"I folgorati" di Susanna Bissoli, la scrittura che unisce padre e figlia. Recensione e intervista

“I folgorati” di Susanna Bissoli, la scrittura che unisce padre e figlia. Recensione e intervista

Quello di Susanna Bissoli non è un esordio. L’autrice veronese ha già pubblicato due opere con Terre di Mezzo, si tratta di “Caterina sulla soglia” (2009) e” Le parole che cambiano tutto” (2011). È però vero che pubblicare con Einaudi, soprattutto dopo un silenzio di una decina d’anni, non può non avere il sapore di un debutto in società. A quanto mi è parso di capire osservando la bolla social dei lettori e degli scrittori, il romanzo di Susanna Bissoli dal titolo “I folgorati” ha avuto un ottimo successo di pubblico e di critica e io sono fermamente convinto che questo successo sia meritato.

Il romanzo parte con un inganno. Capiamo fin dalle prime pagine che la protagonista ha un tumore. Nel caso specifico una recidiva di un tumore che aveva già combattuto. Non si tratta di uno spoiler, la cosa è ben chiara e non va a rovinare il piacere della lettura. Un tumore che sembra un’eredità di famiglia, una tara genetica passata di madre in figlia. Ma l’inganno di cui parlavo sta nel fatto che una presentazione così immediata del dramma potrebbe far pensare che il libro sia costruito sul dolore fisico, anzi, sulla pornografia del dolore e che leggerlo diventi un percorso faticoso da sudarsi pagina dopo pagina. D’altronde questo è un modo molto di moda per trattare l’argomento. E invece niente è più lontano dalla realtà. La cosa che più ho apprezzato de “I folgorati” è stato l’approccio leggero ma mai banale con cui Susanna Bissoli è riuscita a trattare argomenti così forti. Non c’è infatti solo il tema della malattia, ma anche quello della relazione tra padre e figlia, quello degli amori finiti e anche quello della memoria. Vado per ordine.

Vera è la protagonista principale di questo romanzo. È una giovane donna alle prese, per la seconda volta, con un tumore, ma l’autrice non la identifica solo con la malattia. Vera è molto di più, è una scrittrice. Ha scritto un romanzo di buon successo ma ora è bloccata, forse perché il secondo libro è sempre il più difficile oppure più semplicemente perché la situazione in cui si trova sta assorbendo tutte le sue energie creative. È impossibile raccontare una storia quando la tua storia è in un punto oscuro.

Il compagno ha una crisi di panico durante uno dei controlli a cui Vera deve sottoporsi e a quel punto lei capisce che anche se lo ama non può contare su di lui in un momento così complesso. Decide quindi di ritornare a vivere con Zeno, il padre.

Zeno è un uomo pragmatico, un uomo che ha però dovuto seppellire la moglie e che ora si trova a far fronte allo stesso spettro che ha già decimato la sua famiglia. Vede nella figlia i lineamenti della moglie, osserva le minime variazioni per comprendere se anche nel caso di Vera il destino sia segnato.

Tra Vera e Zeno c’è sì la distanza generazionale, ma grazie a un punto in comune i due riescono ad avvicinarsi. Vera infatti scopre che all’insaputa di tutti il padre sta scrivendo una storia, un vero e proprio romanzo che è finito dentro a decine e decine di quaderni e che finalmente si è deciso a portare alla luce. Zeno incarica Vera di battere al computer il suo romanzo dietro compenso e Vera si trova ad avvicinarsi sempre di più a quell’uomo che probabilmente la capisce molto di più di quanto lei immaginasse.

A margine della storia abbiamo la sorella Nora e la di lei figlia Alice. Una ragazzina sveglia che ha un rapporto molto stretto con Vera che oltre ad aver dovuto affrontare la separazione dei genitori ha visto spegnarsi la nonna e ora vede la zia combattere contro la stessa malattia.

I temi affrontati da “I folgorati” sono temi che hanno a che fare con l’abbandono e la perdita degli affetti e con la necessità di ritrovare l’equilibrio degli stessi e riempire il vuoto. Vera è indubbiamente una scrittrice alle prese con un blocco creativo, vuoi per la malattia, vuoi per la pesantezza che si respira all’interno della sua famiglia: la madre morta, il padre solo, la sorella separata. Sarà poi il padre, raccontandole una vecchia storia di paese a darle la spinta per ricominciare a scrivere e la vita di Vera migliorerà sotto tutti i punti di vista quando lei si troverà libera di compiere alcune scelte e di trovare uno spazio tutto per sé.

Ma c’è altro in questo libro, in particolare c’è qualcosa che ha a che fare con la figura di Zeno, un uomo anziano che sente di non aver più molto tempo da passare con la famiglia. Scrivere per lui significa lasciare un segno del suo passaggio a tutti i familiari, ecco perché insiste con Vera per farsi trascrivere il romanzo, ha una necessità che nasce da dentro, che pulsa. Quindi Susanna Bissoli ci mette di fronte al tema della memoria, del ricordo e lo tratta con una voce personale, delicata e piena di empatia.

“– Quel coso lí, è difficile da usare?
Sta guardando il mio computer aperto sul tavolo.
Vuoi provare?
Non saprei.
Insisto. Lui alza le sopracciglia.
Dame ’na man, par piasér, – dice, facendo vibrare la mascella.
Gli allungo il braccio buono per aiutarlo ad alzarsi dal letto (Oh, issa!) e poi lo guardo sistemarsi la maglietta e appoggiare le mani sul tavolo per calarsi a sedere davanti al mio portatile.”

Una altra caratteristica interessante del romanzo di Susanna Bissoli ha a che fare con l’utilizzo dei dialoghi che non sono mai fini a sé stessi, ma che contribuiscono a portare informazioni e a far progredire la storia. A volte, come nel dialogo qui sopra si tratta di caratterizzare un personaggio, ma contemporaneamente, di presentare uno spunto narrativo che in futuro verrà ampliato e occuperà buona parte della trama. In generale i dialoghi de “I folgorati” suonano sempre naturali e mai forzati per cui a lettura scivola via con piacere.

Ho apprezzato molto il romanzo di Susanna Bissoli per la capacità di raccontate una storia che comunque parla di malattia, di abbandono e della ricerca del proprio spazio nel mondo con toni leggeri; il che non significa che l’autrice sia stata superficiale, tutt’altro, ha solo, per modo di dire, trovato chiave per raccontare che non fosse necessariamente cupa, ma che lasciasse intravedere la speranza anche quando le cose vanno male.

Foto di Vlada Karpovich

L’intervista

[Gianluigi Bodi]: Dall’ultimo libro uscito con Terre di Mezzo e “I folgorati” appena uscito con Einaudi sono passati quasi 13 anni. Cosa è successo alla tua scrittura in questi anni? Hai continuato a scrivere, a lavorare per affinare la tua voce?

Susanna Bissoli

[Susanna Bissoli]: Non ho mai smesso di scrivere – racconti, testi teatrali. Mi sono occupata molto di scrittura di altre donne: conduco collaboratori di narrazione orale in cerchio, soprattutto in ambito interculturale e ho trascritto parecchi racconti, insieme alle donne che me li hanno fatti. Mi sono anche ammalata di nuovo, ho affrontato terapie pesanti e diversi interventi che per qualche anno mi hanno tenuta un po’ troppo schiacciata un po’ su me stessa. Di quegli anni lì è un tentativo romanzesco su un personaggio della bassa veronese, questa pseudo-santa che torna fuori con una funzione precisa anche nei Folgorati. Questa storia è stata un’ossessione paralizzante. Ne ho scritto due versioni, con diverse narratrici, ma non mi soddisfacevano e molto a malincuore ho abbandonato il progetto, senza mai farne leggere una riga a nessuno. Poi, con l’aiuto di due amiche – una regista teatrale e drammaturga bravissima, Letizia Quintavalla, e un’attrice altrettanto brava, Rosanna Sfragara- è diventato uno spettacolo teatrale. In scena eravamo in tre: io Rosanna e Iuna, una bambina di 10 anni. Sono andata in fondo a questa storia così, l’ho scritta e l’ho interpretata, è stata un’esperienza bellissima. Riguardo la scrittura ogni tanto qualcuno del mondo editoriale mi chiedeva se avessi qualcosa di pronto o in lavorazione e io dicevo sempre no, no. Finché non ho visto che stavo mettendo insieme del materiale buono con dentro una storia e a quel punto ho scritto ad Angela Rastelli e le ho detto adesso sì, ho qualcosa e lei è stata molto felice di leggere. E quella roba lì è diventata I Folgorati.

Come credi che la tua passione per il teatro e il lavoro con i laboratori di narrazione interculturale abbia influenzato la tua scrittura?

Il teatro mi ha influenzata tantissimo: ho cominciato a scrivere a 19 anni in un laboratorio di drammaturgia, facevo una scuola di teatro a Bologna, e ho scoperto che mi piaceva scrivere dialoghi e che mi venivano bene. Da allora la mia scrittura è sempre stata orientata dal dialogo. Anche scrivere per scene (nel senso: una situazione e due o più persone che parlano tra loro) mi viene da lì. Nella drammaturgia classica c’era chi scriveva il soggetto, chi la scaletta e chi i dialoghi: io sarei stata sicuramente una dialoghista.
Per quanto riguarda i cerchi di narrazione orale, mi hanno dato un allenamento a lavorare per risonanze. Nei laboratori di narrazione la regola è che a racconto si risponde con racconto, mai con commenti o giudizi, quindi sono abituata a fare e ad ascoltare storie che nascono inaspettatamente da altre storie. E nei reading a fare delle piccole drammaturgie mettendo vicine storie che risuonano tra loro. La narrazione interculturale ti insegna che la realtà è complessa, ne hai un’idea grazie a questa moltiplicazione di punti di vista – anche molto diversi- che vengono da persone in ascolto profondo tra loro. Il risultato è di una bellezza organica, pulsante, paratattica. I cerchi di narrazione interculturale sono per certi versi un laboratorio di progettazione sociale. Mi hanno insegnato un modo di stare al mondo, oltre che darmi una direzione poetica.

Qual è stato l’aspetto più difficile da gestire nella scrittura de “I folgorati”? In particolar modo ti chiederei che tipo di lavoro hai fatto sui dialoghi che ho trovato costruiti molto bene.

La cosa più difficile per questo romanzo è stato fare emergere la storia dalla quantità di materiale eterogeneo che avevo accumulato sulla malattia, la narrazione, la morte, i fatti di cronaca, gli aneddoti familiari. A un certo punto ho visto che il peso preponderante ce l’avevano i pezzi sul rapporto tra me e mio padre in una certa fase della vita (pezzi di dialoghi, racconti) e che questa poteva essere la storia: dovutamente trasformata poteva diventare il magnete che teneva insieme tutti i pezzi.
Riguardo la costruzione dei dialoghi penso di avere già risposto: sono la cosa che mi viene più naturale, parto da quelli. Un’altra difficoltà (ma non troppo grande) è stata la gestione del dialetto. Il personaggio del padre, Zeno Benin, non poteva non parlare dialetto. Per usarlo senza traduzioni ho dovuto usare degli accorgimenti: per le espressioni e termini che potevano presentare più difficoltà di comprensione ho scelto l’alternativa più vicina all’italiano oppure ho fatto in modo che il loro significato si capisse dal contesto.

Credo che il lavoro di uno scrittore o di una scrittrice sia anche quello di saper cosa rubare con maestria ai giganti della letteratura. Quali sono gli autori e le autrici che per te sono la più grande fonte di ispirazione?

Come dicevo ho cominciato a scrivere con il teatro quindi all’inizio sono stata molto influenzata da Pinter e da Beckett in particolare. Poi all’università ho avuto la fortuna di avere come insegnante Guido Fink che teneva dei bellissimi corsi di letteratura ebraico-americana, e lì mi ero innamorata di Saul Bellow ma soprattutto di Grace Paley la cui scrittura si nutre molto dell’oralità degli incontri quotidiani. Natalia Ginzurg. Paolo Nori. Alice Munro. Gogol, Čhecov, Tolstoj, Dostoevskij. E la grandissima Svetlana Aleksievič che, orchestrando le voci dei testimoni (e sparendo come orchestratrice), con i suoi romanzi-reportage racconta in modo struggente, sublime eventi e passaggi dell’Unione Sovietica e della Russia della seconda metà del XX secolo. Di Preghiera per Černobyl penso di avere regalato almeno una decina di copie.

"I folgorati" di Susanna Bissoli

“I folgorati” di Susanna Bissoli
Editore: Einaudi (16 gennaio 2024)
Copertina rigida: 192 pagine
ISBN-10: 8806255827
ISBN-13: 978-8806255824
Peso articolo: 340 g
Dimensioni: 14.6 x 2.2 x 22.4 cm

Susanna Bissoli (Verona 1965) ha studiato lingue, mediazione culturale e didattica dell’italiano per stranieri. È autrice della raccolta di racconti Caterina sulla soglia (2009) e del romanzo Le parole che cambiano tutto (2011), entrambi pubblicati da Terre di Mezzo. Appassionata di teatro, da circa vent’anni conduce laboratori di narrazione interculturale, specialmente con gruppi di donne. Per Einaudi ha pubblicato I folgorati (2024)

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