Il mondo talvolta sembra chiuso, che non vi sia più nulla di attraente, nulla di nuovo da vedere, da sentire. Sono momenti di noia, di sosta. di attesa, che preludono a nuovi spettacoli. Effettivamente questi momenti corrispondono a quelli che in teatro precedono il levarsi del sipario.
L’altra domenica ero solo, avevo finito tutti i miei lavori, la giornata era limpidissima e fredda. Lo stare in casa richiedeva l’accensione delle stufe, nessun libro nuovo mi era giunto, avevo la mia vecchia automobile e potevo muovermi. Misi in un cestino un po’ di formaggio, salame e burro, olive, pane, alcune arance, una bottiglia di vino e partii verso la valle del Piave, che dalla mia nascita è sempre la mammella che mi nutre e mi risana.
Giunsi presto dove il Piave uscito tra i monti, si allarga nei suoi ghiaioni, seguito dai colli. Mi fermai, apersi i finestrini: l’aria entrava violenta come in un volo, respiravo rinnovandomi e dopo avere seguito tutti i dorsali delle montagne spoglie di alberi, definite nelle loro ossature e reclinate come vacche smunte, dopo avere scrutato i ghiaioni sui quali durante l’estate mi ero annerito di sole nella mia libertà felice, presi a consumare vorace le provviste che m’ero portato.
Sentivo il cibo e l’aria tramutarmi la pelle del volto. Dopo, rimasi fermo a guardare la valle che si addentrava tra i monti parte in ombra e parte in sole, e fu come un richiamo. Proseguii dentro Ia valle.
Ero come un pesce che risale verso la sorgente per avere sempre più pura l’acqua che lo nutre.
Ad un incrocio alcuni ragazzi del Piave che mi conoscevano, con grandi gesti di saluto e di arresto, mi imposero di fermare. Andavano in un piccolo paese della valle, ad un ballo che dicevano bellissimo. Erano in bicicletta e mi avrebbero seguito, se volevo andarvi. Proseguii come in una carrozza al trotto ed essi si tenevano appoggiati alla macchina.
Quando si arrivò al piccolo paese, il famoso ballo si presentò subito assai incerto. I suonatori non erano venuti, vi era invece un fonografo con fievoli dischi, le ragazze erano poche e svogliate. Mi divertiva, mentre sentivo tutti questi contrattempi, guardare. Sopra un palo due piccole eliche violentissime al vento che facevano fare rapidi inchini ad un fantoccio di legno col berretto di alpino.
Ogni tanto il vento si placava allora il fantoccio si fermava ritto e le eliche non giravano più. Mentre stavo in attesa che il giuoco riprendesse, un vecchio che mi osservava seduto al sole contro il muro di una casupola, dopo un timido saluto mi chiese se volevo comperare una villetta.
– Quale?, gli domandai meravigliato e mi indicò una casa vicina al Piave che mi parve senza imposte. I ragazzi stavano sempre concertando per il ballo e acconsentii andarla a vedere. Non l’avrei di certo comperata, ma non vi era altro da fare.
– Si, disse il vecchio accompagnandomi, non vi sono imposte, ma la casa c’è, ed è solida e con poca spesa si mette a posto, ha anche due campi di terra che confinano col Piave, un’aria buonissima, la sente, e se lei viene d’estate vi può fare una villeggiatura che le darà salute finché vive.
I suoi occhi cinerei mi guardavano, cercando di scoprire le minime impressioni del mio volto mentre ci si avvicinava, e le mie impressioni erano di un crescente stupore. La villetta non era neanche una casa, ma uno scheletro di casa, mancavano non solo le imposte, ma le porte, le scale, i pavimenti, vi erano solo le pareti, composte di sassi e di roccia rossa, pur in una salda coesione di calce impastata con la sabbia del Piave, ma non avevano intonaco né di dentro, né di fuori. Sorrisi: – La casa è come non sia costruita.
Il vecchio volle che guardassi il soffitto: quello vi era e diceva che era fatto magnificamente. Mi accorsi poi che le finestre erano aperte soltanto dalla parte a tramontana e nessuna, purtroppo, da quella del sole.
Non era un affare possibile né per me, né per i miei amici, glielo dissi subito prima ancora mi informasse che in quel paese non vi era luce elettrica, ma si poteva derivare facilmente, che non vi era né pizzicagnolo, né fornaio, né macellaio, ma solo l’osteria, e tutte le spese si potevano fare a quattro chilometri di distanza.
– Ma questa casa di chi è?, gli chiesi. Il vecchio sembrava un albero sradicato, era veramente abbattuto alle mie parole e lo invitai all’osteria a bere. La casa era sua.
Durante l’altra guerra, quando gli Austriaci erano avanzati fino al punto dove il Piave esce dalla valle, da quel piccolo paese partivano le teleferiche che rifornivano le truppe trincerate sulle montagne e casa per casa erano state demolite dalle nostre artiglierie. Anche la sua era stata ridotta a un cumulo di macerie. Finita la guerra, il Genio civile gliel’avrebbe ricostruita, ma egli volle venisse fatta più grande della vecchia. perché i suoi due figli erano cresciuti. Però i denari del risarcimento bastarono solo per la costruzione della muratura e per quanto egli lavorasse insieme coi figli a tagliare legna nei boschi, che in quel paese non vi era altro lavoro, non riesciva ad accumulare i denari necessari.
Abitavano nella piccola casa lasciatagli da un fratello morendo, ma vi stavano appena nelle due stanze che la componeva. I figli erano infastiditi, non avrebbero potuto sposarsi e crearsi una famiglia, senza la casa compiuta, e decisero di andare in Australia, dove tanti erano andati e avevano trovato fortuna. Laggiù avrebbero fatto il denaro per finire la casa, glielo avrebbero mandato e quando la casa sarebbe stata messa a posto, sarebbero ritornati e si sarebbero sposati. Poi tutto andò diversamente. Dopo pochi anni quei suoi figli avevano accumulato il denaro, molto denaro, e la casa se l’erano fatta laggiù, si erano sposati, gli avevano mandato denaro, ma soltanto perché potesse vivere e ancora gliene mandavano, ma della casa sul Piave si erano scordati. Sin dai primi anni gli avevano scritto ch’era meglio venderla: egli se ne occupasse e, appena venduta, se voleva, poteva raggiungerli in Australia.
Sono passati quasi trenta anni da questa decisione dei figli e da allora egli era rimasto in quel paese a custodire quella casa incompiuta offrendola in vendita a tutti i forestieri che vi sostavano, ma nessuno l’aveva voluta comperare.
– Quando in una casa c’è il soffitto, basta, e l’aria è cosi buona. Disse ancora come per vedere se riesciva a convincermi. Non lo contraddissi e gli versai ancora da bere.
Quel vecchio sarebbe morto senza avere venduto quella casa che non sarebbe mai stata finita. I figli non sarebbero più ritornati in quel piccolo paese, senza luce elettrica, dove per riuscire a vivere bisogna fare soltanto i taglialegna.
Essi erano come le acque del Piave uscite fuori dalla valle, non più ristrette tra le alte pareti dei monti, ma diffuse ampie tra le ghiaie; non potevano ritornare indietro. E quella casa sarebbe rimasta incompiuta per sempre, con le sue finestre aperte soltanto a tramontana per le quali il vento entrava come in una grotta.
Quei sassi raccolti dal Piave e quelle pietre rosse scavate dalle montagne vicine, saldati gli uni alle altre con la calce impastata di sabbia tolta lungo le rive: tutto aveva assunto la potenza duratura della roccia, come una grotta naturale della montagna. per superare i secoli senza essere abitata mai.
Giovanni Comisso
Pubblicato su Il Tempo il 24 febbraio 1949
Si ringrazia la Biblioteca Nazionale Centrale di Roma e il portale della Biblioteca Digitale.