Queste colline che limitano la pianura trivigiana verso settentrione sono state nei primordi isole affioranti secondo la testimonianza dei fossili di conchiglie marine che si scoprono sui dirupi delle piccole valli intermedie. Sono colline piramidali, una dietro l’altra, in fila, e l’ultima, verso Bassano, regge sulla cima la quadrata rocca di Asolo simile a un’Arca di Noè che vi si sia posata alla fine del diluvio. In questi giorni giù sulla pianura come se fosse ritornato il diluvio la terra è tutta sommersa da una fitta nebbia umida e gelida ancora ritardando i primi sintomi della primavera, ma appena ci si avvicina ad Asolo si ritorna a rivedere il sole e le prospettive dei colli e il gioco delle logge e delle statue nelle ville antiche lungo i pendii.
Prima di andare verso la città sparsa sui declivi ci si ferma a un’osteria come naufraghi appena usciti dal mare e siamo usciti da un vero mare di nebbia. Ed è come un approdo a una terra diversa separata da un mare da quella donde siamo partiti.
La valle che si costeggia per salire ad Asolo sembra uno scenario da feste arcadiche, da Sogno di una notte di mezza estate, e al sommo di essa abita Gianfrancesco Malipiero da oltre quarant’anni. Dalla natale Venezia egli si ritrasse quassù, come un nobile patrizio in un suo prediletto possedimento di terraferma, e da questo colle elevato nella imminenza della pianura trasse la migliore parte dei suoi raccolti musicali.
Ricordavo quando avevo inteso la prima volta musiche di Malipiero in un concerto cittadino, da poco finita l’altra guerra, antica e veneziana mi risultava quella musica come il nome dell’autore, di cui mai avevo sentito parlare, e mi diede sommo piacere comprenderla nella terra, che per me è generata sempre dalla varietà e dalla dolcezza del paesaggio. Chiesi se era un contemporaneo di Benedetto Marcello, di Vivaldi o di Monteverdi e il mio piacere fu ancora maggiore come mi si disse che Malipiero era un nuovo compositore del nostro tempo.
Ora egli tocca il fastigio della sua attività creatrice, ha raggiunto i settant’anni con indomita freschezza, non passa stagione che non fissi l’essenza estratta dagli umori di essa, in una musica; cento e venti sono le sue opere conosciute e ammirate da tutto il mondo. Questo anno, nelle Edizioni di Treviso, uscirà un libro su Malipiero, che definirà il suo nome attraverso la critica mondiale e attraverso la storia specifica di tutte le sue musiche, scritta da lui stesso. Sarà un libro importantissimo e necessario in questa Italia sempre distratta e smemorata. Sopra la porta della sua casa vi è una lapide: Omnia immunda immundis, munda mundis, e racchiude in queste parole tutto il suo spirito arguto e polemico che tra la grande massa degli uomini mediocri e suscettibili gli ha creato ostilità e ritardato quella fama piena che, nella sua patria, è andata invece a musicisti effimeri.
Si tocca un battente, la porta si apre, si entra e ci si trova in una bussola subito interrogati attraverso a uno spioncino. La sua casa è come l’interno di una vecchia nave, tutta scalette, anditi e stanze basse, dove il legno predomina sulla pietra e dalle piccole finestre si vede la valle dolcissima che scende dal colle verso la pianura, verso il dilagato mare di nebbia. Egli è nella sua stanza da lavoro, dove è il pianoforte, la raccolta delle sue opere dentro un vecchio armadio, la sua libreria, le sue collezioni di farfalle. Il suo pianoforte è anonimo, non gode del marchio di una celebre fabbrica ed è anche un po’ scordato, mi dice egli stesso, provando con l’indice sottile qualche nota. Mi piace questo disinteresse per lo strumento della sua arte, mi rivela che la sua ispirazione parte da mondi lontani e immediati. Raffaello si servì del fondo di una botte per abbozzare un suo capolavoro ed è così per tutti gli artisti quando siano potentemente presi dal demone.
Accanto al pianoforte ha messo le sue farfalle più belle custodite sottovetro nell’iridescenze dei colori incantevoli. Ci si ritrova presi dalla stessa meraviglia e dalla stessa pietà. Anch’egli conosce la sorprendente legge per certi insetti che li obbliga a vivere lunghi anni come larva per resistere solo pochi mesi nello stato perfetto. Anch’egli sa che la perfezione, nella natura non è legata al tempo, ma solo all’amore. Un cervo volante creato solidissimo di corazza non vive oltre l’estate, una farfalla simile a una filigrana tra i cui arabeschi siano stati colati come uno smalto tutti i colori dell’iride, non vola più di un mese. Come un monito stanno queste farfalle accanto al suo seggiolino quando compone. L’arte deve vincere il tempo.
Sotto il pianoforte mi indica alcuni dei suoi cani: uno è un vecchio cane di razza cinese ammalato, l’altro è il figlio di una coppia randagia che una notte a Venezia ha salvato, portandoselo a casa, dal finire nel laccio mortale dell’accalappiatore. Ma poi mi farà vedere gli altri cani e i gatti pure raccolti dall’abbandono, uno che è rosso, lo ha chiamato Vivaldi, per affinità di pelo. Ma egli deve assentarsi un momento, qualcuno è venuto alla sua casa, gli dicono che è l’agente delle tasse. Il suo volto si fa tremulo, interrogativo, brioso nei lineamenti argentei, cinerei, pallidi. Poi quando ritorna mi spiega che voleva semplicemente da lui che gli suggerisse come adornare di fiori la nuova agenzia. Orfeo ha veramente placato con la musica i mostri infernali. Sorride fino al neo della sua guancia.
Scendiamo a vedere gli altri cani e i gatti, Vivaldi si pone contro la luce per risultare ancora più luminoso nel suo mantello fulvo. Ma in una gabbia ha anche due ghiri che ha catturato tra i cipressi del suo giardino, aveva anche tenuto per qualche tempo una famiglia di grilli e si divertiva a osservare come i figli ripetessero le stesse abitudini dei padri. E nella stagione in cui la caccia è proibita, i cacciatori del luogo gli buttano nel suo giardino le civette oramai inservibili sapendo che gli non rifiuterà di allevarle con cura. Mi accorgo che l’arca di Noè non è già la rocca deposta sulla cima del colle, ma è questa casa. Tutti questi animali sono il suo ozio e insieme i suoi tentacoli per captare quella vita che è fuori di noi e che ha profonde e immensurabili armonie.
Trailer del film dedicato a Malipiero “Poemi asolani” (1985), regia di Georg Brintrup
Il mare di nebbia avanza fino a lambire le prime pendici del colle, è necessario partire prima che un’altra notte si aggiunga alla notte, ma egli vuole farmi vedere che la primavera è già arrivata nella sua valle: dobbiamo andare fino ad un pruno i cui fiori stanno già aprendosi. Solleviamo insieme lo sguardo verso le frondi quando vi siamo giunti. Sembra che ogni rametto subisca la pressione interna di un getto d’acqua per erompere in zampilli. Tutte le gemme sono gonfie, lucente è la corteccia fatta sottile e sensibile, come una pelle che si arrossi in un effluvio di sangue per pudore, si rasenta insieme con le dita quelle gemme e di certo in lui si rievocano musiche, come in me soltanto parole.
Giovanni Comisso
da La Nazione del 13/03/1952
Immagine in evidenza: Scena dal film “Poemi asolani” (1985) dedicato a Malipiero, regia di Georg Brintrup