Consolazioni e disinganni dell’arte. Impressioni di viaggio in Russia di Giovanni Comisso

Mosca, agosto

Visitiamo i Musei, i luoghi di ritrovo, i cinematografi e i teatri.Il Museo della Rivoluzione attrae per primo. Per entrare bisogna pagare: pagano una piccola quota persino le scolaresche e le comitive di operai e soldati in gita d’istruzione, guidate da donne che con grande enfasi spiegano loro ogni cosa. Strano, la guerra ha tolto l’enfasi ai Tedeschi; ma guerra e rivoluzione non sono riuscite a fare altrettanto per i Russi.

Il Museo è non solo tedioso, ma molto male sistemato. Generalmente è un gusto puerile che domina.

Vi sono stampe popolaresche di tormenti ai condannati politici, di nessunissimo valore, e nel sotterraneo del palazzo la ricostruzione delle prigioni del tempo dello Zar, con fantocci che rappresentano carcerieri e cospiratori. Poi una sequela monotona di libri, opuscoli, giornali e manifesti rivoluzionari; fotografie e scritti di Bakunin e compagni, di Lenin, ecc.

Qualche gruppo di scultura con trofei di bandiere rosse, fucili e mitragliatrici. Poi una testa di operaio con la casquette erta sul capo, brutta sotto tutti gli aspetti: quella stessa che una specie di gusto borghese ha invece ritenuto eccellente emblema da riprodursi anche sui francobolli; e non meritava di meglio.

Alcune sale stanno per essere rimesse a nuovo; tutte le cose, qui, vengono distribuite secondo uno stile decorativo futurista, con grandi zone multicolori a raggera sulle pareti, tra le quali vengono distribuiti documenti sbiaditi. Abbondano infine i dati statistici di aumento di produzione e di diminuzione di analfabeti, e poi i soliti stucchevoli rilievi in plastica di carceri e di miniere dove lavoravano i deportati: sollazzo dei bambini e della folla.

Si esce doppiamente stomacati, del Musco e della rivoluzione.

Alla Galleria d’Arte Moderna

Si riesce a prendere un autobus, dove l’unto è avvertibile dovunque si posino le mani, e si arriva al di là della Moscova. Qui c’è la Galleria Tretiakoff. E’ piena di folla e di vecchi quadri orrendi, che avrebbero assolutamente meritato d’essere distrutti durante le fasi più acute della rivoluzione.

Tetrume e insipidezza della pittura russa dell’Ottocento !

Le sale sono talmente piene di carovane che l’aria manca e riesce fetida. In questa Galleria di pittura, alle sale delle croste sono allegate altre con fotografie della rivoluzione e con saggi di film di propaganda. Qui non manca l’interesse; ma non si riesce a spiegare, se non per penuria di locali, questo accoppiamento inquietante.

Dove l’anima si consola e si congratula con l’U. R. S. S. è alla Galleria d’Arte Moderna. Questa è, senza esagerare, una delle più belle del mondo.

Risulta dalla fusione di due collezioni private di due stupidi capitalisti, — mi dice un giornalista russo, — S. Stukin e A. Morosov, i quali, avendo del denaro, ebbero anche l’intelligenza di accertare il consiglio d’acquistare Cézanne, Gauguin, Van Gogh. Degas, Manet, Renoir, ecc. Le opere sono poi distribuite in maniera eccellente, e questo per merito dell’attuale direttore. Boris Ternovetz, uomo competentissimo e minutamente informato sul progresso della pittura d’ogni Nazione europea.

Lo troviamo nel suo ufficio tra un Gauguin e un Matisse; ha sul suo tavolo dei giornali d’arte, pure italiani. Una sala della Galleria sarà presto dedicala anche ai moderni pittori italiani.

Egli ha già quadri di De Chirico, di Casorati, Tosi, Salietti, Funi, Andreotti, Bernasconi, Severini, Modigliani. Carena e d’altri. Mi chiede notizie dei pittori del groppo di Torino: Paolucci, Menzio, Chessa, Levi, che ammira come giovani di talento, e vuole sapere le nuove affermazioni.

Renoir, Cézanne, Gauguin, Van Gogh, Degas. Manet, Matisse, ognuno ha la propria sala; di ognuno vi sono dalle quindici alle venti opere e in genere, di assoluta capitale importanza. I Gauguin poi sono tutti freschi e luminosi, come non è toccato di vedere in una recente esposizione a Parigi. Alcuni dei Matisse, certi grandi quadri con figure rosse su sfondi verdi, invece, riescono appena a piacere conte elementi decorativi. Alla pittura è frammista la scultura: Bourdelle, Rodin, Maiol, Zadkin, Archipenko. Non mancano poi i nuovi pittori di Parigi: Survage, Léger, Lhote, Favori, Gromaire e tutti quelli che si possono vedere nelle Gallerie di rue de Seine.

Nelle sale vi sono comodi divani, e qui si vedono giovani artisti accendere discussioni o rimanere in assorta estasi davanti al quadro prediletto. A Mosca non ci sono caffè, e cosi quando ci sentiamo stanchi si viene in questa Galleria che riposa e ricrea.

I Musei antireligiosi

Tra i Musei bisogna includere le chiese. Mosca aveva migliaia di chiese; parte sono siate distrutte per far luogo a nuove costruzioni, parte sono state trasformate in Musei antireligiosi e altre sono tuttora aperte al pubblico: questa la sorte delle ortodosse. Le chiese cattoliche sono rimaste intatte nella situazione d’un tempo.

La piccola e misteriosa chiesa di San Basilio, davanti alla porta principale del Kremlino, con le sue innumerevoli cupole e cupolette a fusi avvitati di colori celeste e rosa, è uno dei principali Musei antireligiosi.

La gente circola, naturalmente col berretto in testa, tra i bassi corridoi, davanti agli altari ancora ornati di icone. In certi bassi androni sono esposte lunghe serie di caricature di preti.

Ve ne sono persino alcune tolte dall’Avanti e dall’Asino.

A queste sono aggiunte, attorno alla maschera del Papa, delle fotografie e delle stampe di cui non si riesce a spiegare lo scopo. Queste riproducono In gran parte scene di fucilazioni o di torture di cui, accanto al condannato, si vede un pope che cerca di dar coraggio mostrando la croce.

Forse con questo si cerca di far credere al popolo una partecipazione del clero alla volontà atroce degli Zar? L’assurdità non riesce a giustificarsi. Ancora con lo scopo di gettare il disprezzo sui religiosi, si vedono delle fotografie di messe al campo durante la guerra.

Ma un’alta personalità del mondo intellettuale russo mi ha fortemente ingannato; mi disse: «Lei, per vedere una cosa veramente nuova e straordinaria deve andare al Parco di Fisicoltura ». Bisogna andare alla sera. E’ al sud della città, lungo la Moscova. Come al solito, bisogna andarvi a piedi e per strade sconnesse. E’ una specie di Luna Park. Vi sono cinematografi, teatri, circhi equestri, tiri a segno, padiglioni dove si tengono in mostra degli strumenti agricoli per la propaganda agricola. Per poter entrare e vedere bisogna fare la coda: non siamo allenati a questa fatica, tanto più che si tratta di centinaia di persone che ci precedono, e si finisce col rinunciare. Vi sono poi certi recinti dove maestri di scherma, di ginnastica e di « tennis » danno lezioni gratuite ad operai e a impiegati, e in un altro punto un maestro di canto dirige una grande massa di popolo alla quale vengono mostrate delle strisce di tela con le parole. E’ un canto antireligioso. Si gira e si rigira, la noia è dominante; a questa s’aggiunge la sete. Vi sono dei chioschi dove si vendono gasose ma per ottenerne una bisogna spingere e disputare.

Una «Tosca» bolscevica

Operai, soldati, impiegati, la gioventù comunista, hanno i loro « clubs ». Sono lussi tutti installali in grandi palazzi signorili. Scritte rivoluzionarie su tele rosse alle pareti, o quadri con soggetti della storia recente. La fotografia di Lenin che legge il giornale o col braccio alzato nella foga di un discorso domina dall’alto gruppi di giovani che leggono libri e giornali.

In questi « clubs » si fa né più né meno che la vita di caffè; in più, forse, si fa quello che si usa fare a Parigi in certi circoli rionali: le discussioni su argomenti del giorno. Un giovane sale sulla pedana e comincia a criticare o un film o un lavoro teatrale o un libro; altri sorgono e controbattono. Le discussioni sono naturalmente attentamente sorvegliate. I cinematografi e i teatri abbondano più degli spacci dei generi alimentari. I locali sono modesti: vi sono sale d’aspetto con tavole piene di giornali, riviste e anche libri. I film sono ancora muti, ma stanno lavorando per inscenarne dei sonori. Si è visto un film di propaganda contro i contadini capitalisti, i  «kulaki » : la trama venne scritta dalla scrittrice Scifulina. Certe impostazioni erano molto ben riuscite. Mentre un oratore parlava, gli si vedevano successivamente ora la bocca contratta nella foga del parlare, ora il gestire delle mani solamente.

Tutta l’arte deve servire alla propaganda, l’unica che si salvi è la musica. Con tutto questo, la Russia non manca di avere eccellenti opere di propaganda di prosa e di teatro, tanto deve essere intenso nel fondo di questo popolo, sebbene non vogliano sentirne parlare, l’amore di patria. Interessanti sono i teatri, tanto per gli spettacoli quanto per la folla che li frequenta. Non s’è potuto vedere il teatro di Tairov, attualmente in Europa. S’è vista la Tosca, messa in scena con un sistema costruttivista che bisogna ammettere le dà un grande effetto scenico. Lo scenario risulta formato da grandi panneggiamenti e da qualche elemento come una porta, un caminetto o un’alta finestra; le luci completano gli effetti di profondità, il terrazzo del Castel Sant’Angelo non somigliava affatto: eppure dava pienamente l’idea con pochi massi e un arco contro una luce di piena mattina.

Si dà la Tosca perchè vi è l’uccisione del tirannico capo della polizia, il quale dovrebbe far pensare al capo della polizia dello Zar, ma può benissimo far pensare anche a quello della polizia attuale. La folla pareva quasi borghese, d’una borghesia provinciale. Lo spettacolo con la sua musica e con le sue scene passionali suscitava un vero delirio di entusiasmo. Alla fine di ogni atto, tutti dalle poltrone si facevano presso l’orchestra per applaudire e chiamare gli attori. Tra un atto e l’altro, nei fumoirs, donne e uomini fanno la passeggiata; manca assolutamente nell’aria un solo filo di profumo ma si pensa che presto verrà anche questo. Sono mogli di impiegati con vestitini modesti, ma vivaci noi colori e civettuoli nella forma. Non si sono scorti gli operai.

Ad un altro teatro di recente costruzione sè vista una commedia: I tre grassi, nuovissima. Il teatro, come la maggior parte dei teatri di Mosca, è dotato di palcoscenico girevole. La commedia è una satira. I tre grassi sono: un cardinale, un militarista e un capitalista. Una banda di saltimbanchi, ridotti male dalla scarsità di pubblico, fa una sommossa e dà l’assalto al castello dei tre grassi, i quali finiscono prigionieri dei saltimbanchi. Su questo canovaccio sono tessute diverse scene bizzarre, grottesche e, a momenti, d’un efficacia divertentissima.

I « tre grassi » a tavola

La scena dell’assalto, col palcoscenico che gira svolgendo alcuni elementi geometrici e una specie di costruzione da ottovolante sulla quale gli attori si inseguono, accompagnati da giuochi di riflettori e da una musichetta da circo, è bellissima e nuovissima. Altre scene, come quella dei tre grassi a tavola, sono creazioni perfette. Questi tre personaggi hanno al volto delle maschere di gomma gonfiate d’aria che riescono di grande effetto; stanno seduti su grandi poltrone girevoli come quelle dei barbieri, mangiano avidamente grugnendo e quando vogliono discutere non fanno che lanciarsi insolenze. La tavola sta sopraelevata su una specie di gradinata da trono. La cucina del castello ha motivi tolti alla sala delle macchine d’un piroscafo, con scalette di ferro attorno al forno e grandi apparecchi di rame per fare la crema e la cioccolata. Tutto un coro di cuoche circola per le passerelle di acciaio. Sono belle scene, a volte molto slegate, qua elà seminate di battute di spirito, ma non troppe; quelle che invece abbondano sono le grida e le crisi isteriche. Non passano dieci minuti che qualcuno degli attori non si metta a urlare, il che finisce col dare assai noia. Molte volte la rappresentazione salta dal carattere comico a quello acrobatico, ma in fine l’attenzione che suscita è fortissima. Si esce da questo spettacolo che sono le undici di notte passate, e qui, ecco, la natura che gareggia in sorprese con l’uomo. Le strade sono deserte tra il lividore delle case chiuse, e dal cielo notturno scende vibrante e diffuso il chiarore della notte bianca, come un vivido annuncio dell’alba.

Giovanni Comisso

Pubblicato sul Corriere della Sera del 14 settembre 1930

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