Nel suo libro autobiografico “Le mie stagioni” Giovanni Comisso parla a lungo di Guido Keller, “segretario d’azione” di D’Annunzio nell’avventura fiumana, con il quale strinse un forte sodalizio:
“La mia amicizia con Keller si faceva sempre più profonda. Lo riconoscevo superiore a me e capace di imprimermi un nuovo senso della vita. Moltissima mia infantilità e moltissima mia tendenza borghese nella mia giornaliera vicinanza a quest’uomo audacissimo, si staccarono definitivamente da me”.
Keller è una figura d’eccezione, pilota della squadriglia Baracca, poeta futurista, collaboratore di D’Annunzio nella marcia di Ronchi, “Segretario d’azione” del Comandante a Fiume e ideatore della compagnia “La Disperata”, composta da giovanissimi volontari accorsi per spirito d’avventura nella “Città di Vita”.
Nella squadriglia di Francesco Baracca si era già fatto notare per le sue stravaganze. Entusiasta seguace delle teorie naturaliste, era solito prendere il sole nudo ai bordi del campo d’aviazione di Quinto, nel trevigiano, o sui prati della campagna circostante. Si divertiva a spaventare le giovani contadine e a suscitare le proteste del parroco. Non tutte si scandalizzavano: nel 1938, nel ventennale della Vittoria, Comisso cercherà in quelle campagne le tracce di una figlia che, secondo una diffusa diceria, Keller avrebbe avuto da una giovane contadina. Gli sembrerà di averla trovata scrutando il volto di una giovane ventenne, dagli “occhi ardenti, come quelli di Guido”!
A Fiume Keller vive la stagione più intensa della sua vita; dalla quale non riuscirà più a staccarsi, anche quando i tempi diverranno del tutto diversi e il “ritorno all’ordine” sarà dominante in un’Italia stanca di troppi sommovimenti.
Fiume era un luogo unico, eccezionale: la “Città di Vita” ideata da D’Annunzio che vi voleva realizzare le utopie e i sogni di poeti e filosofi.
Vi accorrevano le persone più diverse; ex combattenti che non volevano smobilitare, in particolare arditi e aviatori, come la medaglia d’oro Giannino Ancillotto, originario di San Donà.
Vi erano pure molti giovani in fuga dalla noia delle famiglie piccolo-borghesi, desiderosi di avventure; idealisti di ogni specie (anarchici, repubblicani, “comunisti”, protofascisti, ecc.), e avventurieri pronti a pescare nel torbido.
Una miscela confusa, nella quale si agitavano tutte le idee di quel caotico dopoguerra che aveva visto crollare il vecchio mondo (l’impero asburgico, tedesco, zarista, ottomano), sulle cui rovine sembrava si dovesse ricostruire una nuova civiltà e che tutto fosse possibile.
Keller si trova perfettamente a suo agio in questa atmosfera febbrile. Vi partecipa attivamente, mettendo il risalto tutta la sua vitalità e le capacità istrioniche di cui era ampiamente dotato.
Si lega al gruppo più radicale dei volontari fiumani, in particolare a Giovanni Comisso, al letterato belga di origine russa Leone Kochnitzky, e allo scrittore statunitense Henry Furst.
Costoro dirigevano le “Relazioni Esterne” (ministero degli esteri) di Fiume e cercavano di far svolgere alla città, su suggerimento di Kochnitzky, un ruolo politico internazionale: riunire intorno ad essa tutte le piccole nazionalità oppresse, per contrapporle alla Società delle Nazioni, dominata dai “plutocratici” paesi anglosassoni, Inghilterra e Stati Uniti.
Prendono contatti con gruppi di nazionalisti irlandesi, egiziani, indiani, decisi a combatter contro l’imperialismo britannico. Forniscono armi ai ribelli croati, montenegrini e albanesi, in funzione antiserba, per distruggere il neonato stato jugoslavo, creato a Versailles.
C’è una certa attenzione anche verso la Russia bolscevica, vista come una nazione giovane, barbarica, da contrapporre alla borghese e decadente Europa, corrotta dal “materialismo” e dalla “massificazione” provocata dall’industrializzazione.
Nel luglio 1920 D’Annunzio, preoccupato per il suo radicalismo, licenzia Kochnitzsky che abbandona la città.
Keller si ritira in “volontario esilio” a Cosalla, sui monti che attorniano Fiume; lo seguono Comisso e Henry Furst. Si cibano di frutta, di petali di rosa intinti nel miele, di latte e formaggio di capra. Prendono il sole e si tuffano nudi dalle rocce che sovrastano il mare. Sono i paesaggi e le atmosfere che Comisso narrerà nel suo aereo libriccino di ricordi fiumani, “Il Porto dell’amore”, pubblicato nel 1924 a Treviso, “Stamperia di Antonio Vianello”.
Nel novembre 1920, ad avventura fiumana ormai quasi finita, Keller e Comisso decidono di pubblicare una rivista settimanale, per diffondere le loro idee politiche.
Rifacendosi a un vago misticismo indiano, allora di moda, la chiamano “Yoga”, con il sottotitolo “Unione di spiriti liberi tendenti alla perfezione”; alla sinistra della testata è raffigurata una svastica, l’ “antico simbolo ariano del sole”.
Ne usciranno quattro numeri: il 13, 20, 27 novembre e il 4 dicembre 1920.
Le idee programmatiche della rivista sono esposte in due articoli, “Prolegomeni” e “Prospettive Italiche”, privi di firma, come tutti gli articoli. In breve: il “Genio della razza italica”, aristocratico, individualista, è stato pervertito dalle idee democratiche e borghesi delle “razze negative”, inglesi, francesi e soprattutto ebree, che si sono infiltrate in Italia per mezzo della borghesia ottocentesca. Costoro, con il pretesto di introdurre i pricipi di democrazia e uguaglianza “copiate” dalla rivoluzione francese e dal positivismo “materialista”, hanno creato con la grande industria una massa di schiavi.
E’ necessario tornare alle autentiche tradizioni dello “spirito italico”, compiutamente espresso nel Rinascimento, e basate sul Principe, l’artigianato e sul “binomio perfetto di terra e mare”.
La maggioranza del popolo italiano deve dedicarsi all’agricoltura, alla pesca e ai commerci, liberando “dalla schiavitù delle industrie parassitarie lo stuolo degli operai”.
In “Yoga” vi sono anche articoli di carattere letterario e artistico, a cura di Comisso, spirati alla metafisica di Giorgio De Chirico e di suo fratello Alberto Savinio. In particolare, il saggio Anadioménon di Savinio, ripreso dalla rivista romana “Valori Plastici”, e una prosa di Filippo De Pisis, amico di Comisso, Asilo Infantile istraelitico.
In occasione della firma del Trattato di Rapallo (12-12-1920) che sancisce un compromesso tra il governo italiano e quello jugoslavo su Fiume e la Dalmazia, Keller vola su Roma e getta un vaso da notte sul Parlamento.
L’episodio ebbe un’eco vastissima sututta la stampa nazionale e suscitò scandalo nella stessa Fiume, dove i moderati, che stavano avendo il sopravvento, cominciarono ad emarginarlo, definendolo un “pazzoide”.
Solo “Yoga” lo difende, con un articolo intitolato significativamente “Montecagorio”!
Con la fine dell’avventura fiumana ha inizio la decadenza di Keller. Ancora per qualche anno, nel clima confuso del dopoguerra, potrà fare l’”aviatore di ventura”, ma il suo destino è ormai segnato.
Nel luglio 1921 partecipa alla spedizione punitiva che gli squadristi veneti e ferraresi compiono contro Treviso, occupando per più giorni la città.
A Keller sembra di rivivere il clima di eccitazione e di euforia provato a Fiume. Ricorda Comisso: “I vecchi arditi di Fiume subito ci riconobbero e si misero al nostro fianco intonando le nostre canzoni, qualcuno che era stato ferito si toglieva le bende per mostrare a Keller il suo sangue. Keller sembrava felice come a Fiume”.
Sempre alla ricerca di nuove emozioni, troviamo Keller in Turchia e poi a Berlino, nel clima eccitato della repubblica di Weimar.
Partecipa alla marcia su Roma con le colonne degli squadristi pugliesi.
Nel 1923 rientra nell’aviazione militare e viene mandato in Libia, a combattere gli arabi insorti. Si esibisce nelle sue stravaganze: vola avvolto in un barracano e allestisce un’alcova in puro stile dannunziano, dove invita le mogli dei maggiorenti della colonia.
Viene congedato anzi tempo! Nel 1925 lo troviamo in Sud America: Venezuela, Brasile, Perù, Argentina. Si lascia invischiare in ambigue trame politiche che costringono l’ambasciata italiana di Buenos Aires a farlo rimpatriare a sue spese.
Keller si rifugia ad Ostia, dove sopravvive a sé stesso, recitando tristemente nelle osterie il suo personaggio, ormai fuori tempo.
Il 9 novembre 1929 muore, a trentacinque anni, in un banale incidente automobilistico, nei pressi di Roma.
Comisso commenta la sua morte con brutale realismo “Lottò strenuamente per reggersi, logorandosi nelle sue qualità migliori. La morte fu per lui una liberazione”.
Per volontà di D’Annunzio, la camera ardente venne allestita al Vittoriale, all’interno della nave Puglia e i suoi resti inumati in un’arca romana nel viale degli Ulivi, sempre al Vittoriale
Per scaricare il pdf dell’intero saggio Guido Keller, l’amico fiumano di Comisso clicca qui.