Il Diario di Giovanni Comisso: "Un compagno di viaggio mi aveva riconosciuto: era un giovane scrittore…"

Il Diario di Giovanni Comisso: “Un compagno di viaggio mi aveva riconosciuto: era un giovane scrittore…”

Il piacere di viaggiare solo con me stesso fu d’improvviso interrotto, il giovane scrittore mi aveva riconosciuto e venne a sedersi accanto a me per assediarmi con le sue dichiarazioni e con le sue domande.

Dopo un preludio di rapide battute di ordine generale sullo scopo del mio viaggio e su quello del suo, senza che glielo avessi chiesto, mi informò premurosamente come se fosse atteso da me e credesse mi avrebbe fatto sommo piacere, che egli non collaborava più col partito comunista.

Proprio senza alcuna intenzione di avvilirlo, gli dissi che non mi ero mai accorto avesse collaborato coi comunisti. Lo vidi accusare un colpo diritto e subito di rimbalzo, come per darmi del pessimamente informato, disse che egli era il solo scrittore italiano al quale erano state pubblicate due novelle sulla Pravda, e le teneva a casa sua esposte in cornice. Dissi ancora e senza intenzione di irritarlo che non sapevo che la Pravda fosse anche un giornale letterario.

Come si fosse accorto che avevo una lingua terribile, parve deciso di aggirarmi con gli elogi. Mi disse che trovandosi a Roma con una signora intellettuale di grande considerazione, nel rivedere le posizioni degli attuali scrittori italiani li avevano messi a terra tutti a eccezione di me. Gli contraddissi che esagerava allora volle sapere se consideravo giusto che tre noti scrittori potessero aspirare al premio Nobel.

Sempre con un intontimento dato dal treno, che mi rendeva assorto e micidiale come gli indovini, risposi che quegli scrittori potevano benissimo aspirare a quel premio, se era già stato negato a Croce per essere dato invece a Grazia Deledda.

Foto di Anton Atanasov

Volle informarmi sulla sua situazione: aveva uno stipendio da parte dello Stato che comunque gli assicurava da vivere, scriveva su di un giornale di Roma e su di un altro di Milano, pubblicava i suoi libri presso un grande editore milanese, ma i suoi lettori erano tutti da Napoli in giù, ed era contento di questo, perché è in quelle regioni che si prepara un grande avvenire culturale.

Il Settentrione, per lui, era soltanto riminchionito dall’industrialismo e lo disprezzava. Gli diedi subito ragione, ma gli chiesi perché non aveva mai scritto un libro contro l’industrialismo di Napoli, che si era andato ad annidare a Bagnoli, in uno dei punti più belli non solo del golfo, ma di tutta l’Italia, appestando quel cielo col fumo acre delle ciminiere e rendendo oleose le acque di Nisida e di Posillipo. Non mi rispose e mutò discorso. Di certo se avesse scritto un libro di questo genere non avrebbe più avuto lettori da Napoli in giù, troppo sono orgogliosi i meridionali del nascente industrialismo, sorga esso a Bagnoli o nella zona greca di Siracusa o accanto ai templi di Agrigento.

Il giovane scrittore era in vena di confidenze, mi volle fare sapere quanto guadagnava al mese e ne risultò una cifra eccezionale, ma per lui tutto sembrava estremamente facile nel riescire, come essere pubblicato dalla «Pravda» o da uno dei nostri giornali più conservatori, essere letto in tutte le provincie meridionali o essere tradotto in tutte le lingue nordiche, avere vinto uno dei maggiori premi italiani e un giorno, non si sa mai, potere arrivare al premio Nobel. Per impressionarmi mi disse che da un mese si era messo a leggere Saint Simon, soggiunsi che avrebbe fatto assai bene al suo stile.

Allora volle sapere quale suo libro avevo letto e cosa pensassi di lui. Disgraziatamente non ne avevo letto alcuno, ma mi era bastato leggere un suo racconto per capire che era uno di quegli scrittori acrobatici che tirano a indovinare, senza radicarsi a fondo nella vita. Mi tolsi dall’imbarazzo dicendo che avrebbe dovuto impiegare quattro anni a leggere Saint Simon se ne avesse voluto sentire un beneficio, ma egli mi dichiarò spavaldo che stava già agli ultimi capitoli.

Stazione Centrale di Milano (foto di G.dallorto, Wikimedia Commons)

Non so se per abbagliarmi, mi parlò della sua casa, era splendida e in una splendida posizione, aveva uno studio ampio, sole, aria, vista del mare e se avesse voluto venderla avrebbe realizzato venti milioni. Allora mi spiegai perché non collaborava più coi comunisti. Andava nel Settentrione per fare una serie di conferenze, temeva che il freddo sarebbe stato intenso, era stato costretto a mettersi un cappotto che nel Sud gli pesava come una cappa di piombo, ma già lo sentiva diventare leggero. Forse sarebbero state necessarie le mutande lunghe? Desiderava un ragguaglio da me, e gli dissi erano indispensabili se non voleva morire congelato.
Giovanni Comisso

da Il Giorno del 06/02/1957

Immagine in evidenza: Foto di Daniel Frese (part.)

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