lunga linea merlata delle mura di Pechino e lontano sfumano le colline dell’Ovest.

Città quadrata, cinta di mura. Originariamente solo abitazione dell’Imperatore. Abitava al centro nella città proibita; attorno si distende la città imperiale dove abitava la Corte, attorno a questa, la città cinese e al sud la città tartara: tutte cinte da mura. È un’area immensa che osservata da qualche punto elevato appare come una distesa di giardini tra cui luccicano tetti bassi di ceramiche gialle, azzurre o verdi.

I tetti della Città Proibita (foto di Saad Akhtar)

La reggia morta

Pechino è orientata da nord a sud; distribuiti su questo asse risultano le porte principali e tutti i grandi padiglioni imperiali, in modo che l’Imperatore assiso sul trono in uno qualsiasi di questi aveva sempre dietro alle sue spalle il Nord e davanti a sé d’infilata le varie porte delle varie città per uscire con la via imperiale attraverso tutta l’immensità del suo dominio: fino al Tonchino. Mura gialle di cinta, porte solenni sormontate da padiglioni dal tetto di ceramica gialla, ampi cortili di marmo, ponti di marmo su canali in secca, divisi in tre parti, una al centro per l’Imperatore, le altre per i Grandi dell’Impero, gradinate di marmo, e dovunque dove posava il piede l’Imperatore non semplice marmo, ma continui bassorilievi di dragoni irati tra i simboli del cielo, della terra e dell’acqua. Leoni bizzarri in marmo o in bronzo dorato a custodia degli ingressi, ibis di bronzo, grandi vasi dorati per i fiori di loto, orologi solari sopra a mezze colonne; tutti in doppio esemplare e disposti simmetricamente davanti ai padiglioni. Padiglioni uno successivo all’altro: grandi sale del trono, con colonne e pareti laccate di rosso con fasce di decori azzurri e oro. a fiori, a paesaggi e a dragoni. In verità i motivi ornamentali sia pittorici sia delle sculture in marmo sulle balaustre dei ponti e agli zoccoli dei grandi portali sono un continuo monotono ripetersi, ovunque si posi lo sguardo. Motivi in grande parte, specie scultorei, di stile indo-persiano e perfino ellenico. Queste sale del trono, oggi, sono tristi nel loro aspetto; guardate da soldatacci repubblicani che chiedono l’elemosina e offrono dietro compenso di lasciarvi sedere sul trono. Attorno sono esposte infinite cose di pessimo gusto: quadri o paraventi con paesaggi pazientemente composti con piume d’uccelli e con sottili intarsi inutilmente minuti.

La Città Proibita – Il Palazzo della Suprema Armonia

Tutta la città imperiale è trasformata in museo. Nonostante i saccheggi d’ogni parte perpetrati da Cinesi o da stranieri, vi è ancora della bella roba: porcellane e dipinti, ma una grandissima quantità è indegna di figurare nel retrobottega dell’ultimo antiquario della terra. Innumerevoli collezioni di grandi orologi a pendolo tempestati di pietre false, dipinti forse eseguiti da damigelle di Corte, infantili e stentati. E fra tutto questo si possono vedere le opere del padre gesuita italiano Castiglione, venuto qui nel ’700, pittore di Corte e che molto contribuì nella costruzione del Palazzo d’estate, distrutto dai Franco-Inglesi nel ’60. Opere assai interessanti, sebbene un po’ fredde, degne tuttavia di essere studiate dalla nostra critica e fatte maggiormente conoscere. Si possono vedere di lui un ritratto della «Concubina profumata» e alcuni grandi disegni di cavalli. Il suo stile risulta d’uno strano innesto dell’atmosfera cinese su una durezza di disegno fiammingo e su elementi della pittura francese del ’700.

Il trono nella sala della Preservazione dell’Armonia

Gli abiti del «figlio del cielo»

Altri padiglioni, tutti dal tetto di ceramica gialla, il colore imperiale, e tutti pressoché uguali nello stile, sono sparsi entro le mura massicce. Padiglioni per Imperatrici, per le dame di Corte e per i Principi. Qui la vita ha cessato di animare le stanze da appena vent’anni, e già quel tono che si riscontra nelle case abitate è scomparso per dar luogo ad un aspetto di decrepitezza e di sfacelo. In una sala sono esposte delle fotografie dove si vede l’ultima Imperatrice che corre in bicicletta nel giardino di fronte. In un’altra sala sono forse più vivi, tale è la forza dei colori, gli abiti solenni degli Imperatori di tre secoli fa.

Oil painting of the dowager Empress Cixi of the Qing Dynasty siting on an armchair, by Dutch painter Hubert Vos

Si passa da un padiglione all’altro a volte attraverso loggette tortuose. In un angolo della stanza da letto dell’Imperatrice Tsu-Hi, la formidabile donna che per più di mezzo secolo resse la Cina e diede grande filo da torcere alle Potenze, c’è un guardiano che dorme russando accanto ad una tazza di tè. La Biblioteca imperiale ha una foggia curiosa. Si entra in un recinto chiuso da un muro e qui subito si presenta un irto intreccio di rocce al di là del quale si eleva un palazzo a due piani tutto affrescato di fuori.

Dovunque l’erba cresce tra pietra e pietra, spunta anche sui tetti, le lacche si screpolano e cadono, il legno di cui sono in massima parte costruiti tutti gli edifici marcirà e tutto precipiterà al suolo. Le balaustrate di marmo dei ponti si sciolgono dagli innesti e cadono nel canale invaso dai canneti. Verrà presto un giorno in cui di questa reggia non rimarranno che le poderose mura di cinta, le porte d’ingresso imponenti e il selciato marmoreo. È il marchio di una civiltà finita che con essa scompare e questo è il tragico momento in cui si verificano i primi segni di decomposizione. Qualcosa si fa per sostenere, si ripara e si puntella, ma nulla può servire contro un destino inevitabile. Cacciato l’Imperatore, essenza della razza e della sua civiltà, su che cosa devono trovare alimento di vita questi luoghi che erano costruiti puramente per lui?

Nella città proibita

Sempre nella cerchia della città imperiale, vi è la Collina del Carbone: una collina a tre cime, e su d’ognuna vi è un tempietto; quello centrale risulta orientato sull’asse nord-sud. I declivi sono tutti piantati ad alberi dove annidano grandi corvi che urlano umanamente, svolazzando attorno. Hanno qui piazzato delle batterie antiaeree per difendersi dall’aviazione di Nanchino, ora che c’è la guerra tra i generali nordisti e il Governo centrale e i soldati di guardia dormono ai piedi delle statue di Budda. Di qui si può vedere tutta la città proibita con i suoi tetti di ceramica gialla tra il verde tenue degli alberi; tutto attorno stendesi la città cinese.

Beato Odorico da Pordenone

Il vento solleva nubi di polvere qua e là dalle strade, e arrivano grandi vocìi di gente, come nelle nostre campagne quando tutti i contadini arano sui campi. Ma non si vedono predominare le case: sono sparse, basse, piccole e sommerse tra gli alberi che ognuna deve avere. Il cielo si eleva senza una nube, asciutto e luminoso come nei deserti o sulle cime dei monti; lontano si disegnano leggere le colline dell’Ovest. In fianco alla città proibita si stende un lungo lago diviso in tre parti, tutto circondato da giardini, dominato da una collina con un tempio, e lungo le rive popolato di padiglioni imperiali ora trasformati in ristoranti o caffè. Il Beato Odorico da Pordenone, nella descrizione che fa di questo lago, dice che era così pieno di anitre che l’Imperatore vi poteva andare a caccia senza tanto affaticarsi. Il lago ha punti veramente meravigliosi; ora è tutto pieno di grandi foglie di loto che s’alzano dalle acque e tra cui spuntano i fiori rosei.

L’Imperatrice Tsu-Hi qui veniva di sovente su d’una larga barca accompagnata dalle Principesse, dalle dame di Corte e dal Grande Eunuco che, mascherato da pescatore, egli stesso conduceva la barca.

L’Imperatrice sedeva accanto a un paravento e le altre donne la dilettavano con recite teatrali e cantando con accompagnamento di flauto. Nella parte sud del lago su d’una penisoletta vi è la Terrazza dell’Oceano dove l’Imperatrice tenne prigioniero suo figlio, per regnare in suo luogo.

A dragon boat in Ryukyu Kingdom, so-called Haryusen

La festa del dragone

È una posizione fresca e riposante: al di là dei padiglioni per l’abitazione, nei cui atri ora stanno venditori di bibite e di frutta, vi sono lunghe serie di logge e di loggette congiunte da passaggi coperti. Di qui si vedono le acque fiorite, le fronde dei grandi salici dondolano al vento, le rondini passano e ripassano. Una luce blanda definisce minutamente le foglie, i fili d’erba e l’incresparsi delle acque al vento; qualcosa domina incantando e le ore passano inavvertite.

È la festa del Dragone: e si vede una grande barca con la prua a foggia di drago staccarsi dall’imbarcadero sottostante. Un tamburo viene battuto ogni tanto. I ventagli si agitano rapidi e i remi lentamente. A mezzo del lago un ponte di bianco marmo attraversa. Si scorgono le barchette farsi strada tra le foglie di loto, le sponde irregolari subito adorne di salici, spuntano i tetti di padiglioni o di templi e il magnifico cielo dà sulle acque, tra il verde, tocchi di insuperabile cobalto. Vi sono dei Cinesi appoggiati alla balaustrata che guardano dominati dall’incantevole armonia. Nella parte a nord del lago, l’abbandono e il crollo turbano e rattristano anche gli estranei alle vicende di questo popolo. Qui v’è il palazzo del Grande Eunuco, tutto rivestito di ceramica gialla e verde, con statuine di Budda negli archi delle porte. Tutto lungo al secondo piano corre una loggetta; non vi sono finestre ma solo otto porte al primo piano, alle quali corrispondono altrettante di sora. L’interno è fresco come una ghiacciaia, tutto è in rovina e dalle iscrizioni sui muri si capisce che ora è un piacevole luogo di convegno per innamorati. Ve n’è una persino in italiano: «Qui amai e fui fedele». Accanto vi sono alcuni templi abbandonati. Sembra che l’erba spacchi le pietre, le balaustre dei ponti sono cadute nei canali, la lacca è caduta dalle colonne, i tetti si sfasciano erbosi. I soffitti sono pieni di nidi. Dalle nicchie sono spariti i Budda dorati, solo sono rimaste delle statue di altre divinità di cartapesta brutte ed insipide come cariatidi di baracconi da fiera.

Erba tra le pietre del pavimento degli interni, erba sui tetti e grossi topi che fuggono nelle loro tane. Al di là del muro di cinta si sente dalla strada la musica cupa d’un funerale. Si cammina nel grande sole; esso splende duraturo e inalterabile su queste forme di vita che stanno per rientrare e scomparire in seno alla terra da cui sono sorte.
Giovanni Comisso

da il Corriere della Sera del 29/07/1930

Immagine in evidenza
Close-up on the left protruding wing of the Meridian Gate (foto di Haluk Comertel)
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Tutte le immagini: fonte Wikimedia Commons

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