Durante la guerra ultima mi trovavo nella mia casa di campagna a Zero Branco e la vita dei miei contadini, osservata di continuo, mi diede una triste esperienza umana.
Era morto Tita, il capo di casa, e nella direzione familiare era subentrato uno dei suoi figli. La vedova, che pertanto tempo era stata la padrona, venne subito messa in disparte. Ella seguiva la sorte dell’ape regina che quando avverte la presenza della nuova, lascia l’arnia a sua disposizione.
Prima la vecchia padrona teneva il ricavato dalla vendita delle ova e dei polli per le compere di quanto la campagna non poteva dare, come olio, vestiario, aghi, bottoni e filo. Dopo la morte del marito questa amministrazione interna venne a passare nelle mani della nuova padrona, la quale lesinava perfino il tabacco da fiuto, suo solo sollievo. Avvilita da questo spodestamento se ne stava ritirata nel caldo della stalla a rammendare i vestiti o a fare la calza.
Di questa esperienza feci un racconto: La nuova padrona. Allora ero stato invitato da Ermanno Amicucci, che molto tempo addietro mi aveva avviato al giornalismo, a collaborare al Corriere. Erano tempi duri, non si sapeva chi comandasse l’Italia ridotta in pezzi, se i fascisti o i tedeschi, gli uni e gli altri infierivano sugli inermi con la crudeltĆ piĆ¹ spietata e a essi si aggiungevano gli alleati bombardando e mitragliando. Mi trovavo nel periodo della mia crisi dei sentimenti nell’arte. Ritenevo che particolarmente gli italiani erano giunti a tanta crudeltĆ , perchĆ© l’arte, dopo Verga, era diventata insensibile ai sentimenti. La mia stessa arte li aveva ignorati, per me un essere umano non era dissimile a un albero o a un paesaggio. Avevo scoperto in me questa mia insensibilitĆ e stavo scontandola amaramente. In quel momento che ricevevo l’invito di Amicucci, meditai a lungo e conclusi a questo modo: āLāArtista deve comportarsi in una disfida tra parti avverse, come il medico che ha il dovere di curare un ferito anche se nemico“. Non mi preoccupai se il Corriere fosse diventato un giornale nazifascista, mi preoccupai soltanto di cercare di fare sapere agli esseri umani, diventati pietre, che l’anima ĆØ dentro al nostro corpo. Iniziai allora una serie di articoli tessuti sugli schermi dei sentimenti.
Finita la guerra pubblicai non per giustificare la mia solitudine, ma per meglio spiegarmi questa mia svolta, un volumetto: I sentimenti nell’arte che fu poco avvertito.
Durante la guerra i miei amici partigiani si erano meravigliati scrivessi sul Corriere nazifascista, a loro spiegai il mio scopo e non ebbi alcuna intimidazione. PiĆ¹ tardi mi avvenne di leggere nelle Lezioni di politica sociale di Luigi Einaudi, giĆ da lui tenute in Svizzera durante l’esilio, una nota che si riferiva al racconto La nuova padrona. lo statista che si occupava dell’assicurazione sociale dei vecchi contadini, diceva che per comprendere la situazione di una vecchia contadina, quando veniva a morire il marito, capo di casa, si leggesse il mio racconto che la documentava esattamente, sebbene, purtroppo fosse stato pubblicato sul Corriere nel tempo dell’Italia occupata dal nemico.
Meravigliato lusingato scrissi una lettera a Luigi Einaudi, giĆ diventato presidente della Repubblica, dandogli la spiegazione data ad altri ed egli mi rispose il 7 Febbraio 1954: āEgregio Comisso, mi voglia scusare se ho tardato a rispondere alla sua lettera del 12 gennaio, ma non avevo sott’occhio qui quelle lezioni di politica sociale e me le sono potute procurare soltanto ora. Se mi deciderĆ² di pubblicarle in altra edizione, CancellerĆ² le parole purtroppo āin un numero del tempo dell’Italia occupata dal nemicoā. ma ella non voglia preoccuparsi per ciĆ² e seguiti a scrivere gli articoli che, quando posso, leggo sempre con piacere perchĆ© mi fanno vivere e fantasticare su luoghi e persone che mi sembra cosƬ di conoscere, anche quando non ho mai avuto con essi alcuna familiaritĆ ā.
CosƬ il grande uomo di Stato veniva ad assolvermi in pieno, perĆ² volle aggiungere altre righe argute che mi divertirono assai: āLa sola ragione di dissenso mi pare stia nella punteggiatura che io vorrei un poco meno scarsa, per la predilezione che ho verso gli scrittori i quali ne fanno uso piĆ¹ copiosoā.
Qualche mese dopo quel mio racconto uscito in volume lo dedicai a Luigi Einaudi e gli mandai una copia. Allora mi pervenne questa lettera della Presidenza: āIl presidente della Repubblica, che ĆØ un suo attento lettore (a titolo di indiscrezione posso dirle che Egli raccoglie e conserva presso il proprio archivio stampa tutti gli articoli da lei pubblicati sui quotidiani), ha dato incarico a me, nel timore di dovere rimandare troppo a lungo una lettera personale, di ringraziarla per la copia che tanto gentilmente Ella ha voluto dedicargli del volume: Un gatto attraversa la stradaā. La lettera era firmata da Antonio da Aroma.
Un’altra volta scrissi sul Mondo un articolo: Armati a Orvieto, dove fingevo di avere incontrato in quella cittĆ fitta e ossessionata da soldati incasermati che superavano la sua popolazione, un agente segreto americano, conosciuto invece altrove, il quale in un momento di euforia alcolica mi disse che l’America considerava l’Italia come una semplice espressione geografica e se fosse avvenuta un’altra guerra, sarebbero stati occupati tutti i centri di produzione, dando da vivere solo a chi fosse stato con essa e lasciando che gli altri si ritirassero sulle montagne a fare i partigiani in attesa dei rifornimenti paracadutati dai russi. Einaudi letto l’articolo scrisse al direttore Mario Pannunzio per raccomandarmi di non esagerare. Il discorso perĆ² non lo avevo inventato.
Stavo per decidermi di andare a Roma e fare una visita di riconoscenza a Luigi Einaudi, ma poco dopo mi pervenne la triste notizia della sua morte. Avevo perduto un vigilante e prezioso lettore e il mio dolore fu profondo.
Giovanni Comisso
Pubblicato da La Nazione del 15/02/1965 con il titolo “Ricordi di un tempo. Luigi Einaudi”.
Immagine in evidenza: “The President of the Republic Luigi Einaudi sitting at his desk at the Quirinale” (Wikimedia Commons)