Nelle carte automobilistiche del Touring (fogli 2 e 3 al 200.000) è segnata una Strada Statale che porta il N. 48 e la denominazione “delle Dolomiti”. È una strada montana che partendo da Ora, nella Valle dell’Adige, pressappoco a mezza via fra Trento e Bolzano, scavalca il Passo di San Lugano per risalire poi la Valle dell’Avisio che da Cavalese a Predazzo si chiama Val di Fiemme e poi, fino alla testata, Val di Fassa. La strada supera quindi il Passo Pordoi, attraversa la testata della Valle del Cordevole toccando Arabba e Pieve di Livinallongo, indi scavalca il Passo di Falzarego, percorre la conca solatia di Cortina d’Ampezzo e per il Passo Tre Croci e Misurina scende ad Auronzo e a Cima Gogna nella Valle del Piave.
Questa è la strada delle Dolomiti ufficiale; turisticamente (così è indicata nella guida del Touring ”Venezia Tridentina”) per Grande Strada delle Dolomiti s’intende il percorso che da Bolzano risalendo la Val d’Ega e passando accanto al Lago di Carezza, scavalca il Passo di Costalunga, scende nella Valle di Fassa e a Vigo di Fassa ove si immette nella Statale N. 48 indicata sopra, che per i Passi Pordoi e di Falzarego giunge a Cortina d’Ampezzo. Questa è la strada di cui si celebra quest’anno il cinquantenario.
Da questa grande via di comunicazione turistica si diramano numerose altre strade che si internano nel fantastico mondo delle Dolomiti, che offrono nel loro insieme i più grandiosi e pittoreschi spettacoli della catena alpina. È come un percorso attraverso sale di un’esposizione che contengono i capolavori di scultura del Creatore.
La storia della Grande Strada delle Dolomiti è questa: nella seconda metà del secolo scorso, mentre le linee ferroviarie venivano sempre più ad accerchiare l’arcipelago delle Dolomiti, e la rete stradale tracciata da secoli protendeva i suoi tentacoli sempre più dentro nelle valli facilmente abbordabili, si determinava un’ansia naturale a superare anche i maggiori ostacoli formati dai valichi, oltre i duemila metri, così da raccordare valli isolate per accrescervi, con più facile comunicazione, le possibilità di vita.
I pionieri sono stati di certo i pastori che alla fine delia primavera risalivano col loro gregge dal fondo delle valli verso i pascoli sempre più alti seguendo il progressivo rifiorire. Così furono segnati i primi sentieri verso i valichi di Costalunga, Pordoi e di Falzarego, e quei sentieri con gli anni divennero viottoli e mulattiere.
Ai pastori si accodarono subito quegli innamorati delle montagne, quasi fanatici, che, solitari o con compagni, impiegavano la loro libertà estiva fuori dalle città risalendo a piedi in cerca di sempre nuove terre di nessuno, dominate da queste araldiche montagne che li incantavano misteriosamente. Appartenevano a quelle avanguardie di fisici e di poeti che hanno sempre preceduto le espansioni dei popoli fino dal tempo degli Etruschi e degli Egei, erano quegli esploratori che all’apparizione dei nuovi orizzonti segnavano il percorso delle strade future e indicavano con le sorgenti e con la feracità della terra le ubicazioni dei nuovi centri abitabili.
Nella seconda metà del secolo scorso questi esploratori anonimi avevano come loro emblemi l’alpenstock, il sacco da montagna, il binoccolo, le scarpe chiodate e un’aureola di grande brama di assoluto che si tramutava, al ritorno, in descrizioni leggendarie. Furono essi che, concordemente all’utile necessità di coordinare le valli isolate, crearono la prima fama della bellezza di queste montagne che fino allora erano state come sospese nei loro cieli. Nel 1860 si incominciò a studiare tecnicamente di rendere più transitabile la strada nella Val d’Ega, da Cardano a Nova Levante (chilometri 17,5), allargandola a uso delle carrozze, e fu nell’esecuzione un lavoro lungo e costosissimo, perchè tutto eseguito a colpi di mine nel duro basalto e con continui rafforzamenti murari. Costò 240 mila corone austriache. Nel 1895 venne aperto il tronco da Nova Levante a Vigo di Fassa superando il valico di Costalunga (1753 m) e nello stesso anno il Governo austriaco progettò decisamente la strada da Moena a Canazei fino ad Arabba, con un preventivo di spesa per due milioni di corone.
Però l’esecuzione subì molto ritardo per la difficoltà di superare il Passo Pordoi (2239 m). Pertanto, come in una specie di assedio si era riusciti ad aggirare le posizioni e nel 1900 avveniva il collegamento di Corvara, in Val Badia, attraverso il Passo di Campolongo (1875 m) con Arabba, al principio della Valle del Cordevole. Nel 1902 questa strada prosegue fino a Pieve di Livinallongo, due anni dopo si riesce finalmente a superare il Pordoi, tutte le posizioni più ardue vengono superate e nel 1906 si arriva al Falzarego (2105 m). Infine, il primo di luglio del 1909, il lungo e sinuoso serpente riesce a portare da Bolzano le sue fauci ansimanti nella conca di Cortina, dopo 109 chilometri, avendo impiegato oltre una decina d’anni.
Bisogna considerare che la lentezza dei lavori dipendeva dalla scarsa possibilità annuale di impiegare la mano d’opera, specialmente dove le nevi si dileguano solo per quattro mesi. La direzione generale dei lavori era affidata ad Augusto Ritt, direttore dell’Ufficio Tecnico della Luogotenenza di Innsbruck, ai vari tronchi presiedevano ingegneri italiani come Vittorio de Dallago, Alfredo Riecabona, Gualtiero Adami, Enrico Boggio e Nicola Vettori. Gli operai furono anche tutti italiani delle provincie di Treviso, Verona e Vicenza, perchè non era possibile assumerli dalle valli circostanti, dove gli uomini vivevano e vivono di rispettive specializzazioni artigiane. In una valle come quella di Fassa erano tutti pittori decoratori, in un’altra erano calderai e arrotini o falegnami e non si potevano adattare al lavoro duro del piccone. L’Austria fu costretta a servirsi di mano d’opera fatta venire dall’Italia persino per costruire quei forti che avrebbero dovuto sbarrare l’avanzata al nostro esercito.
Le spese preventivate per certi tratti, per la probità di quegli uomini di allora, non furono del tutto raggiunte e i direttori dei lavori ad opera compiuta ne approfittarono per offrire premi agli operai e grandi banchetti. Aperto il transito, si istituirono pedaggi per le carrozze e per le automobili. Un’automobile nel percorso da Vigo di Fassa a Cortina pagava tre corone di pedaggio. Quando la prima automobile passò da Predazzo diretta al Pordoi, il podestà, che era stato preavvisato, affisse un manifesto raccomandando ai valligiani di non intralciare e di tenersi bene ai lati della strada. Nel 1914 funzionava un autobus giornaliero da Bolzano a Cortina per il periodo da giugno a settembre, impiegando dieci ore con sosta per la colazione a Canazei, e la spesa era di 29 corone. Una vettura normale impiegava due giorni sostando la notte a Canazei.
È certo che nell’ideare questa strada il Governo austriaco doveva avere avuto anche un presupposto strategico; sebbene l’Italia fosse alleata, sapeva che in quella zona vi era un conto da regolare tra le due nazioni. Certi accorgimenti nel tracciato, in modo che la strada fosse meno esposta verso il confine italiano, indicano che fu costruita anche in previsione di una guerra. Però a guerra iniziata si dimostrò di scarso valore strategico, e fu, non solo subito spezzata in due con la presa del Col di Lana, ma risultò in quasi tutto il suo percorso spiata e dominata dalla Marmolada che era in mano agli italiani.
È possibile parlare con qualcuno che ha visto nascere questa strada, come la signora Maria de Zulian che abita a Canazei. Questa signora ottantenne, dagli occhi grigi splendenti, asciutta nel volto di una sanezza ancora rosata, subito scatta in piedi con estro giovanile e quasi militaresco, come si entra nella sua stufa, dove sta al caldo a conversare con un nipote. Maria de Zulian aveva venticinque anni quando si iniziarono i lavori per superare il Pordoi ed era appena sposata. Come tutte le donne di queste valli alpine, era intrepida e smaniosa di competere con gli uomini nel lavoro per garantirsi la vita. Lassù sul valico vi era una baracca ed ella ebbe l’idea di prenderla in affitto per farne un luogo di ristoro per gli alpinisti di passaggio durante la stagione estiva. Suo padre si oppose, perchè trovava rischioso che una donna sola e giovane si relegasse tra quei monti, ma ella era decisa e assieme a una sua parente aperse la “Pordoi Joch Hutte“. Era una specie di rifugio con quattro letti e le panche per mangiare di fuori all’aperto. Lo stesso anno in cui iniziò l’esercizio fecero le manovre militari sul Pordoi, e fu un successo per la signora Maria, poi arrivarono gli ingegneri per la strada e fu una insperata fortuna per costoro trovare quella baracca già attrezzata per ospitarli. Maria de Zulian divenne come una vivandiera delle vecchie armate, come una di quelle donne senza paura che dovevano seguire i pionieri americani.
Questa sua prima missione si completò durante la guerra, quando, per i suoi sentimenti e per le sue opere segrete a favore dell’Italia, finì in un campo di concentramento. Ella ricorda tra i primi turisti che sostarono alla sua ”Hutte” il principe Federico di Sassonia, coi due figli, il marito della famosa Luisa.
Un’altra signora, Maria Padovan, di Cortina d’Ampezzo, anch’ella nel caldo della sua stufa, con un fazzoletto cilestrino che le stringe i capelli dando ombra al nero sguardo tizianesco, ricorda il fragoroso scoppio delle ultime mine che dovevano aprire la galleria di Pocol. Queste mine furono fatte scoppiare proprio al momento del “Gloria” nel sabato santo della Pasqua del 1909, ed ella ancora si vela di lagrime agli occhi riprovando remozione di allora.
Sempre per la storia bisogna ricordare il dottor Teodoro Christomannos, un ricco magistrato di Merano, il quale, nel susseguirsi del completamento dei vari tratti della strada, ebbe subito l’idea di provvedere a una organizzazione alberghiera aprendo di sua iniziativa diversi alberghi e rifugi. È stato un precursore di questa industria e seppe chiaramente antivedere che l’importanza conclusiva della Strada delle Dolomiti sarebbe stata di richiamarvi ammiratori da ogni parte del mondo.
[… continua]
Giovanni Comisso
Pubblicato sul n. 4 della rivista “Le Vie d’Italia” dell’aprile 1959 con il titolo “La Grande Strada delle Dolomiti”.
Immagine in evidenza: opera di Karl Kaufmann, 1905 ca., olio su tela, collezione privata (fonte Wikipedia).
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