Elvio Fassone, Fine pena: ora

editore Sellerio

Non un romanzo di invenzione, né un saggio sulle carceri, una storia vera che chiede come conciliare la detenzione a vita con il valore riabilitativo della pena.

Sinossi

Nel 1985 a Torino si celebra un maxi processo alla mafia catanese; il processo dura quasi due anni, tra i condannati all’ergastolo Salvatore, uno dei capi a dispetto della sua giovane età, con il quale il presidente della Corte d’Assise ha stabilito un rapporto di reciproco rispetto e quasi – la parola non sembri inappropriata – di fiducia.
Il giorno dopo la sentenza il giudice gli scrive d’impulso e gli manda un libro. Ripensa a quei due anni, risente la voce di Salvatore che gli ricorda: «se suo figlio nasceva dove sono nato io, adesso era lui nella gabbia». Non è pentimento per la condanna inflitta, né solidarietà, ma un gesto di umanità per non abbandonare un uomo che dovrà passare in carcere il resto della sua vita. La legge è stata applicata, ma questo non impedisce al giudice di interrogarsi sul senso della pena. E non astrattamente, ma nel colloquio continuo con un condannato.
Ventisei anni di corrispondenza, trascorsi da Salvatore tra la voglia di emanciparsi attraverso lo studio, i corsi, il lavoro in carcere e momenti di sconforto, soprattutto quando le nuove norme rendono il carcere durissimo con il regime del 41 bis. Lo sconforto si fa disperazione fino a un tentativo di suicidio.

Presentazione come libro del giorno a Fahreneit di Radio3.

Un estratto dal volume.
L’autore

Elvio Fassone (Torino, 1938) è stato magistrato e componente del Consiglio superiore della magistratura. Senatore della Repubblica per due legislature è autore di numerose pubblicazioni in materia penitenziaria e su temi politico-istituzionali (Piccola grammatica della grande crisi, 2009; Una costituzione amica, 2012).

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