Disse: Credo nella poesia, nell’amore, nella morte,
perciò credo nell’immortalità. Scrivo un verso,
scrivo il mondo; esisto, esiste il mondo.
Dalla punta del mio mignolo scorre un fiume.
Il cielo è sette volte azzurro. Questa purezza
È di nuovo la prima verità, il mio ultimo desiderio.
Ghiannis Ritsos, Lascito.
È un filo sottile e tremendamente resistente quello che attraversa tempo e spazio per unire poesia, letteratura e teatro. Divenuto parola, si è intrecciato in versi, si è srotolato in testi teatrali e ha ispirato scrittori e artisti come Simona Vinci, vincitrice del Premio Campiello 2016, e Marianne Pousseur ed Enrico Bagnoli, fondatori della compagnia di teatro musicale Khroma.
L’inconsapevole tessitore è Ghiannis Ritsos, una delle voci più forti della poesia greca contemporanea. Nato nel Peloponneso nel 1909 e scomparso ad Atene nel 1990, nel 1975-76 ha vinto il Premio Lenin per la pace e nel 1977 quello per la poesia, dopo essere stato candidato invano per diversi anni al Nobel per la letteratura.
Nel 1933 entra nelle file della sinistra e durante l’occupazione della Grecia nel corso della seconda guerra mondiale partecipa alla resistenza, organizzando tra i partigiani attività culturali e teatrali. Sono le sue convinzioni politiche e il suo impegno nella difesa degli ideali di libertà e di giustizia sociale a segnare in modo doloroso gli anni successivi, dal 1948 al 1952, e soprattutto quelli della dittatura dei Colonnelli (1967-1974), durante la quale il poeta viene ripetutamente incarcerato, deportato e torturato nei “campi di rieducazione nazionale”.
Luoghi terribili in cui malati di mente e dissidenti politici di tutta la Grecia furono costretti a convivere.
Come l’isola di Leros, come svelato da un’inchiesta dell’Observer del 1989, in cui Simona Vinci ha ambientato La prima verità, il romanzo uscito per Einaudi, in concorso all’ultimo Premio Comisso e vincitore del Campiello. Leros non è più l’approdo sicuro dopo la guerra, gli inganni, le tempeste, come nell’epica dei ritorni: è un luogo di orrore, di annullamento, un’isola che da culla del mito e della poesia si trasforma nel suo opposto.
Eppure, malgrado il tentativo di oblio e soppressione, qualcosa resiste e giunge fino ai nostri giorni: è la forza della lirica, il desiderio tutto umano di purezza e immortalità cantati nei versi dell’aedo Ritsos che dai suoi antenati ha imparato e trasmesso una verità primigenia.
Dalla magia delle parole di Ritsos e dei suoi testi teatrali – Ismene, Fedra e Aiace -, Marianne Pousseur ed Enrico Bagnoli hanno preso ispirazione per proseguire il cammino del poeta. Lo hanno fatto inserendo la voce, i corpi, la musica e le arti visive, frutto delle loro diverse competenze e qualità.
Ne è nata La trilogia degli elementi, in cartellone al Teatro Olimpico di Vicenza nel 70⁰ Ciclo di spettacoli classici – 14 settembre 15 ottobre 2017 – intitolato Conversazioni.
Un programma che propone diversi titoli classici che parlano il linguaggio della contemporaneità e che hanno il coraggio di riformare, e forse anche tradire per continuare a costruire il nuovo, l’antico Ciclo di spettacoli.
Perché classico non “è ciò che non passa di moda, ma ciò che non è mai stato di moda”. Ciò che sa creare tensione, attrito, turbamento. Ciò che non fornisce risposte ma suscita domande. Come le domande dei testi di Bob Dylan, il cantautore, l’aedo, il rapsodo che ha imparato dai classici, in loro ha riconosciuto le proprie radici e con la sua chitarra e la sua armonica a bocca li ha portati fino a noi, giungendo a vincere il Nobel per la letteratura. Ma questa è un’altra storia che riveleremo presto.
Federica Augusta Rossi