In oreficeria si dice dell’intreccio di sottili filamenti di nobile metallo che, curvati e sovrapposti ad arte, si incrociano e uniscono attraverso sapienti punti di saldatura. Nell’antica produzione di carta e nell’attuale realizzazione di carte valori indica un disegno o un emblema che distingue in modo univoco il prodotto e ne rende più difficile la falsificazione. Nella critica letteraria si riferisce all’individuazione di significati e rimandi celati tra le righe. E’ al termine “filigrana” che Ronzani Editore si è ispirato per la neonata rivista letteraria “Filigrane. Culture letterarie”. Al plurale, a sottolineare ed evocare una polisemia connaturata alla produzione letteraria, alla parola che si fa poesia, al fare letterario che è arte e artigianato assieme. Ma anche al lavoro che unisce competenze, professionalità e sensibilità diverse e dà vita ad una rivista-libro in cui contenuto e veste grafica rispecchiano lo stesso rigore nella ricerca e la stessa grande passione.
La rivista ha cadenza semestrale e propone cinque sezioni – Testimonianze, Saggi e scritture, Testi, Recensioni e rassegne, Notizie bio-bibliografiche – realizzate da un pool di critici, poeti, docenti universitari e ricercatori italiani e stranieri.
In occasione dell’uscita del primo numero, intitolato “Dialetti in poesia”, l’editore Beppe Cantele e il direttore Matteo Vercesi la presentano raccontandone genesi e intenti.
Realizzare una rivista letteraria appare una scelta controcorrente e coraggiosa. Da dove nasce l’idea di intraprendere questa nuova sfida editoriale?
B.C. L’idea è nata una sera a cena, raccogliendo una suggestione lanciata da Matteo Vercesi con il quale stavo parlando del desiderio di proporre qualcosa di nuovo, che reinterpretasse in chiave moderna e contemporanea il glorioso passato. Riflettendoci assieme ci siamo detti che avremmo dovuto proporre contenuti importanti, significativi, che avremmo dovuto lavorare duramente per progettarla, impaginarla e pubblicarla. Abbiamo subito pensato a una rivista militante, anche dal punto di vista grafico, col formato del libro tascabile. Per quel che riguarda i contenuti, abbiamo ritenuto opportuno scegliere un tema per ciascun fascicolo, uno sviluppo polifonico attorno al quale far ruotare tutti i contributi. Spesso e volentieri, invece, in riviste simili confluisce tutto ciò che altrimenti non si sa dove pubblicare.
M.V. Sentivo la necessità di realizzare qualcosa di diverso, cercando l’equilibro tra innovazione e tradizione. Una rivista con tutti i crismi della ricerca accademica e internazionale, che comprendesse saggistica, letteratura comparata, filologia e poesia. E che fosse anche in grado di fare un recupero archeologico di testi scomparsi, di andare alle fonti della parola, alle origini del testo.
È stata concepita con una cadenza semestrale e i numeri successivi saranno intitolati “Traduzioni e tradimenti”, “Città e confini”, “Forme e materia del libro”. Inaugurare la rivista con “Dialetti in poesia” sa doppiamente di scelta militante.
M.V. Come scriveva Contini, la nostra letteratura è l’unica in cui la produzione dialettale faccia corpo unico con quella in lingua italiana. La nostra è una letteratura mosaico. Chi iscrive in dialetto compie scelte etiche e ideologiche contro la massificazione. Il dialetto fa parte della nostra storia comune, riesce a recuperare il concetto di marginalità. La discussione sui dialetti connota da sempre la nostra letteratura: i concetti chiave espressi nel De vulgari eloquentia fanno ancora parte del nostro dibattito.
B.C. “Dialetti in poesia” incarna alla perfezione il concetto di pluralità che sta alla base di “culture letterarie”. La pluralità è un concetto chiave per esplorare la letteratura, per dare voce ai conflitti dell’autore e della storia. La tematica delle lingue ci è sembrata quella più calzante per esprimere il nuovo corso che stiamo vivendo.
Avete immaginato anche un lettore ideale?
M.V. In realtà no, non abbiamo definito alcun prototipo di lettore, anche se pensiamo che caratteristica fondamentale debba essere la curiosità. Consideriamo la letteratura un patrimonio comune, un modo per interrogare se stessi e gli altri. Ci immaginiamo la rivista come un laboratorio, un’officina aperta e ai redattori abbiamo dato mandato di cooptarne altri.
Prima si accennava all’importanza della veste grafica della rivista. Questo è un tipo di attenzione che riguarda tutto il catalogo di Ronzani Editore.
B.C. Ronzani Editore è nata prima di tutto come una casa editrice, non come un editore. Ossia come un progetto condiviso da più persone capaci di garantire la qualità culturale di ciò che viene pubblicato. Questo passa anche attraverso la parte grafica, curata dall’ufficio dedicato che abbiamo mantenuto all’interno della casa editrice. Abbiamo fatto nostro il pensiero di Giulio Einaudi che sosteneva che “l’intellettuale è colui che sa pensare e fare con le mani”. Personalmente, poi, da anni studio la storia del libro e della stampa, la tipografia e la bibliografia, amo utilizzare caratteri nativi digitali, che sono il segno della contemporaneità in cui è bello vivere, e non disdegno le moderne tecnologie: come la stampa digitale che utilizziamo per questa Rivista, e che permette di non sprecare risorse accontentando anche un solo cliente per volta.
M.V. Un concetto a cui teniamo particolarmente è che carattere e veste grafica esaltino, e non soverchino il significato del testo. Il carattere non deve essere respingente per il lettore, ma, al contrario, deve permettergli di entrare e di godere pienamente dei testi, poetici o in prosa, che compongono – in filigrana – la Rivista
Beppe Cantele Matteo Vercesi
Ronzani Editore
Via San Giovanni Bosco, 11/2, 36031 Dueville (Vicenza)
0444 1831950; ronzanieditore.it