Il giro del mondo in una stanza

Bianco come i fogli sui quali annotava i suoi diari di viaggio, disegnava i minareti di Istanbul o le colline trevigiane. Bianco come i tessuti che ricamava siglandoli con un garofanino rosso.

Bianco il colore che fa da sfondo a “La stanza di Freya”, la nuova sezione permanente del Museo civico di Asolo. Inaugurata lo scorso 12 maggio, è dedicata a Freya Stark, grande viaggiatrice e caposcuola del travel writing.

Una stanza pensata per accogliere il visitatore e immergerlo nella vita di una donna icona della libertà e ispiratrice dell’emancipazione femminile.

Inglese di nascita, cittadina del mondo e asolana di adozione, Freya Stark è stata la prima occidentale a localizzare e mappare le Valli degli Assassini in Persia.

La prima a viaggiare da sola, in modo anticonvenzionale, mescolandosi alla gente del luogo, imparandone l’idioma – conosceva una decina lingue – “perché imparare la lingua del luogo è il modo migliore per viaggiare”.

Nel venticinquennale della morte, la città dei cento orizzonti dedica alla sua illustre cittadina uno spazio che assieme a quelli destinati a Caterina Cornaro ed Eleonora Duse completa la trilogia delle grandi donne che hanno contribuito a influenzare la storia e favorire la ricchezza culturale del territorio.

Tre anche i nuclei attorno ai quali è stata allestita la stanza: la scrivania, l’armadio e la soglia. Fedele riproduzione dell’originale, la bianca scrivania circolare è la prima tappa del viaggio alla scoperta di Freya. Interattiva e ampia, consente al visitatore di sbirciare nella vita pubblica e privata di Dame inglese.

Basta premere uno qualsiasi dei tasti dell’originale Olivetti lettera 22, iconica nel suo troneggiare, e la macchina da scrivere attiva uno schermo inserito nel piano del mobile riproducendo citazioni di Stark tratte dai suoi libri. Oppure è sufficiente aprire uno dei cassetti per ammirare tessuti, fili, aghi, forbici e occhiali.

Strumenti indispensabili per il ricamo, attività imparata dalla mamma artista e utilizzata come passatempo ad Asolo e non solo.

“Una donna che ricama mentre è in viaggio non desta sospetto e curiosità”, soleva ripetere Freya quando le chiedevano come si fidasse a spostarsi sola in luoghi tanto diversi dalla nostra cultura.

Non solo oggetti di svago all’interno dei cassetti, ma anche veri e propri simboli della sua attività di cartografa e archeologa. Fra tutti, il passaporto nel quale Stark è definita viaggiatrice-scrittrice. E ancora, rullini e album fotografici, preziosi testimoni, assieme ai taccuini, dei suoi formidabili reportage, condivisi attraverso libri e articoli con i lettori occidentali ai quali donò il suo sguardo su un mondo misterioso e affascinante.

La scrivania come scrigno dei ricordi più intimi: le cartoline d’auguri della Regina Elisabetta o le inseparabili borsette, unico vezzo che si concedeva anche nel deserto.

Infine, uno schermo sul quale è riprodotto il mappamondo con tutti i Paesi visitati da Freya: un cursore li unisce lentamente dando vita a un ricamo digitale che tanto assomiglia a quelli da lei realizzati su tessuto e che per Asolo, sede dall’Antica scuola di ricamo fondata da Pen Browning, fu eccellenza artistica.

Dalla scrivania ci si sposta verso l’armadio. Anch’esso bianco e riprodotto dall’originale dipinto dalla mamma Flora. Aprendo le due ante, si scopre una vera e propria Wunderkammer, la stanza delle meraviglie. Quelle raccolte da Freya nell’arco della sua vita così svincolata dalle convenzioni e dagli stereotipi del tempo. Sullo sfondo, uno specchio con una tenue sfumatura dorata riflette e amplificata gli oggetti esposti.

Monete antiche, ciotole fittili, reperti di archeologia: tutti donati da Anna Modugno, assistente della Stark nell’ultima fase della sua vita. A fianco dell’armadio-scrigno, una sorta di cabina-armadio nella quale addentrarsi per sfiorare caftani e abiti di Freya e ascoltare la sua voce registrata.

Tessuti e voce restituiscono la sfaccettata personalità della scrittrice, donna raffinata e spartana al contempo, capace di apprezzare la porcellana più fine e di ascendere l’Himalaya a dorso di mulo quando aveva già ottant’anni.

Infine la soglia. Porta sul mondo – dagli spioncini appositamente incastonati è possibile ripercorrere la vita di Dame Freya tra foto e filmati che scorrono in loop – e porta che simbolicamente separa questo mondo da quello che forse ora sta esplorando.

A fianco della soglia, a ribadire l’importanza della testimonianza e del lascito culturale dell’esploratrice, un baule che verrebbe voglia di aprire attratti dalla stessa curiosità che ella aveva nei confronti dell’umanità e che la spinse a scoprire il mondo, consapevole che Asolo, amato rifugio e nido, era sempre pronta ad accoglierla di ritorno dai suoi viaggi avventurosi.

Uscendo dalla bianca stanza di Freya si ha la netta sensazione di averla conosciuta, di avere partecipato assieme a lei al rito del te in una tenda beduina o di aver sentito i canti dei muezzin elevarsi dai minareti della Moschea Blu.

Non solo la sua voce, ma anche i suoi oggetti hanno parlato per lei e di lei, stagliandosi ancora più vividi perché pregni di una personalità messa ancora più in risalto dalla neutralità del bianco.

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