La villeggiatura nel Veneto ha una storia. Quando il caldo infuocava le città e difficilmente le grosse mura dei palazzi patrizi potevano dare freschezza, i nobili, perché a loro soltanto era concesso di villeggiare, se erano veneziani o padovani avevano una via segnata dal Canale del Brenta per andarvi a godere la frescura che saliva da quelle acque. Lungo questo canale sorsero le prime ville, quella dei Foscarini, dei Pisani e dei Contarini con parchi meravigliosi dove questi nobili, simili a regnanti, si facevano seguire dalla loro corte di amici, di aiutanti, di servi.
Era facile sia per i veneziani che per i padovani andare senza coprirsi di polvere per le strade malferme dei secoli passati perché si imbarcavano a Venezia alla Riva degli Schiavoni con le loro gondole e con le peote cariche di bagagli e di servi. Dalla Laguna imboccavano il canale del Brenta e arrivavano placidamente alla porta di ingresso della loro villa subito accolti dal guaire affettuoso dei loro cani da caccia. Così i nobili padovani partivano da Porta Portello e arrivavano per la stessa via alle loro ville istoriate di stucchi che riproducevano pergole sparse di uccelletti, di grappoli d’uva e di freschezza.
Questo fu il primo villeggiare dei veneti. Ma decaduto il commercio marittimo con il Levante i nobili, particolarmente di Venezia, presero a dare l’esempio di attendere la ricchezza dal lavoro della terra e da allora sorse il gusto e l’utilità di villeggiare al centro delle loro campagne messe intensivamente ad agricoltura. Quelle ville erano come il marchio della loro proprietà e padronanza. Sorvegliavano i raccolti al tempo favorevole e parimenti godevano del fresco del paesaggio venato di fiumi.
Questa villeggiatura di terraferma prese a ramificarsi sui colli tra Bassano e Asolo, su quelli del Vicentino, del Trevigiano e del Friuli. In quei secoli non osarono villeggiare tra i monti, né lungo le spiagge marine. Del resto, ancora al principio di questo secolo era come una esplorazione polare andare in villeggiatura tra le Dolomiti. Quei nobili veneti furono assai fortunati di avere contemporanei architetti come Palladio, Scamozzi, Sanmichieli, che erano subito pronti con i loro progetti di ville ariose ad assecondare il loro estro. Di quelle villeggiature nel Veneto abbiamo appunto in quelle ville vasta e solenne testimonianza.
Il villeggiare tra le Dolomiti è stato indicato ai veneti dagli arciduchi austriaci che diedero la prima moda. Dopo la grande guerra che aveva incluso quelle zone nei nostri confini, sorse come una fioritura dopo una pioggia benefica tutta una trama di alberghi dal Trentino al Cadore. Villeggiare si associava tra quelle montagne al gusto delle ascensioni per i più audaci, a mezzo di abili guide e di cordate e in ultima per i meno forti di gamba con le funivie verso i rifugi.
L’attrezzatura alberghiera si è fatta sempre più soddisfacente.
La gente di quelle valli che prima per vivere doveva adattarsi alle emigrazioni e alle poche patate delle aride terre, capì che questa moda se bene organizzata avrebbe dato quella ricchezza sempre attesa. Dalla villeggiatura estiva si giunse a quella invernale, scoprendo che il sole al riflesso della neve brucia ed abbronza quanto quello estivo. Paesetti e paesi un tempo accentrati attorno alla chiesa parrocchiale con poche case tutte di legno, simili ad arche di Noè lasciate in secca su quei pendìi dopo il diluvio, si sono fatti città con alberghi modernissimi e con negozi di lusso.
Il Trentino venne collegato al Cadore e questo alla Carnia per strade delle quali si deve essere debitori alle necessità della guerra. Fu così possibile raggiungere valichi al di sopra dei duemila metri, resi sempre più facili a tutti i mezzi per le continue rettifiche opportunamente attuate. Tutte le catene dolomitiche stupefacenti come quelle catene montane della Luna estasiavano quegli ospiti cittadini tra l’Alpe di Siusi, il Pordoi, il Falzarego, le Tofane, tutti quei monti così detti: pallidi, per una retorica romantica.
La villeggiatura dolomitica nel Veneto raggiunse un tale furore da fare apparire ridicola quella che era stata fino al principio del Novecento la villeggiatura sulle colline. Bisognava che la villeggiatura dolomitica nel suo galoppante sviluppo tramutasse in città i villaggi alpini, perché si arrivasse a sentire la nausea di trovarsi in piazza a Cortina come a Via Veneto o in Piazza San Marco o in Via Montenapoleone e così rifiorisse il gusto di villeggiare in collina.
Naturalmente questo andare in villa tra gli Euganei e i Berici, tra Bassano, Asolo, Conegliano e i colli del Friuli poteva essere solo riservato a quelle famiglie che ivi avevano ville. Ritornata in celebrazione la villa veneta dei nobili del Settecento, restaurate e ripristinate nelle loro necessità di abitazione, coloro che ne avevano la proprietà o altri che la ottennero facilmente, si accorsero che durante le estati più torride vi era possibilità di avere dai parchi ripuliti e rigenerati una freschezza sana e dilettevole.
Sono tutti incantevoli i paesaggi delle colline venete. Palladio e la sua scuola aveva capito che quegli scenari di castani, dove il pastore passava con il suo gregge e dove il contadino scendeva con il carro colmo di fieno e sopra i suoi famigli annidati come giovani divinità olimpiche sulle nubi, si dovevano intonare a una architettura classica che rendeva quelle ville simili a templi. Anche Canova, alcuni secoli dopo, se doveva fare un tempio per sua celebrazione, sentì che doveva assolutamente essere intonato al classicismo, non tanto perché egli era un campione del neoclassicismo, ma perché quelle colline lo richiedevano.
A differenza dalla villeggiatura in alta montagna questa, che si potrebbe chiamare pedemontana, concede a chi la preferisce tutti i doni della terra fertile tra i suoi fiumi che la fecondano.
I vini di questi colli, dove le viti si trovano coltivate come in serre tra un valloncello e l’altro, sono famosi e prelibati. Da quelli veronesi si passa ai vini del Vicentino, del Trevigiano per raggiungere i livelli purissimi e famosi dei vini friulani. Basta fare qualche nome per dare fremiti al palato dei buongustai: il bardolino, il così detto tocai, e tutte le altre viti d’importazione francese come il merlot, il cabernet e il riesling di importazione renana, che qui hanno ottimamente allignato in questa dolce terra di adozione.
La tavola di questa villeggiatura pedemontana si allieta a questi vini, ma ogni terra offre in gara, una con l’altra, varietà di pietanze come ai bei tempi dei banchetti istoriati da Veronese o da Bassano. Al centro di questi luoghi se non vi sono ville ospitali vi sono trattorie che hanno fatto fortuna puntando per soddisfare il gusto dei loro ospiti sulle specialità rafforzate dai prodotti locali; i funghi, come nella zona del Montello, gli asparagi come quelli di Bassano, o piselli o fragole o radicchi come quelli di Treviso.
In autunno si aggiunge la cacciagione della lepre, dei tordi delle quaglie. Anche i fiumi danno anguille o gamberi o trote da ideare varietà di pietanze e consolare i buongustai villeggianti. E i formaggi portati dagli alti pascoli dell’Asiago e della Carnia competono come carnami trasumanati e favolosi.
Ora il villeggiare pedemontano promosso da ospiti raffinati e attenti sta tacendo quel progresso che gli spetta per una antica tradizione riesumata. Indubbiamente vi è una sola minaccia: la noia data dall’isolamento delle ville e dalla mancanza di centri immediati dove giocare l’avventura e il pasticcio. Ma l’umanità moderna ha il grande mezzo dell’automobile e la possibilità di fare risorgere abitudini e occasioni come sono testimoniate nell’antico uso del primo villeggiare lungo al Canale del Brenta. Allora alle tavole di quelle splendide ville vi erano, ogni giorno, alcuni posti liberi preparati per gli ospiti eventuali che classificati come di passaggio, poi finivano per soggiornarvi a lungo. Attesi e desiderati erano questi ospiti di allegra compagnia come guitti erranti che risvegliavano la società isolata e annoiata. Il loro arrivo e la loro partecipazione erano diventati un sistema, quasi un mestiere giocoso, una consuetudine fissa di vivere a sbaffo. Ma quella società altre volte poneva limitazione alla noia con il gioco, con il conversare, con la rappresentazione di commedie e con le visite piacevoli ad altre ville vicine e a banchetti memorabili.
La villeggiatura marina nel Veneto ha uno sviluppo recente. Famoso un tempo era il Lido di Venezia dove andavano in quei grandi alberghi principi russi drogati e contesse folli per finire a ogni soggiorno con un delitto complicatissimo. Vi andavano anche i milionari americani come Pierpont Morgan, quello che aveva il naso grottesco come il Duca d’Urbino, e le loro amanti prediligevano di portare lo scialetto di seta delle popolane veneziane, come fosse quel collare di fiori augurali che si usa a Tahiti.
Ora, dalle foci del Brenta, cioè da Chioggia, fino alle foci dell’Isonzo, cioè a Grado, questo arco sabbioso dell’Alto Adriatico è tutta una spiaggia incantevole. Prima non era possibile andarvi per fare i bagni, perché le paludi non concedevano strade e vi fermentava la malaria. Al principio di questo secolo si bonificarono quelle zone costiere ottenendo ottime e bibliche terre da lavoro. Allora vennero avanti le strade, gli acquedotti e la luce elettrica sgranando quelle perle balneari che portano i nomi di Chioggia, Cavallino, Jesolo, Caorle, Bibione, Lignano.
Grado esisteva ed era nota come il Lido di Venezia e aveva avuto un suo particolare sviluppo perché essendo dentro al confine dell’Austria aveva una sua clientela riservata a quella nazione. Adesso non vi sono più limitazioni, l’automobile e la rete stradale perfezionata hanno frammischiato dovunque gli ospiti. A Chioggia sembra di essere a Cannes, dove un tempo vi era una landa con siepi di tamerici per impedire che il vento accumulasse la sabbia, ora vi sono grandi alberghi dai nomi sonanti e un lungo mare imponente. Attrae per vicinanza i padovani e subito dopo i lombardi. Il Lido famoso di un tempo per quanto si sia cercato di portarvi vita con i traghetti rimane isolato nella sua vita di ricordi fastosi perché oggi il turista vuole arrivare direttamente alla riva del mare, indossare il costume e fare il bagno. Per questo essenziale principio si sono favolosamente sviluppate le lande di Jesolo, di Caorle, di Bibione in turbinose città balneari.
Jesolo può considerarsi in partenza la villeggiatura marina dei trevigiani, ma ha finito per diventare degli americani che arrivano all’aeroporto di Venezia e con un’ora di macchina hanno alberghi che grattano il cielo come a Los Angeles a prezzi convenientissimi.
Caorle, Bibione e Lignano sarebbero riservate a tutto il retroterra da Pordenone a Udine, ma si sovrappongono ospiti della Mittel Europa: svizzeri, germanici e austriaci. Anche in queste spiagge marine il buon gusto della tavola ha saputo svilupparsi in rapporto al mare che offre la sua pescagione e anche in rapporto alla campagna imminente che con la sua frutta, i suoi vini e i suoi carnami dà quel completamento di benessere offerto dal bagno marino.
In ognuno di questi centri balneari, a Jesolo, a Caorle, a Bibione, a Lignano, vi sono trattorie che hanno fatto presto a diventare molto note per l’abilità di cuochi che sanno adattarsi ai desideri di una clientela nazionale e internazionale. Senza volere fare l’iconoclasta viene spontaneo parafrasare un verso immortale di Leopardi, a questo modo: «e il villeggiare è dolce in questo mare».
Giovanni Comisso
Pubblicato sul n. 33 del settimanale “Le Ore” del 20 agosto 1964.
Immagine in evidenza: Villa Emo, Fanzolo di Vedelago (foto di Erich Schmid, Wikimedia Commons)