Il capo di casa

Il capo di casa

La casa dei contadini, quando veniva qualche lucente giornata, sul calare dell’inverno, splendeva nella sua parete a mezzogiorno su dal verde del campo di frumento che fremeva di crescere nell’atteso calore.
La gente di casa era, come le api, tutta intenta a lavori dentro o attorno, tra l’orto e il cortile o lungo le viti vicine. Ancora non si azzardava verso i campi dove il vento faceva vibrare i rami leggeri. E le api, pure, non iniziavano i loro voli, non avvertendo ancora il profumo dei primi fiori dischiusi. Tra le siepi si erano appena aperti i fiori di nocciolo incolori senza profumo, penduli a ciocche simili a vermiciattoli sui rami ancora privi di foglie. Le galline razzolavano lungo le siepi dove si raccoglieva il poco tepore del sole e nella stalla gli animali avevano il mantello invernale umido di caldo suscitato dal loro respiro.
Un uomo preparava sotto al portico i badili, altri raggiustavano un carro, una donna lavava il suo bambino nella stalla, un ragazzo faceva un cesto di vimini, altri assestavano le viti aiutati dalle proprie donne che raccoglievano i tralci tagliati, le ragazze mondavano il radicchio per la cena, e i bambini traballanti sui loro zoccoli andavano da una parte all’altra attorno agli uomini imitando nei loro giuochi i lavori dei grandi.
Il solo che stava senza fare nulla era il vecchio capo di casa, egli era nella sua camera, che i figli gli avevano ridipinta di calce. Il suo bianco letto colmeggiava, su di un tavolino in due vasi di legno vi erano dei fiori di carta rossi e azzurri ed egli si preparava la pipa. Sorrideva nel suo sguardo acuto seguendo i suoi pensieri, sapeva quello che aveva da fare: preparata la pipa sarebbe andato lentamente nel campo vicino in cerca di un po’ d’erba resistita al gelo, per rinfrescare il pasto per il maiale. Aveva lavorato per i suoi anni e i suoi figli erano contenti che rimanesse nella casa il solo inoperoso. A loro bastava vederlo andare dalla sua camera alla stalla, dalla stalla alla cantina, da questa al cortile. Egli era il loro padre.
Ognuno lavorava per sé, per la propria moglie, per i figli, ma anche perché il vecchio padre si godesse il suo ozio, come per uno sdebitarsi di avere da lui ricevuto la vita, e se egli alla domenica di sera se ne tornava a casa dall’osteria borbottante per il vino bevuto, consideravano che poteva ancora avere una gioia nella sua esistenza. Uno di loro lo aiutava a salire sull’alto letto, sorridendo alle sue proteste di volere fare da solo.
Sapevano che non poteva più dare un consiglio o una risoluzione sui lavori, ma tuttavia quando erano incerti si rivolgevano a lui: «Cosa ve ne sembra, padre?». Ed egli, mettendosi la pipa alle aride labbra, rispondeva biascicando le parole: «Fate voi che fate bene». E questa libertà a decidere li incoraggiava a risolvere giustamente da loro.
Tutta la famiglia, dai figli ai piccoli nipoti, si reggeva sulla sua presenza, egli uguagliava tutti loro, nessuno poteva dire di essere lui il capo della casa finché lo sentivano tossire nella sua camera o borbottare contro i bambini quando facevano troppo chiasso. Nessuno avrebbe potuto farsi valere più degli altri, c’era il padre, e ognuno doveva accontentarsi della sua parte. Ma egli non si saziava col suo ozio, le sue braccia potevano fare ancora qualcosa e se in quella giornata d’inverno aveva deciso di andare in cerca d’erba, era perché la giornata abbagliava di sole, e il sole gli piaceva come il vino.
A primavera aveva da seminare nell’orto, d’estate rastrellava il fieno, d’autunno vendemmiava anche lui, i suoi lavori erano tra quelli che poteva fare un ragazzetto o una donna. Sempre era presente ai lavori più pesanti e sempre era presente il suo sguardo acuto a vedere là dove ragazzi o donne o uomini non avevano veduto per indicare un mannello di spighe dimenticato sul campo o un grappolo d’uva lasciato nascosto tra le foglie, o un pezzo di pane caduto per terra dalla tasca di un nipote.

Preparata la pipa, prese il suo cesto e andò verso il campo, tutti lo avevano riguardato per un attimo e tutti avevano avuto lo stesso pensiero felice: «Nostro padre è ancora in gamba».
Egli evitò il barbaglio del sole perché non gli riesciva distinguere dove fosse l’erba che ricercava, e nel rivoltarsi ebbe come una lieve vertigine che lo fece barcollare e il cesto gli cadde, e lui vi cadde sopra.
Il figlio maggiore che stava assestando una vite lo vide e si precipitò di corsa, gli altri che erano attorno alla casa, dal suo modo di accorrere, pensarono subito che al padre era toccato qualcosa e si precipitarono anch’essi verso il campo, le donne gridarono. Furono tutti attorno al padre e lo avevano risollevato. Ma egli li mandò tutti via: che ritornassero ai loro lavori, non aveva bisogno di loro. Stava meglio di loro, riprese il suo cesto, lo lasciarono andare, riaccese la sua pipa, si sentiva ancora appena stordito, ma era felice perché pregustava cosi l’ebbrezza del vino che il giorno dopo avrebbe bevuto coi suoi vecchi compagni all’osteria. Il giorno dopo si accertò che sarebbe stato domenica e ne fu ancora felice.
Giovanni Comisso

da il Corriere della Sera del 13/02/1944

Tutte le immagini: © Redazione Cultura

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