[… Parte 1]
Con la definitiva vittoria dell’Italia contro l’Austria, la Grande Strada delle Dolomiti passò sotto la cura degli enti italiani, che, riconosciuta la sua importanza turistica, la resero sempre più adatta all’accrescimento del traffico automobilistico. Furono migliorate le curve, attenuate le pendenze, la sede stradale fu allargata, protetta dalle frane e in fine interamente asfaltata.
Ora, a cinquant’anni dal compimento di questo capolavoro turistico, sembra che la vita storica della Grande Strada delle Dolomiti abbia raggiunto il suo punto estremo e non vi sia altro da dire, ma non è così. Oggi, a cinquant’anni dagli spari delle mine che aprendo la galleria di Pocol congiungevano Trento e Bolzano a Cortina, siamo ancora ai primi passi della valorizzazione turistica di questa strada. Si pensi cosa fa l’Austria per la strada del Gross Glockner: non vi è americano o asiatico che venga in Europa senza che vada a vederla, e quanti partono espressamente da assai lontano per l’orgogliosa soddisfazione di attraversare quella strada ardua ed esaltativa, ma non di più della Grande Strada delle Dolomiti. Si pensi cosa ha fatto la Svizzera per lanciare la sua Engadina, sfruttando Nietzsche e Segantini, sebbene questa valle, in quanto a quella che si può chiamare personalità delle montagne, sta nel raffronto con quella delle Dolomiti, come la piramide di Caio Cestio sta con quella di Cheope.
La Grande Strada delle Dolomiti appartenendo in tre zone a provincie diverse, quella di Bolzano, di Trento e di Belluno, soggiace a tre propagande turistiche indipendenti e non sempre convergenti, invece di essere strette in un patto unitario, che non verrebbe mai a favorire una provincia a danno delle altre. Oggi le ali del turismo sono formate dalle automobili e non si può pretendere che un turista stia fermo per l’ntera stagione estiva in un dato albergo di un dato paese di una data valle e non pensi di allontanarsi neanche per ventiquattro ore. Tutti gli alberghi e tutti i paesi di tutte le valli avranno il massimo vantaggio quanto più sarà favorita la circolazione automobilistica e quanto più sarà fatta la propaganda turistica con un senso accentratore generale per tutto il complesso del tema di attrazione. La Grande Strada delle Dolomiti dovrebbe idealmente unificare le tre provincie come le raccorda materialmente. Il tema ideale qui è offerto dalle Dolomiti, come altrove può essere il Lago di Garda, la Riviera Ligure, il Golfo di Napoli e via dicendo. Il nostro turismo vive ancora in un regime di antagonismo medioevale tra una valle e l’altra, proprio come tra un castello e l’altro e così intristisce e limita il suo scopo.
Qui poi avviene che diventa difficile andare tra le Dolomiti d’inverno se non si riesce a sapere con certezza quali passi siano aperti prima di arrivare all’inizio del passo stesso. Tempo addietro chiesta l’informazione in una città dell’Italia settentrionale, risultò che il Passo del Falzarego era chiuso, mentre questo non avviene da anni. Cercato un libro per leggervi qualche informazione sulle Dolomiti, vi si trovò una descrizione estiva con pascoli fioriti, dimenticando completamente che la stagione invernale è la più lunga e la più genuina per queste montagne. È quindi davvero consigliabile rivolgersi a Enti turistici qualificati, in grado di dare informazioni esatte e aggiornate, quali il Touring Club Italiano, o, per le strade dolomitiche in particolare, agli Enti Provinciali per il Turismo di Trento, Bolzano e Belluno.
E tanto per mettere le cose in chiaro incominciando dal nome, che riassume tutte queste montagne pallide e rosate, si deve sapere che deriva da un geologo: Gratet de Dolomieu, nato in un villaggio del Delfinato, vissuto nella seconda metà del Settecento, che fattosi mandare alcuni campioni di questa roccia, ne stabilì la composizione classificandola col suo nome: dolomia o dolomite.
Bisogna convenire, rivedendo la storia della Grande Strada delle Dolomiti, che all’origine vi fu una certa parte di quella sublime follia che sempre spinge gli uomini all’azione, qualcosa di quel demone socratico che al sommo filosofo determinava le idee. Ammesso pure che una grande spinta a costruire questa strada fossero stati gli scopi strategici, si può constatare che come sempre gli uomini decidono di fare un’impresa per uno scopo, ma poi il risultato reale appare completamente opposto. Vi era della follia nel pensare di fare una strada con una spesa non indifferente, superando tre valichi tra i 1700 e i 2200 metri, per usufruirne soltanto quattro mesi all’anno. Esiste sempre qualcosa di imponderabile nelle imprese degli uomini e la saggezza fiorisce nel dare consistenza a quell’imponderabile.
È necessario stabilire se tra gli italiani esiste il gusto per la montagna invernale e se non esiste bisogna crearlo. La vera bellezza delle montagne, e particolarmente delle Dolomiti, si rivela durante l’inverno, perchè la neve ricrea il rapporto tra la roccia e il mare che stava alle origini e che era ed è la sola condizione di esistenza di questi mausolei pallidi e rosati. Il solo breve e fugace sfruttamento estivo ci porta a vedere queste montagne come immani scheletri della preistoria rimasti in secca. Percorrere la Grande Strada delle Dolomiti durante i mesi invernali tra l’ampio mareggiare della neve che fa emergere i vari gruppi nettamente nelle loro masse di composizione e nei loro colori, è come un navigare lungo le isole di Ponza o di Capri. Da quello che tocca di osservare sul posto ci si convince che gli italiani formano piuttosto un pubblico di convalescenti che si ferma alla prima altitudine facilmente abbordabile, per sdraiarsi al sole illudendosi di risanare dal peso degli anni e di perdere il veleno, mutando la pelle come le biscie. Invece al Passo del Falzarego tra il grande sole e lo squallore degli alberghi chiusi, si vide una corriera di stranieri che aveva già superato il Passo di Costalunga e quello del Pordoi. Subito quei turisti, davanti allo scenario della Marmolada e delle Tofane, si misero quasi in ginocchio in un continuo scattare dell’obiettivo delle loro macchine fotografiche, come i devoti che non cessano di genuflettersi e di segnarsi davanti alle immagini sacre che furono meta del loro pellegrinaggio.
Chiedere a Cortina d’Ampezzo se vi è una corriera che porti a Bolzano per la Grande Strada delle Dolomiti durante il periodo invernale fa sorgere il sorriso. Così ci si accorge che il turismo verso queste montagne ha ancora il presupposto dei raccontini sentimentali della metà dell’Ottocento, che fanno credere che sulla neve si tremi per il freddo. Per alcuni metri di neve che possono cadere in una notte vi sono oggi mezzi così rapidi e radicali che possono subito rendere di nuovo utile la strada. Indubbiamente il traffico invernale per questa strada non può essere garantito con sicurezza alle macchine guidate privatamente; qui è come per le navi nei porti infidi, occorre il pilota o per lo meno che il servizio venga fatto con automezzi pubblici. Certo, vedere tra il volo soffice delle cornacchie, nel saettante sole che inazzurriva le alte pareti di neve ai lati della strada, alle ultime rampe del Pordoi, mentre già si profilavano le muraglie incastellate del Sella e quelle del Sasso Lungo, parte al sole e parte in ombra, teatrali e sbalorditive, certo fu profetico vedere una macchina americana, scoperta, scendere lietamente coi turisti in maniche di camicia, antesignani di un sistema che già avrebbe dovuto essere normale.
Assolutamente l’imponderabile che ha determinato la costruzione di questa Grande Strada delle Dolomiti, l’idea folle e demoniaca che ha spinto quei tecnici della seconda metà dell’Ottocento a iniziare una strada con tre valichi che l’avrebbero spezzettata per otto mesi all’anno, era, a loro stessa insaputa, che questa strada doveva servire a un turismo invernale, con progressivo sviluppo dei mezzi per renderla libera dalla neve, così da portare gli uomini alla contemplazione delle Dolomiti nel loro massimo splendore.
Ed è sperabile che, superato col cinquantenario dalla fine dei lavori, uno stato di minorità, questa strada raggiunga la sua utilizzazione maggiore con la transitabilità anche d’inverno, eliminando ogni pericolo, assicurando ogni conforto, e col sommo dono di poter godere dei paesaggi lunari fatti terreni.
Giovanni Comisso
Pubblicato sul n. 4 della rivista Le Vie d’Italia dell’aprile 1959 con il titolo “La Grande Strada delle Dolomiti”.
Immagine in evidenza: “Panorama von der Dreizinnenhütte mit Paternkofel, Paternsattel & Drei Zinnen” – foto di Friedrich-Karl Mohr (Wikipedia).
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